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Buona fede frode IVA: onere della prova

Una società del settore cosmetico è stata ritenuta responsabile per l’IVA non versata in una complessa frode carosello. La Corte di Cassazione ha rigettato il suo ricorso, stabilendo che, nonostante l’apparente regolarità delle operazioni, l’azienda avrebbe dovuto accorgersi della frode usando l’ordinaria diligenza. L’ordinanza chiarisce che in tema di buona fede frode IVA, una volta che l’Amministrazione finanziaria fornisce indizi sulla consapevolezza del contribuente, spetta a quest’ultimo dimostrare di aver agito con la massima cautela per non essere coinvolto nell’evasione.

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Pubblicato il 27 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Buona Fede Frode IVA: La Cassazione e l’Onere della Prova per l’Imprenditore

L’ordinanza n. 16303/2024 della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale per ogni imprenditore: la responsabilità in caso di coinvolgimento, anche inconsapevole, in una frode fiscale. Il caso analizzato riguarda la buona fede in una frode IVA e chiarisce fino a che punto un’azienda possa essere ritenuta responsabile per le azioni illecite dei propri partner commerciali. La decisione sottolinea l’importanza della diligenza e della vigilanza nelle operazioni commerciali per evitare pesanti conseguenze fiscali.

I Fatti: Una Rete di Frode nel Settore Cosmetico

Una società operante nel settore della profumeria si è trovata al centro di un’indagine fiscale dopo aver effettuato diverse vendite a società terze. Tali vendite erano state realizzate in regime di sospensione d’imposta, sulla base di lettere d’intento ricevute dai clienti che si qualificavano come esportatori abituali.

Tuttavia, l’Amministrazione Finanziaria ha scoperto che queste società clienti erano in realtà delle ‘cartiere’, ovvero entità fittizie create da un soggetto terzo per orchestrare una complessa frode IVA. Lo schema era il seguente: la merce, acquistata senza IVA dalla società di profumeria, non veniva esportata come dichiarato, ma rivenduta sottocosto sul territorio nazionale ad altri operatori. L’IVA incassata da queste vendite non veniva mai versata allo Stato.

Di conseguenza, l’Agenzia delle Entrate ha emesso avvisi di accertamento nei confronti della società fornitrice per gli anni d’imposta dal 2006 al 2009, recuperando l’IVA non applicata e irrogando le relative sanzioni.

La Decisione della Corte e la Buona Fede nella Frode IVA

La società ha impugnato gli accertamenti, sostenendo la propria buona fede e la propria estraneità alla frode. Tuttavia, sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale hanno respinto i ricorsi. La questione è quindi giunta dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Suprema Corte ha confermato le decisioni dei giudici di merito, rigettando il ricorso della società. I giudici hanno ritenuto che la ricorrente non potesse invocare la propria buona fede, in quanto esistevano numerosi elementi oggettivi che avrebbero dovuto metterla in allarme. L’azienda, secondo la Corte, sapeva o avrebbe dovuto sapere, usando l’ordinaria diligenza professionale, della falsità delle lettere d’intento e della natura fraudolenta delle operazioni.

Le Motivazioni: Quando la ‘Buona Fede’ non è Sufficente

La Corte ha ribadito un principio consolidato in materia di buona fede frode IVA: l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di provare non solo l’esistenza dello schema fraudolento, ma anche la consapevolezza (o la ‘conoscibilità’) del contribuente. Tale prova può essere fornita anche attraverso presunzioni e indizi gravi, precisi e concordanti.

Nel caso specifico, gli elementi indiziari erano schiaccianti:

1. Natura delle società clienti: Erano evasori totali, prive di una contabilità regolare e svolgevano attività non correlate al commercio di cosmetici.
2. Mancanza della qualifica di esportatore abituale: Le società acquirenti non avevano i requisiti per emettere lettere d’intento.
3. Modalità di consegna: La merce veniva consegnata direttamente in Italia al cliente finale, senza mai transitare dai magazzini delle società acquirenti né lasciare il territorio nazionale.

Queste circostanze, secondo la Corte, erano facilmente verificabili con semplici controlli (ad esempio, una visura alla Camera di Commercio) e avrebbero dovuto insospettire qualsiasi imprenditore mediamente accorto. Una volta che l’Agenzia delle Entrate fornisce questi elementi, l’onere della prova si inverte: spetta al contribuente dimostrare di aver adottato tutte le misure di diligenza necessarie per verificare l’affidabilità del partner commerciale e di essere stato, nonostante ciò, incolpevolmente coinvolto.

La Corte ha anche precisato che la regolarità formale dei pagamenti o la mancanza di un beneficio diretto dalla frode non sono sufficienti a dimostrare la buona fede. Inoltre, la colpevolezza necessaria per l’applicazione delle sanzioni è integrata anche dalla sola negligenza, che in questo caso è stata ampiamente dimostrata dall’omissione dei dovuti controlli.

Le Conclusioni: Diligenza e Responsabilità dell’Imprenditore

L’ordinanza in esame rappresenta un importante monito per tutte le imprese. La lotta all’evasione fiscale richiede un ruolo attivo da parte degli operatori economici. Non è sufficiente fidarsi dei documenti formali, come le lettere d’intento, ma è necessario esercitare una ‘ragionevole diligenza’.

Questo significa verificare l’affidabilità dei propri partner commerciali, specialmente se nuovi o se le circostanze dell’operazione appaiono anomale. Ignorare i ‘campanelli d’allarme’ può portare a essere considerati corresponsabili della frode, con conseguente recupero dell’imposta evasa e applicazione di pesanti sanzioni. La buona fede, per essere giuridicamente rilevante, deve essere supportata da un comportamento concretamente diligente e proattivo.

In una frode IVA, chi deve provare la consapevolezza del fornitore?
L’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di provare, anche con indizi, non solo la frode ma anche che il fornitore sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza, che l’operazione era parte di un’evasione fiscale.

Cosa deve fare un imprenditore per dimostrare la sua buona fede in una frode IVA?
Deve provare di aver agito con la massima diligenza esigibile da un operatore accorto, adottando tutte le cautele necessarie per non essere coinvolto nella frode, specialmente in presenza di indizi sospetti. La sola regolarità formale dei pagamenti o della contabilità non è sufficiente.

L’assenza di dolo esclude le sanzioni tributarie?
No. Per l’applicazione delle sanzioni amministrative tributarie è sufficiente la colpa (negligenza). Se il contribuente non riesce a dimostrare la sua assenza di colpevolezza e di aver agito con la normale diligenza, la sua condotta negligente è sufficiente a giustificare le sanzioni, poiché la sua buona fede è stata esclusa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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