Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32418 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 32418 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/12/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 28761/2021 R.G. proposto da:
COGNOME RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. MESSINA n. 3179/2021 depositata il 08/04/2021.
Udita la relazione svolta alla pubblica udienza del 11/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del diciassettesimo e del diciottesimo motivo.
Udito l’avv. NOME COGNOME per la ricorrente e l’avv. del lo Stato NOME COGNOME per la controricorrente.
FATTI DI CAUSA
A seguito di verifiche fiscali effettuate dal Nucleo regionale di Polizia Tributaria della Sicilia, nei confronti della RAGIONE_SOCIALE) operante nel settore della grande distribuzione, con avviso di accertamento n. RJF030100103/2006 relativo all’anno 2003, l’Agenzia delle entrate recuperava a tassazione IVA, IRPEG e IRAP, oltre sanzioni.
Contro tale avviso la società proponeva ricorso, che la Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Messina, ad esito di CTU, accoglieva parzialmente, escludendo ogni coinvolgimento della ditta ricorrente nell’evasione IVA contestata dall’Ufficio, commessa da terzi attraverso lettere d’intento false, e rideterminando l’imposta a debito con riguardo alle differenze inventariali.
3.Avverso tale decisione interponeva appello l’Agenzia mentre la contribuente proponeva appello incidentale.
La Commissione Tributaria Regionale (CTR) della Sicilia, con la sentenza in epigrafe, accoglieva l’appello dell’Ufficio e rigettava quello incidentale della società.
Respinte le questioni preliminari, la CTR riteneva che una serie di operazioni di vendita esenti ex art 8 comma 2 del d..P.R. n 633/1972, sulla base di dichiarazioni di intento rilasciate dagli apparenti cessionari (RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE; RAGIONE_SOCIALE; RAGIONE_SOCIALE; RAGIONE_SOCIALE; RAGIONE_SOCIALE di Scudera Giuseppe; Igiene 2000 di COGNOME NOME ) , erano in realtà soggettivamente inesistenti: « effettuati riscontri incrociati, finalizzati a verificare la effettiva esportazione delle merci in questione -era emersa una vasta frode ai danni dell’erario, originantesi dall’avere alcune di tali ditte comprato le
merci dalla società in verifica, previa emissione di mendaci lettere di intenti, senza che però i beni acquistati venissero effettivamente esportati, in quanto venivano ceduti all’interno del territorio nazionale, in totale evasione d’imposta in favore» di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, effettivi cessionari delle merci. Sulla scorta degli accertamenti compiuti dalla Guardia di Finanza e, in particolare, delle dichiarazioni dei dipendenti della RAGIONE_SOCIALE, era emerso che al ritiro della merce provvedevano la RAGIONE_SOCIALE, lmbesi, Famà e COGNOME che effettuavano il trasporto con mezzi ad essi direttamente riconducibili; era emerso, inoltre, che le apparenti cessionarie erano mere cartiere, non operative, cessate o in dissesto, che i pagamenti avvenivano, « anche e soprattutto con denaro contante, trasportato in buste di plastica» e che sui documenti era riportata la firma, anche per ricezione della merce, di COGNOME NOME e di COGNOME NOME, soci amministratori della RAGIONE_SOCIALE
In conclusione, secondo la CTR, non solo la RAGIONE_SOCIALE non aveva dato prova della sua estraneità rispetto al meccanismo fraudolento realizzato ma anzi gli elementi emersi costituivano indizi gravi della contestata compartecipazione nella frode.
La CTR, inoltre, confermava le riprese relative alle differenze inventariali come accertate dall’Ufficio.
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società fondato su venti motivi.
9 . Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 41 e 50 del d.l. n. 331 del 1993, 54 del d.P.R. n. 633 del 1972, laddove la CTR aveva ritenuto che la contribuente avrebbe dovuto dimostrare l’impossibilità di venire a conoscenza della frode, ponendo così a
carico del cedente un onere più gravoso di quello richiesto secondo la normativa vigente all’epoca delle operazioni contestate.
1.1. Il motivo è inammissibile laddove non coglie la ratio decidendi della sentenza: la CTR ha accertato «plurimi imponenti elementi emersi in sede di verifica fiscale» di una frode , a fronte dei quali ha ritenuto soltanto che fosse onere del contribuente dimostrare «l’effettiva esportazione della merce o, in mancanza, fornire adeguata prova della sua buona fede, dimostrando che lo stesso non era in grado di venire a conoscenza della frode», concludendo, con apprezzamento incensurabile nel giudizio di legittimità, che tale prova non fosse stata fornita ma, anzi, fossero emersi elementi che dimostravano la sua partecipazione alla frode.
1.2. Il motivo, comunque, è infondato perché tale impostazione fa buon governo dei principi in materia.
1.3. Va premesso che costituiscono cessioni all’esportazione non imponibili ai fini IVA ex art. 8, comma 1, lett. c), d..P.R. 633/1972, quelle effettuate da un cedente a favore di soggetto esportatore abituale, purché corredate da dichiarazione di intenti redatta da quest’ultimo sotto la propria responsabilità, come previsto dall’art. 1, comma 1, lett. c), d.l. 29.12.1983, n. 746, convertito, con modificazioni, dalla l. 27.2.1984, n. 17, secondo cui tale dichiarazione deve essere consegnata o spedita al fornitore o prestatore, ovvero presentata in dogana, prima dell’effettuazione della operazione . Secondo la normativa applicabile ratione temporis (v. art. 7, comma 3, ultimo periodo, d.lgs. 18.12.1997, n. 471), qualora la dichiarazione sia stata rilasciata in mancanza dei presupposti richiesti dalla legge, dell’omesso pagamento del tributo rispondono esclusivamente i cessionari, i committenti e gli importatori che hanno rilasciato la dichiarazione stessa. Peraltro, se condo l’art. 1 comma 1 lett. c), cit., come modificato dall’art. 1, comma 381, l. 30.12.2004 n. 311, il cedente o prestatore che abbia ricevuto la dichiarazione deve comunicare all’Agenzia delle
entrate, esclusivamente per via telematica entro il giorno 16 del mese successivo, i dati contenuti nella dichiarazione ricevuta; il successivo comma 384 dello stesso art. 1, l. n. 311/2004, poi, stabilisce che « Chiunque omette di inviare, nei termini previsti, la comunicazione di cui all’articolo 1, comma 1, lettera c), ultimo periodo, del decreto-legge 29 dicembre 1983, n. 746, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1984, n. 17, introdotto dal comma 381, o la invia con dati incompleti o inesatti, è responsabile in solido con il soggetto acquirente dell’imposta evasa correlata all’infedeltà della dichiarazione ricevuta ».
1.4. Va sottolineato, tuttavia, che la lotta contro eventuali evasioni, elusioni e abusi costituisce un obiettivo riconosciuto ed incoraggiato dalle direttive IVA (v. Corte giust., 29 aprile 2004, Gemeente Leusden e RAGIONE_SOCIALE, C -487/01 e C -7/02, punto 76; Corte giust., 21 giugno 2012, COGNOME e COGNOME, C -80/11 e C -142/11; Corte giust. 8 maggio 2019, C-712/17, RAGIONE_SOCIALE, punto 31 ) che giustifica talvolta obblighi severi per il venditore (Corte giust., 27 settembre 2007, C -409/04, Teleos, punti 58 e 61 ); quindi, non è contrario al diritto dell’Unione esigere che un operatore agisca in buona fede e adotti tutte le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l’operazione effettuata non lo conduca a partecipare ad un’evasione tributaria (v., sentenze Teleos e a., cit., punto 65, nonché COGNOME e COGNOME, cit., punto 54). Pertanto, anche con riferimento ad operazioni precedenti all’entrata in vigore della l. n. 311/2004, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in caso di dichiarazione di intento falsa rilasciata dal cessionario, l’obbligo del cedente di assolvere successivamente l’IVA su tali beni può essere escluso solo nella misura in cui risulti provato che egli aveva adottato tutte le misure ragionevoli in suo potere, al fine di assicurarsi che la cessione effettuata non lo conducesse a partecipare alla frode (Cass. n. 12751 del 2011; v. anche Cass. n.
7389 del 2012, che argomenta proprio « ex Corte Giust. CE, 27 settembre 2007, C- 409/04, 68 e 72 in tema cessione e acquisto intracomunitari» ).
1.5. Incombe sull’Ufficio l’onere di dar prova, anche in via indiziaria, della frode o della falsità ideologica della dichiarazione ma non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità, con riferimento a una connessione probabile di accadimenti in base a regole di esperienza (Cass. n. 13807 del 2019; Cass. n. 4168 del 2018; Cass. n. 17833 del 2017; Cass. n. 25129 del 2016; già Cass. sez. un. n. 9961 del 1996); la prova può ritenersi raggiunta se l’Amministrazione fornisce attendibili indizi idonei ad integrare una presunzione semplice e, dunque, non occorre la prova “certa” e incontrovertibile di ogni operazione e dettaglio ma è sufficiente che gli elementi forniti dall’Amministrazione si riferiscano anche solo ad alcune fatture o circostanze rilevanti (cfr. Cass. n. 9851 del 2018 in tema di operazioni soggettivamente inesistenti). Spetta, invece, al cedente dimostrare l’assenza di un proprio coinvolgimento nell’attività fraudolenta, ossia di non essere stato a conoscenza dell’assenza delle condizioni legali per l’applicazione del regime in esame o di non essersene potuto rendere conto pur avendo adottato tutte le ragionevoli misure in suo potere ( ex multis , Cass. n. 9586 del 2019; Cass. n. 14979 del 2020; Cass. n. 19896 del 2016). E’ opportuno aggiungere che l’onere di diligenza, ed altresì di prudenza, gravante sul cedente, onde prevedere e prevenire possibili illeciti ‘a valle’, si accentua a fronte dell’emersione di indici di anomalia rispetto a prassi ordinarie attraverso un’indagine non limitata alle risultanze formali, ma estesa alla reale situazione
economico -imprenditoriale (Cass. n. 22261 del 2014; v. anche Cass. n. 9851 del 2018).
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 41 e 50 del d.l. n. 331 del 1993, 54 del d..P.R. n. 633 del 1972 e degli artt. 2697 e 2729 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., laddove, secondo la CTR, la F.RAGIONE_SOCIALE Cambria non aveva dimostrato di non essere in grado di avere conoscenza della frode. In particolare, la ricorrente segnala che gli stessi verificatori non avevano accertato gli effettivi destinatari delle merci con riguardo a molte delle operazioni contestate; inoltre, non era stato provato che i mezzi utilizzati per i trasporti fossero riconducibili ai signori COGNOME, COGNOME e COGNOME; al più, emergeva -ma la circostanza non era conoscibile dalla cedente – « che la merce fosse stata in realtà trasportata dai magazzini della Cambria ai magazzini riconducibili prevalentemente allo COGNOME Mario e ai signori COGNOME e COGNOME» . In definitiva, la CTR aveva posto a fondamento della sua decisione un fatto insussistente e aveva violato le regole sulla responsabilità del cedente che, in caso di vendite ‘franco magazzino’, non aveva l’onere di verificare l’effettiva destinazione dell a merce venduta.
2.1. Il motivo è inammissibile per più ragioni.
2.2. E’ inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, in quanto l’accertamento in fatto svolto dal giudice di merito è incensurabile nel giudizio di legittimità, se correttamente motivato (Cass., Sez. Un., n. 34476 del 2019). In particolare, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema
interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione ( ex multis Cass., n. 26110 del 2015); ancora si rileva che « Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione » (Cass. n. 9097 del 2017).
2.3. Quanto, poi, alla violazione delle regole sull’onere della prova, va osservato che « La violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. » (Cass., n. 17313 del 2020).
2.4. Una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito,
« ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione » (Cass. n. 6774 del 2022; Cass. n. 1229 del 2019; Cass. n. 27000 del 2016). Atteso che il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito configura un errore di valutazione dei fatti, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque sempre nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (Cass. n. 23940 del 2017).
2.5. Non pare superfluo aggiungere che il tentativo di rimettere in discussione l’accertamento in fatto svolto dal giudice del merito è anche viziato da una lettura parziale del compendio istruttorio, considerandosi soltanto alcuni degli elementi istruttori, in violazione del modello cd. “atomistico-analitico” sulla base del quale va svolto il ragionamento presuntivo (Cass. n. 19045 del 2022; Cass. n. 9054 del 2022). Trattandosi di prova indiziaria, non è necessario l’accertamento dell’effettiva destinazione della merce per tutti gli ordinativi contestati al fine di dimostrare la frode o la falsità ideologica della dichiarazione d’intento ; dalle dichiarazioni dei terzi informatori, che hanno valore di elementi indiziari, utilizzabili sia dall’Amministrazione sia dal contribuente (Cass. n. 8221 del 2023), si desume la riferibilità dei trasporti ai soggetti indicati quali autori della frode (v., per esempio, l’autotrasportatore NOME COGNOME che ha riferito di « trasporti di merce da Milazzo a Polistena (RC), depositandola in un magazzino ubicato sulla INDIRIZZO
collega Polistena a San Giorgio, per conto di tale COGNOME Mario, anche se la fatturazione era riferita alle ditte RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Domenico, COGNOME di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE», v. nota 15 del ricorso ); in ogni caso, era conoscibile da parte del cedente la divergenza tra intestatari delle fatture e consegnatari della merce emersa, come accertato in sentenza, dalla documentazione acquisita dai verificatori («… è risultato documentato che le ricevute bancarie, gli assegni, i manoscritti e le fatture, recavano la firma per ricezione della merce di RAGIONE_SOCIALE NOME e di COGNOME NOME, soci amministratori della RAGIONE_SOCIALE »).
Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione dell’art. 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., perché, sebbene « l’attività di verifica avesse fatto emergere in alcuni casi un complesso meccanismo di frode che coinvolgeva terzi ben individuati soggetti..», la ricorrente aveva esposto, con riguardo a ciascun rapporto in contestazione, le ragioni per cui doveva escludersi la consapevole partecipazione della società contribuente ai fatti illeciti ovvero dalle quali emergeva la buona fede della cedente. La CTR aveva confermato l’accertamento senza esaminare analiticamente la posizione dei singoli cessionari, aventi ognuno le proprie peculiarità, né gli argomenti difensivi addotti, incorrendo così la sentenza nel vizio di omessa o apparente motivazione.
3.1. Il motivo è infondato.
3.2. Non essendo più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza –
di ‘mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata (Cass. n. 23940 del 2018; Cass. sez. un. 8053 del 2014), a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v., ultimamente, anche Cass. n. 7090 del 2022). Questa Corte ha, altresì, precisato che « la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture » (Cass., sez. un., n. 22232 del 2016; conf. Cass. n. 9105 del 2017, secondo cui ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il Giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi in modo da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento). In questo caso, come si desume dalla superiore espositiva dei fatti di causa, la motivazione attinge il c.d. ‘minimo costituzionale’, presentando una motivazione chiaramente intelligibile nel suo percorso logicogiuridico, oltretutto coerente con i principi in materia che non richiedono da parte della cedente, per andare esente da responsabilità, la prova della conoscenza della frode ma la dimostrazione di aver agito in buona fede avendo assunto tutte le cautele del caso.
Con il quarto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2697
e 2729 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., perché la CTR aveva mancato di porre a fondamento della decisione le ragioni esposte dalla ricorrente che dimostravano la sua estraneità alla frode .
4.1. Il motivo è inammissibile. Come già osservato, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. n. 331 del 2020; Cass. n. 19547 del 2017; Cass. n. 24679 del 2013; Cass. n. 27197 del 2011; Cass. n. 2357 del 2004). Va tenuto presente che il Giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132, n. 4, c.p.c., che esponga in maniera concisa -come avvenuto in questo caso gli elementi posti a fondamento della sua decisione, e dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’ iter argomentativo seguito (Cass. n. 12131 del 2023).
Con il quinto motivo , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.) si deduce violazione dell’art. 112 c.p.c. e, in subordine, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 7 della l. n. 212 del 2000, 3 della l. n. 241 del 1990, 56 del d..P.R. 26 ottobre 1972, perché l’accertamento era stato motivato con riferimento ad atti, relativi a terzi soggetti, non conosciuti dalla ricorrente né allegati all’avviso di accertamento impugnato. Su tale questione la CTR non aveva deciso, incorrendo in omessa pronuncia, ovvero aveva rigettato implicitamente la questione, violando le norme indicate.
5.1. Il motivo è infondato con riguardo all’omessa pronuncia, ricorrendo una ipotesi di rigetto implicito in quanto la questione, essendo incompatibile con la decisione assunta, si deve ritenere rigettata (Cass. n. 12131 del 2023); infatti, non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; tale vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione (Cass. n. 2151 del 2021; Cass. n. 24953 del 2020).
5.2. Il motivo è infondato con riguardo alla violazione di legge.
5.2.1. L’utilizzabilità di atti relativi a terzi si desume dall’art. 7 l. n. 212/2000 che prevede, con riferimento alla motivazione dell’atto impositivo, che « Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama » (ma secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, l’atto può essere anche solo riprodotto nella sua parte essenziale nell’avviso, cd. motivazione per relationem , v., ultimamente, Cass. n. 21670 del 2024 in motivazione e altra giurisprudenza ivi citata); questa Corte ritiene, altresì, « legittima l’utilizzazione di qualsiasi elemento con valore indiziario, anche acquisito in modo irrituale, ad eccezione di quelli la cui inutilizzabilità discende da specifica previsione di legge e salvi i casi in cui venga in considerazione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale» (Cass. n. 31779 del 2019); l’estraneità del contribuente all’attività di indagine da cui è scaturito l’atto non lo rende di per sé inutilizzabile nei suoi confronti, come affermato « in linea di principio » anche dalla giurisprudenza unionale in tema di IVA (Corte giust., 16 ottobre 2019, C-189/18, Glencore ).
5.2.2. Quanto all’accesso del contribuente alle informazioni sottostanti l’emissione dell’atto impugnato, è la stessa
giurisprudenza eurounitaria ad affermare che il rispetto del diritto di difesa non costituisce una prerogativa assoluta ma può essere assoggettato a restrizioni, in particolare in ambito tributario (Corte giust, 9 novembre 2017, C-298/16, Ispas , punto 35), ove occorre tutelare ulteriori interessi, come la vita privata di terzi e la stessa efficacia dell’azione repressiva, interessi meritevoli di tutela e che possano essere pregiudicati dall’accesso indiscriminato. E’ stato, quindi, affermato che «i l principio del rispetto dei diritti della difesa, in un procedimento amministrativo non impone quindi all’amministrazione finanziaria un obbligo generale di fornire un accesso integrale al fascicolo di cui dispone, ma esige che il soggetto passivo abbia la possibilità di ricevere, a sua richiesta, le informazioni e i documenti contenuti nel fascicolo amministrativo e presi in considerazione da tale amministrazione ai fini dell’adozione della sua decisione » (Corte giust., Glencore , cit., punto 56). In tal senso è anche la giurisprudenza di questa Corte, che ha di recente ribadito come in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, il diritto di accesso alle informazioni sottostanti l’emissione dell’atto impugnato può essere esercitato solo se, e nella misura in cui, sia strumentale all’esercizio del diritto di difesa, che può dirsi violato ove il contribuente illustri come ed in che termini la tempestiva ostensione degli elementi di fatto a lui favorevoli, e non contenuti negli atti impositivi impugnati, avrebbe potuto influenzare l’esito dell’accertamento nei propri confronti (Cass. n. 36852 del 2022; Cass. n. 34044 del 2023).
5.2.3. Sotto questo profilo va altresì considerato, a mente dello stesso diritto eurounitario, che il parametro di riferimento è costituito dal principio di effettività – in forza del quale le modalità procedurali interne « non devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione » -, principio che, tuttavia, come ribadito dalla Corte di Giustizia, « non esige che una
decisione contestata, in quanto adottata in violazione dei diritti della difesa, sia annullata in tutti i casi. Infatti, una violazione dei diritti della difesa determina l’annullamento del provvedimento adottato al termine del procedimento amministrativo di cui trattasi soltanto se, in mancanza di detta irregolarità, il procedimento sarebbe potuto giungere a un risultato diverso » (Corte giust., 4 giugno 2020 , SC C.F. SRL , C -430/19, punti 35 e 37). Ciò si verifica ove il contribuente illustri come e in che termini, in mancanza di detta irregolarità e della conseguente compressione del diritto di difesa, il procedimento amministrativo, nel caso in cui il diritto di difesa fosse stato rispettato, sarebbe potuto giungere a un risultato diverso (cd. « prova di resistenza », v. Corte giust., 3 luglio 2014, Kamino , C -129/13 e C -130/13, punti 78 e 79; Corte giust., 10 ottobre 2009, NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE , C -141/08, punto 94; Corte giust., 10 settembre 2013, M.G. e N.R. , C -383/13, punto 38; Corte giust., 26 settembre 2013, Texdata Software , C -418/11, punto 84).
5.2.4. La violazione del diritto di accesso alla documentazione non offerta tempestivamente in comunicazione dall’Ufficio, in quanto strumentale all’esercizio del diritto di difesa (ad es., in relazione agli elementi favorevoli al contribuente che non siano stati immediatamente resi noti), sussiste, pertanto, ove il tempestivo accesso a tali documenti e la loro valorizzazione in sede amministrativa avrebbe comportato un diverso esito nell’atto impositivo. Parte ricorrente, che lamenta la violazione del diritto di difesa rispetto a informazioni relative ai terzi cessionari, né indica con precisione di quali atti si tratti né in alcun modo deduce o articola come l’ostensione di ulteriori elementi avrebbe potuto condurre ad un esito diverso del procedimento né precisa quali ragioni avrebbe potuto in concreto far valere in quel caso. In altri termini, la «lamentata violazione è dedotta solo in sé e per sé, neppure deducendo ulteriori elementi suscettibili di una diversa,
anche solo potenziale, considerazione del merito dell’accertamento» (Cass. n. 20964 del 2021), da ciò, dunque, il rigetto della censura.
Il sesto, il settimo, l’ottavo e il nono motivo possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi, censurandosi gli elementi presuntivi in base ai quali i Giudici d’appello hanno ritenuto che la F.lli COGNOME non avesse dimostrato di non essere stata in grado di venire a conoscenza della frode ma, anzi, che vi fossero elementi di prova della sua partecipazione ad essa.
6.1. Con il sesto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 41 e 50 del D.L. n. 331 del 1993, 54 del D..P.R. n. 633 del 1972 e degli artt. 2697 e 2729 c.c. e dell’art. 115 c.p.c.: quanto alle firme di COGNOME NOME, COGNOME NOME ed altri su ricevute bancarie e assegni relativi ai pagamenti della merce acquistata dai presunti esportatori abituali, la ricorrente osserva che tali circostanze non potevano avere valore decisivo, tenuto conto delle dimensioni medio -grandi della impresa, delle modalità di vendita della struttura cash&carry , con numerosi addetti e un sistema di identificazione mediante utilizzo di tesserino magnetico di identificazione, che « non contemplava certo l’ipotesi che qualcuno usasse il tesserino di terzi onde perpetrare illeciti di natura fiscale », nonché della normalità dei pagamenti mediante assegni emessi con la dicitura ‘a me stesso’ e poi girati.
6.2. Con il settimo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 41 e 50 del D.L. n. 331 del 1993, 54 del D..P.R. n. 633 del 1972 e degli artt. 2697 e 2729 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., perché erroneamente la CTR aveva dato rilievo alle dichiarazioni dei dipendenti della RAGIONE_SOCIALE che non avevano concordemente riferito, come affermato invece in sentenza, che la RAGIONE_SOCIALE ed i
suoi soci promotori fossero effettivi cessionari della merce; oltretutto le loro dichiarazioni riguardavano soltanto alcune delle ditte apparenti acquirenti, non tutte quelle cui si riferivano le contestazioni.
6.3. Con l’ottavo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 41 e 50 del D.L. n. 331 del 1993, 54 del D..P.R. n. 633 del 1972 e degli artt. 2697 e 2729 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., laddove la CTR aveva ritenuto che i formali cessionari erano non operativi, in dissesto finanziario, falliti o cessati: « l’ingrosso RAGIONE_SOCIALE Scali in data 20/10/2003 (per fallimento), IGIENE 2000, in data 31/12/2002; RAGIONE_SOCIALE, al 19/11/2003 e DRAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, al 14/7/2004 (per fallimento) » . Tali situazioni, osserva la ricorrente, riguardavano soltanto alcuni dei cessionari, non tutti quelli cui si riferivano le contestazioni, e si erano verificate successivamente al compimento delle operazioni .
6.4. Con il nono motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. violazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c. perché, non solo presi unitariamente ma anche valutati complessivamente, tutti gli elementi sopra evidenziati non consentivano di ritenere che fosse stata fornita la prova della partecipazione della Cambria alla frode o almeno la conoscibilità della stessa.
6.5. Anche questi motivi sono inammissibili: ancora una volta, dietro il paradigma della violazione di legge si cerca di rimettere in discussione l’accertamento in fatto svolto dal Giudice di merito, sicché valgono le osservazioni svolte in precedenza (v., in particolare, par. 2.2. e segg.).
6.6. Le censure sfuggono al concetto di falsa applicazione, concretizzandosi nell’affermazione che le circostanze fattuali, in relazione alle quali il ragionamento è stato enunciato, avrebbero dovuto essere ricostruite in altro modo ovvero nella prospettazione di una inferenza probabilistica semplicemente diversa da quella che
si dice applicata dal giudice di merito, senza spiegare e dimostrare perché quella da costui applicata abbia esorbitato dai paradigmi dell’art. 2729 c.c. La critica si risolve in un diverso apprezzamento della quaestio facti , e, in definitiva, in una diversa ricostruzione della stessa quaestio ponendosi così su un terreno che non è quello del n. 3 dell’art. 360 c.p.c. (Cass. sez. un. n. 1785 del 2018).
6.6.1. Le deduzioni della ricorrente non inficiano il quadro indiziario, che evidenzia come vi sia stata, quantomeno, una grave sottovalutazione da parte della F.RAGIONE_SOCIALE Cambria del rischio di frodi, laddove la ricorrente, nonostante i segnali di importanti anomalie, aveva concesso al Famà, allo Scali e all’Imbesi un trattamento privilegiato. Secondo quanto risulta, in particolare, dalle dichiarazioni dei dipendenti (NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, v. nota 30 del ricorso), i tre erano «c lienti particolari » che era stati affidati ad un collaboratore di provata fiducia ( COGNOME ), i loro ordini venivano ‘lavorati’ con peculiari modalità (apposizione sugli ordini di appunti manoscritti dei nomi ‘COGNOME‘, ‘NOME‘, ‘COGNOME‘ , «in modo che si sapesse chi (..) doveva pagare il carico di merce», COGNOME) , a dispetto del sistema informatico e automatizzato di gestione delle vendite; tutto ciò nonostante i tre non solo ricevessero merci fatturate a nome di altre ditte ma pagassero ingenti somme in contanti («gli importi pagati dalle predette persone erano di diverso ammontare, da 10.000 euro ad un massimo di 70-80.000 euro, sempre in contanti, con banconote di vario taglio. Gli importi più consistenti erano consegnati da COGNOME NOMECOGNOME Lo stesso portava le banconote avvolte in fogli di carta chiusi in buste di plastica », Bongiorno; « COGNOME si presentava con i soldi, circa 100 o 120 milioni di lire, avvolti in fogli di giornale chiusi con adesivo da imballaggio. Spesso il signor COGNOME affidava ad autotrasportatori i soldi in pagamento delle fatture, anche per importi considerevoli, sempre chiusi nel solito pacco di fogli di giornale; (..) a volte i pagamenti venivano fatti al
signor COGNOME NOME», COGNOME ), anche per conto delle società che avevano rilasciato le dichiarazioni d’intento ( «gli stessi COGNOME NOME e COGNOME NOME consegnavano il denaro in pagamento delle fatture emesse nei confronti della ditta RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME nell’anno 2002, della società RAGIONE_SOCIALE nell’anno 2003 e successivamente dalla società RAGIONE_SOCIALE, fino al febbraio 2004», COGNOME) .
Con il decimo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., violazione dell’art. 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. laddove la CTR ha ritenuto che la compartecipazione della società alla frode emergesse dalla circostanza secondo cui « anche la valutazione circa l’assenza di interesse della società rispetto alle operazioni fraudolente, appare errata, risultando l’interesse in re ipsa, e desumibile dalla stessa emissione di fatture senza dovere assolvere all’immediato obbligo di versamento dell’IVA e nell’incremento del volume d’affari ». Secondo la ricorrente, tale argomento è palesemente illogico e, comunque, tale da non consentire la ricostruzione della ratio decidendi (motivazione apparente).
7.1. Il motivo censura un passaggio motivazionale che ha un rilievo puramente argomentativo e non incide sulla ratio decidendi ; esso, pertanto, è inammissibile secondo il consolidato principio di diritto per cui « In sede di legittimità sono inammissibili, per difetto di interesse, le censure rivolte avverso argomentazioni contenute nella motivazione della sentenza impugnata e svolte “ad abundantiam” o costituenti “obiter dicta”, poiché esse, in quanto prive di effetti giuridici, non determinano alcuna influenza sul dispositivo della decisione » (tra le molte, Cass. n. 22380 del 2014).
Risultano fondati, invece, l’undicesimo, il tredicesimo, il quindicesimo, il diciassettesimo motivo e diciannovesimo motivo.
8.1. Con l’undicesimo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.), violazione dell’art. 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. per motivazione apparente della sentenza impugnata laddove si è osservato che «Quanto ai rilievi formulati in merito alle differenze inventariali e ai relativi imponibili fiscali, ritiene la Commissione che sia parimenti errata la metodologia utilizzata dal CTU, che ha fatto propri tutti i rilievi evidenziati dalla ditta (disattesi dalla guardia di finanza in sede di verifica perché non supportati), concernenti il cattivo carico/scarico dei pall-box, il cattivo carico/scarico formaggio ». La CTR, invero, non spiega perché la metodologia adottata dalla CTU non sarebbe condivisibile.
8.2. Con il tredicesimo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., violazione dell’art. 112 c.p.c. laddove si era eccepita la illegittimità e l’infondatezza dell’ultimo rilievo contenuto nell’avviso di accertamento n. RJF030100103: a pagina 3 dell’avviso si contestavano ‘ versamenti mensili relativi ai periodi da febbraio ad agosto 2003 in misura inferiore a quella spettante dalla liquidazione effettuata in sede di verifica per l’importo complessivo di € 582.444,00 (pag. 111 del P.V.) ‘ e la contribuente aveva osservato che si trattava di una illegittima duplicazione di un precedente rilievo ‘sostanziale’. Chiedeva, pertanto, l’annullamento del rilievo in esame e la CTR aveva omesso di pronunziare sul punto.
8.3. Con il quindicesimo motivo si deduce , ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.). violazione dell’art. 112 c.p.c. laddove la ricorrente aveva eccepito l’illegittimità del procedimento di irrogazione delle sanzioni evidenziato nell’avviso impugnato, dovendosi applicare il principio di continuazione di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 472/1997, e la CTR non aveva provveduto in merito.
8.4. Con il diciassettesimo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.), violazione dell’art. 112 c.p.c. laddove
si era contestata l’omessa contabilizzazione e fatturazione di operazioni attive, con recupero a tassazione di un imponibile di € 239,26, pari ad un’imposta di € 47,84 e la CTR non aveva provveduto.
8.5. Con il diciannovesimo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.), violazione dell’art. 112 c.p.c. perché nella memoria del 9 luglio 2018 la Fratelli COGNOME aveva invocato, con riguardo alle sanzioni irrogate, il trattamento più favorevole di cui al d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, ma il giudice d’appello non aveva dato risposta.
Restano assorbiti i restanti motivi, proposti in subordine rispetto a quelli accolti, con riferimento alle medesime questioni. In particolare, con il dodicesimo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), violazione dell’art. 4 del d..P.R. n. 441 del 1997, in relazione alle differenze inventariali. Con il quattordicesimo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.) violazione dell’art. 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., per motivazione apparente sulla questione afferente ai versamenti mensili in misura inferiore a quella spettante. Con il sedicesimo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., violazione dell’art. 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., per motivazione apparente sull’inapplicabilità della continuazione per quanto riguarda le sanzioni. Con diciottesimo motivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., si deduce violazione dell’art. 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., per motivazione apparente sulla questione dell’omessa contabilizzazione e fatturazione di operazioni attive. Con il motivo ventesimo si deduce, in relazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.), violazione dell’art. 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., per motivazione apparente con riferimento alla
richiesta di applicazione dello ius superveniens più favorevole in materia di sanzioni.
Conclusivamente, accolti l’undicesimo, il tredicesimo, il quindicesimo, il diciassettesimo e il diciannovesimo motivo, assorbiti il dodicesimo, il quattordicesimo, il sedicesimo, il diciottesimo e il ventesimo, rigettati gli altri, la sentenza deve essere cassata di conseguenza con rinvio al giudice del merito.
P.Q.M.
accoglie l’undicesimo, il tredicesimo, il quindicesimo, il diciassettesimo e il diciannovesimo motivo, assorbiti il dodicesimo, il quattordicesimo, il sedicesimo, il diciottesimo e il ventesimo, rigettati gli altri, cassa di conseguenza la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria della Sicilia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, l’11/06/2024.