Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16275 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16275 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 17/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16960/2021 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME ed NOME COGNOME elettivamente domiciliato in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio legale COGNOME
COGNOME
COGNOME;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale pro tempore, domiciliata ex lege in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA n. 1437/2021 depositata il 13/04/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 . NOME COGNOME presentava all’Ufficio territoriale dell’Agenzia delle Entrate di Milano istanza di rimborso delle somme oggetto di ritenute effettuate, quale sostituto d’imposta, dalla RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE e già RAGIONE_SOCIALE), ai sensi
dell’art. 33, commi 1 e 2bis , d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, a titolo di aliquota addizionale del dieci per cento sui bonus eccedenti la parte fissa della retribuzione pagata al medesimo contribuente, relativamente all’ anno di imposta 2015, per mancanza del presupposto soggettivo.
La Commissione tributaria provinciale di Milano accoglieva il ricorso, ritenendo fondate le censure del contribuente.
La Commissione tributaria regionale della Lombardia accoglieva il gravame proposto dall’Agenzia delle Entrate.
Avverso la decisione propone ricorso per cassazione il contribuente, affidandosi a due motivi.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
È stata, quindi, fissata l’adunanza camerale per il 21/05/2025.
Il Pubblico Ministero, in persona del sostituto Procuratore generale dott.ssa NOME COGNOME ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il contribuente deduce la «Formazione del c.d. ‘giudicato esterno’ a seguito della definitività delle sentenze della CTR della Lombardia n. 1102/2020, n. 368/2020, n. 1033/2020 emesse anche nei confronti di altri dipendenti della medesima società RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE ed aventi ad oggetto il medesimo petitum dell’odierno contenzioso».
Nella sostanza si contesta la sentenza in scrutinio nella parte in cui non tiene conto della definitività delle decisioni assunte dalla CTR aventi ad oggetto l’applicazione dell’addizionale.
1.1. Il motivo è infondato per plurime concorrenti ragioni.
Deve rilevarsi innanzitutto che la formazione di un giudicato opponibile (che sia uno di quelli eccepiti dal contribuente o altro che possa interessare comunque quest’ultimo) trova ostacolo in relazione alla pura «interpretazione giuridica» della norma tributaria,
nel caso di specie, l’interpretazione «in astratto» dell’art. 33 del d.l. n. 78 del 2010, come novellato dal d.l. n. 98 del 2011, in particolare riguardo al concetto di «settore finanziario» ed alla questione dell’abrogazione tacita o meno della formula «che eccedono il triplo della parte fissa della retribuzione», di cui al comma 1), ove intesa come mera argomentazione avulsa dalla decisione del caso concreto, poiché detta attività, compiuta dal giudice e contestuale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, non può mai costituire un limite all’esegesi esercitata da altro giudice, né è suscettibile di passare in giudicato autonomamente dalla domanda e dal capo di essa cui si riferisce, assolvendo ad una funzione meramente strumentale rispetto alla decisione, ferma, in ogni caso, la necessità del collegamento, tendenzialmente durevole, ad una situazione di fatto (Cass. n. 23723/2013).
Nel caso di specie, le decisioni che si vorrebbe esplicassero efficacia di giudicato dipenderebbero, al netto delle possibili questioni di fatto (peraltro con dati oggettivi variabili, dei quali non è presumibile la permanenza e la costanza in tutti gli anni d’imposta), esclusivamente dall’interpretazione del ridetto art. 33, ovvero dall’esegesi della fattispecie legale astratta, che non vincola pertanto i successivi giudicanti.
Ferma restando tale premessa, sufficiente all’integrale rigetto del motivo, deve aggiungersi, con specifico riferimento alle decisioni dedotte nel motivo di ricorso, che le sentenze sulle quali si fonda l’eccezione di giudicato non sono state emesse nei co nfronti dello stesso contribuente, mentre l’efficacia di giudicato esterno (non ricorrendo la fattispecie di cui all’art. 1306 c .c.: cfr. Cass. n. 691/2011; Cass. n. 24558/2015; Cass. n. 12252/2017) presuppone necessariamente che la decisione divenuta irrevocabile sia stata emessa all’esito di un procedimento svoltosi tra le stesse parti ( ex plurimis : Cass., Sez. U., n. 13916/2006; Cass. n. 38950/2021; Cass. n. 16684/2022; Cass. n. 23658/2008), il che non si verifica nel caso
di specie, ove le sentenze si riferiscono a parti diverse dall’odierno contribuente.
Infine, ferme le ragioni della generale infondatezza del mezzo, va pure considerato che il giudicato esterno, per essere eccepito o rilevato comunque per la prima volta nel giudizio di legittimità, deve essere sopravvenuto rispetto alla sentenza impugnata con il ricorso. In relazione alle predette sentenze irrevocabili, rispetto alla data di deposito della sentenza qui impugnata (13 aprile 2021) e comunque alla data della relativa udienza di deliberazione (24 marzo 2021), termine ultimo per ogni allegazione difensiva in grado di appello nel rito tributario (cfr. ex plurimis Cass. n. 25863/2022; Cass. n. 14883/2019, nel giudizio ordinario; Cass. n. 35920/2021), tale condizione non sussiste per alcuna delle sentenze prodotte, depositate in data 7/02/2020 (la n. 368/2020) e il 15/06/2020 (la n. 1033/2020), sicché la rilevazione del relativo giudicato sarebbe comunque ulteriormente preclusa
Infatti la sentenza qui impugnata, pur dando atto che il contribuente ha depositato pronunce di merito favorevoli relative a diverse annualità, ma non «espressione di un indirizzo giurisprudenziale univoco» non rende conto della deduzione (e della documentazione) in quel grado di merito del preteso giudicato esterno, né comunque della proposizione, da parte dello stesso contribuente, della relativa eccezione, che neppure nel ricorso per cassazione si deduce sia stata già sollevata dal contribuente.
Infine, e comunque, questa Corte ha già deciso analoga controversia del medesimo contribuente rigettandone il ricorso contro la sfavorevole decisione di appello (Cass. n. 18960/2023), il che, anche a voler ritenere che si formi giudicato, avrebbe efficacia prevalente in quanto formatosi successivamente (Cass. n. 19803/2022 e Cass. n. 13804/2018 secondo cui, ove sulla medesima questione si siano formati due giudicati contrastanti, al fine di stabilire quale dei due debba prevalere occorre fare riferimento al
criterio temporale, nel senso che il secondo giudicato prevale in ogni caso sul primo, purché la seconda sentenza contraria ad altra precedente non sia stata sottoposta a revocazione, impugnazione peraltro ammessa esclusivamente ove la decisione oggetto della stessa non abbia pronunciato sulla relativa eccezione di giudicato).
Con il secondo motivo si censura la «Violazione e falsa applicazione dell’art. 33 d.l. 31 maggio 2010, n. 78 attesa l’assenza del c.d. requisito s oggettivo di cui all’art. 33, primo comma, d.l. n. 78/2010, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.», avendo i giudici di secondo grado ritenuto sussistente il requisito soggettivo in realtà assente. I dirigenti assoggettati al prelievo in oggetto sono infatti esclusivamente quelli operanti nel settore finanziario, laddove la società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE opera nel settore della consulenza finanziaria e redige il proprio bilancio secondo le regole previste per i soggetti «industriali», confermandosi perciò estranea alle regole poste per i soggetti finanziari.
2.1. Il motivo, relativo al requisito soggettivo dell’appartenenza al «settore finanziario» della società che corrisponda la retribuzione variabile, operativa nel caso di specie nella consulenza finanziaria, è infondato, alla luce del principio affermato, all’esito di udienza pubblica, da Cass. n. 16257/2023, secondo cui «L’imposta addizionale prevista dall’art. 33 del d.l. n. 78 del 2010, conv. in l. n. 122 del 2010 – trattenuta dal sostituto di imposta al momento dell’erogazione degli emolumenti riconosciuti ai dirigenti sotto forma di ” bonus ” e ” stock options ” quando detti compensi eccedano la parte fissa della retribuzione – si applica nei confronti dei dirigenti delle imprese operanti nel settore finanziario, con clausola generale riferita al settore finanziario inteso nella sua globalità e complessità, sì da ricomprendere anche soggetti non necessariamente sottoposti a vigilanza e/o che svolgano attività rivolta al pubblico, stante la ragione socio-economica di un intervento diretto a comprendere tutti quegli attori di compagini che, essendo attive sulla scena finanziaria,
sono in grado, direttamente e/o indirettamente, di indurne torsioni pregiudizievoli per effetto di abnormi incentivi retributivi, laddove, riguardo alla disposizione di riferimento, eventuali riscontri extratestuali – derivanti da fonti nazionali, europee e internazionali possono rivestire solo il ruolo di indici rivelatori esemplificativi, ma non esaustivi della fattispecie tributaria interna». Nella specie la Corte ha ritenuto che rientrino in essa le società che svolgano servizi di consulenza e assistenza in materia societaria e finanziaria alle aziende.
Tali principi sono stati affermati consapevolmente superando i diversi precedenti di Cass. n. 22692/2020 e Cass. n. 3913/2022 e risultano ribaditi da numerosissimi ulteriori arresti (Cass. n. 28199/2023; in relazione alla medesima società; Cass. n. 28502/2023; Cass. n. 28519/2023; Cass. n. 28614/2023; Cass. n. 28681/2023; Cass. n. 31080/2023; Cass. n. 18624/2023; in relazione alla medesima società; Cass. n. 18748/2023; Cass. n. 18757/2023; Cass. n. 18960/2023; relativa al medesimo contribuente; Cass. n. 25509/2023).
Il percorso argomentativo adottato da questa Corte può essere compendiato nei seguenti passaggi:
-l’analisi delle ragioni della crisi portò ad evidenziare l’attitudine del sistema a creare, per gli operatori, un metodo di incentivi distorto e deresponsabilizzante, rendendo necessario intervenire, con funzione generale e preventiva, soprattutto in materia di politiche di remunerazione dei manager e di gestione dei rischi;
-in tale quadro si collocò l’intervento dell’organismo di consultazione economica mondiale del G20, frutto del summit del settembre 2009, nel cui leaders’ statement riassuntivo si menzionava l’assunzione di rischi sconsiderati e irresponsabili da parte non solo di banche, ma anche di altri «istituti finanziari»;
-una tale locuzione, in un contesto internazionale necessariamente sintetico rispetto alle più specifiche fattispecie
domestiche, va interpretata in senso ampio, tenendo conto della sua connotazione in termini di idoneità ad esporre a rischio l’economia reale in seguito alle possibili condotte degli operatori (conformemente a quanto, peraltro, rappresentato dagli organismi dell’Unione Europea nell’ambito di iniziative coeve);
-in questo senso va valutata l’iniziativa del legislatore italiano, il quale del resto, se avesse voluto limitare il riferimento dell’art. 33 agli intermediari regolati dal T.U.B., o ad altra specifica categoria di operatori, lo avrebbe fatto con previsione esplicita o, quantomeno, di rinvio alla fonte;
la ragione socio-economica della norma era quindi quella di intervenire ad ampio raggio sul «settore finanziario», per comprendere, con imposizione di pericolo astratto (o presunto), tutti gli attori che, operando sulla scena finanziaria globale, sono in grado, direttamente e/o indirettamente, di indurne torsioni pregiudizievoli per effetto di incentivi retributivi (come si evince anche dal fatto che l’addizionale è stata estesa anche al di fuori del normale rapporto di preposizione organica, ovvero ai «titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa nello stesso settore»).
Tali principi appaiono frutto di giurisprudenza consolidata, cui va quindi data continuità.
Concludendo, il ricorso deve essere respinto.
Alla soccombenza segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore dell’Agenzia delle entrate .
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna NOME COGNOME al pagamento delle spese di lite in favore dell’Agenzia delle entrate, spese che liquida in euro 6.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte
del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 21/05/2025.