Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16303 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16303 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21554/2015 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’ AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende -controricorrente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELLA LOMBARDIA -SEZ.DIST. DI BRESCIA n. 531/67/15 depositata il 16/02/2015. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza n. 531/67/15 del 16/02/2015, la Commissione tributaria regionale della Lombardia – Sezione staccata di Brescia (di seguito CTR) rigettava gli appelli riuniti proposti da RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE) avverso le sentenze n. 29/10/13 e n. 286/03/14 della Commissione tributaria provinciale di Brescia (di seguito CTP), che aveva respinto i ricorsi proposti dalla società contribuente avverso quattro avvisi di accertamento per IVA relativa agli anni d’imposta 2006, 2007, 2008 e 2009, nonché per le relative sanzioni.
1.1. Come si evince dalla sentenza impugnata, gli avvisi di accertamento erano stati emessi in ragione dell’effettuazione di cessioni di cosmetici a terzi (RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE NOME, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE) in regime di sospensione d’imposta ex art. 8, primo comma, lett. c), del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, regime erroneamente applicato a causa dell’emissione di false lettere d’intenti da parte dei cessionari , tutti riconducibili a tale NOME COGNOME.
1.2. Più in particolare, quest’ultimo aveva organizzato una complessa frode IVA che comportava l’acquisto della merce da reali operatori del settore della grande distribuzione senza versamento dell’IVA, emettendo false lettere d’intento; successivamente la medesima merce, invece di essere ceduta all’estero, veniva fatturata con IVA ad altri soggetti fittizi operanti nel territorio della Repubblica e gestiti dal medesimo COGNOME; detti operatori rivendevano sottocosto a terzi, applicando l’IVA , grazie al mancato versamento dell’imposta trattenuta e non versata .
1.3. La CTR rigettava gli appelli riuniti proposti dalla società contribuente evidenziando che: a) la società contribuente era uno dei soggetti fornitori delle imprese gestite da NOME COGNOME e le merci
vendute venivano consegnate in Italia «direttamente al cliente finale senza lasciare il territorio nazionale e senza transitare nella sua disponibilità»; b) le imprese che facevano capo al COGNOME erano evasori totali, non avevano una contabilità regolare e svolgevano attività che nulla avevano a che fare con il RAGIONE_SOCIALE di cosmetici, oltre a non essere esportatori abituali; c) le superiori circostanza erano conosciute o, comunque, facilmente conoscibili da COGNOME, sia attraverso semplici controlli presso la RAGIONE_SOCIALE, sia in ragione delle evidenze rinvenute in contabilità, sicché la ricorrente sapeva o avrebbe dovuto sapere della falsità delle lettere d’intenti; d) la documentazione allegata agli avvisi di accertamento, sebbene riportante omissioni e cancellature ai fini della tutela della privacy dei soggetti coinvolti, era sufficiente ed idonea a mettere la società contribuente a conoscenza dell’attività espletata dall’ufficio ; e) le sanzioni irrogate erano legittime in ragione della responsabilità di COGNOME.
1.1. Avverso la sentenza di appello COGNOME proponeva ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
NOME resisteva con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso COGNOME deduce la nullità del procedimento per violazione dell’art. 42 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere la CTR confermato gli accertamenti sebbene sottoscritti da soggetto privo del relativo potere.
1.1. Il motivo è inammissibile in quanto nuovo.
1.2. La circostanza contestata costituisce un’eccezione in senso proprio e non risulta che la società contribuente abbia formulato la relativa censura nei giudizi di merito di primo e secondo grado.
Con il secondo motivo di ricorso si contesta violazione e falsa applicazione degli artt. 8, primo comma, lett. c), e 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, nonché degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR -in ragione di un non corretto esame della documentazione prodotta e degli elementi indiziari dalla stessa evincibili -erroneamente ritenuto la conoscenza o la conoscibilità della inesistenza delle società cartiere (per il vero, società esistenti e operanti) e della loro qualifica di esportatori abituali, con conseguente disconoscimento della buona fede di COGNOME.
2.1. Il motivo è inammissibile.
2.2. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, « l’Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta; la prova della consapevolezza dell’evasione richiede che l’Amministrazione finanziaria dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente; incombe sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del
caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi » (così Cass. n. 9851 del 20/04/2018, alla cui motivazione integralmente si rimanda; conf., tra le tante, Cass. n. 11873 del 15/05/2018; Cass. n. 17619 del 05/07/2018; Cass. n. 21104 del 24/08/2018; Cass. n. 27555 del 30/10/2018; Cass. n. 27566 del 30/10/2018; Cass. n. 5873 del 28/02/2019; Cass. n. 15369 del 20/07/2020).
2.3. La CTR ha ampiamente chiarito le ragioni per le quali la società contribuente conosceva o avrebbe dovuto conoscere la natura di cartiere delle società con le quali ha avuto rapporti e la sussistenza della frode perpetrata (si rimanda, per brevità, a quanto riassunto in premessa, al § 1.2).
2.4 Del resto, spetta, in via esclusiva, al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. n. 331 del 13/01/2020; Cass. n. 19547 del 04/08/2017; Cass. n. 24679 del 04/11/2013; Cass. n. 27197 del 16/12/2011; Cass. n. 2357 del 07/02/2004).
2.5. In buona sostanza, la ricorrente tende a mettere in discussione, con la proposizione di una censura di violazione di legge, il dettagliato accertamento in fatto del giudice di appello, così realizzando una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. n. 3340 del 05/02/2019; Cass. n. 640 del 14/01/2019; Cass. n. 24155 del
13/10/2017; Cass. n. 8758 del 04/07/2017; Cass. n. 8315 del 05/04/2013).
Con il terzo motivo si contesta violazione e falsa applicazione dell’art. 56 del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR ritenuto che la documentazione allegata all’accertamento consentiva alla contribuente di conoscere tutti i dati e gli elementi relativi all’attività di controllo, sebbene risultasse che gli estratti allegati agli accertamenti non contenevano alcuni elementi rilevanti per consentire l’esercizio del diritto di difesa.
3.1. Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato.
3.2. In primo luogo, il motivo difetta della necessaria specificità: la ricorrente si duole dell’incompletezza dei documenti allegati per estratto all’avviso di accertamento. Peraltro, non trascrive integralmente la documentazione allegata agli avvisi di accertamento, sicché non è possibile operare una valutazione di completezza e sufficienza di detta documentazione a fini integrativi della motivazione dell’atto impositivo.
3.3. In ogni caso, la CTR ha ritenuto, con accertamento in fatto, che gli avvisi di accertamento siano sufficientemente motivati, in quanto idonei a rendere palese alla società contribuente la pretesa impositiva. E, in proposito, la ricorrente finisce con il confondere la prova delle contestazioni contenute nell’avviso di accertamento, con la motivazione di quest’ultimo, la cui legittimità non è di per sé esclusa dalla semplice presenza di alcuni ‘omissis’.
Con il quarto motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 1, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR ritenuto irrilevante l’assenza dell’elemento soggettivo della colpevolezza in capo alla società contribuente.
4.1. Il motivo è infondato.
4.2. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, « In tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, l’art. 5 d.lgs. n. 472 del 1997, applicando alla materia fiscale il principio sancito in generale dall’art. 3 l. n. 689 del 1981, stabilisce che non è sufficiente la mera volontarietà del comportamento sanzionato, essendo richiesta anche la consapevolezza del contribuente, a cui deve potersi rimproverare di aver tenuto un comportamento, se non necessariamente doloso, quantomeno negligente. È comunque sufficiente la coscienza e la volontà della condotta, senza che occorra la dimostrazione del dolo o della colpa, la quale si presume fino alla prova della sua assenza, che deve essere offerta dal contribuente e va distinta dalla prova della buona fede, che rileva, come esimente, solo se l’agente è incorso in un errore inevitabile, per essere incolpevole l’ignoranza dei presupposti dell’illecito e dunque non superabile con l’uso della normale diligenza » (Cass. n. 2139 del 30/01/2020).
4.3. Nel caso di specie, la CTR ha chiaramente escluso la buona fede di COGNOME, sicché deve ritenersi integrata la coscienza e la volontà della frode perpetrata, con conseguente sussistenza della colpevolezza e legittima irrogazione delle sanzioni.
In conclusione, il ricorso va rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo avuto conto di un valore dichiarato della lite superiore ad euro 520.000,00.
5.1. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 11.000,00, oltre alle spese di prenotazione a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 05/12/2023.