Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5675 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5675 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/03/2025
Oggetto: IVA – bonus
quantitativi
–
art.26,
comma 2, d.P.R. 633/72
– principio di diritto
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23986/2016 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE DELLE RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME con domicilio eletto presso lo studio del primo difensore in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Puglia, sez. staccata di Lecce, n.1836/24/2015 depositata il 10 settembre 2015, non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 4 dicembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia, sez. staccata di Lecce, veniva parzialmente accolto l’appello principale della societ à RAGIONE_SOCIALE – esercente attivit à di commercio di autoveicoli – e rigettato l’appello incidentale dell’Agenzia delle entrate proposti avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Lecce n.434/2/2011, la quale a sua volta aveva parzialmente accolto il ricorso introduttivo avente ad oggetto riprese ad imposizione per II.DD. e IVA, oltre accessori, relativi all’anno di imposta 2004.
Nella sentenza impugnata si legge che le riprese traevano origine da p.v.c. emesso nei confronti della società, a seguito del quale l’Agenzia le notificava l’avviso di accertamento, attraverso cui determinava ricavi omessi in parte per vendita sottocosto di autoveicoli usati e, in parte, per costi di mano d’opera superiori ai ricavi, recuperava costi indebitamente dedotti ed un maggior valore della produzione. Inoltre, contestava l’omessa esposizione dell’IVA e l’omessa regolarizzazione ex art. 6, comma 8, lettera b), del d.lgs. 471 del 1997, da parte della società delle note di credito emesse dalla RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE senza l’applicazione dell’IVA, qualificandoli «sconti concessi per il raggiungimento di determinati obbiettivi di vendita» erogati dalla casa madre. Per l’effetto, procedeva alle rettifiche ai fini IRES, IVA ed IRAP ed all’applicazione delle relative sanzioni e interessi per un totale di euro 911.380,55.
Il giudice di prime cure riteneva in via preliminare legittima l’attività accertativa condotta dall’Amministrazione finanziaria nel caso di specie ma, nel merito, disponeva l’annullamento del rilievo relativo ai
contestati ricavi non dichiarati per il suddetto periodo di imposta e rideterminava l’entità dei costi indebitamente dedotti dalla base imponibile, anche ai fini IVA e IRAP.
La CTR, a sua volta, accogliendo in parte la prospettazione della contribuente, riconosceva come legittimi unicamente i rilievi per costi indeducibili pari ad euro 3.553,38, maggiore IVA dovuta per euro 29.527,51 e maggiore IRAP per euro 3.553,38.
Avverso la decisione del giudice d’appello ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate affidato a quattro motivi, cui ha replicato la contribuente con controricorso e depositando istanza di sospensione del giudizio ex lege n.197/2022.
A seguito di sospensione, in data 25.6.2024 l’Agenzia delle Entrate ha comunicato che la causa non risulta interessata da domande di definizione della controversia ex art. 1 della L. 197/2022 e ha sollecitato la fissazione della presente adunanza camerale.
Considerato che:
In via del tutto preliminare, va dato atto dell’eccezione sollevata dalla società secondo la quale il ricorso sarebbe inammissibile per violazione del principio di autosufficienza, ex art. 366 del cod. proc. civ. , in quanto l’impugnazione non presenterebbe quel carattere di autonomia necessario ai fini della sua ammissibilità.
1.1. L’eccezione non può essere accolta, in quanto nel corpo del ricorso gli atti e i documenti su cui si fonda la ricostruzione della materia del contendere, gli snodi processuali e le difese delle parti, sono adeguatamente sintetizzati nel loro contenuto e vi è anche la trascrizione di alcune parti degli avvisi di accertamento impugnati.
Con il primo motivo di ricorso, in relazione all’art.360, primo comma, n.4 cod. proc. civ., si deduce la violazione e falsa applicazione d ell’art. 132 n. 4 cod. proc. civ. e degli artt. 1, comma 2, 36, e 61 d.lgs. 546/1992, nonché dell’art. 111, comma 6, Cost. con conseguente nullità della sentenza per assoluta mancanza o mera apparenza della motivazione in relazione al recupero di ricavi omessi di euro 364.713,72, di cui euro 218.232,01 «per vendita sottocosto
dell’usato » ed euro 146.481,71 « per costi di mano d’opera superiori ai ricavi».
La censura è parzialmente fondata.
3.1. La Corte reitera l’insegnamento secondo cui la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. Un. 3 novembre 2016 n. 22232). Si rammenta inoltre che la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. Un., 7 aprile 2014 n. 8053). Infine, va anche ribadito che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo , quando, benché graficamente esistente, non rende, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del
proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. Un. 3 novembre 2016 n. 22232).
3.2. Orbene, la CTR sulle due riprese oggetto di censura esprime la seguente considerazione: «per alcune attività si può anche perdere se poi alla conclusione di tutto comunque esse concorrono a determinare un risultato economico positivo. Nel caso, il ricorrente ha dimostrato che il risultato economico risulta positivo e le scelte operate risultano giuste e corrette».
M entre con riferimento alla vendita sottocosto dell’usato la motivazione espressa dalla sentenza nell’escludere l’antieconomicità delle operazioni, per quanto succinta, può essere considerata rispettosa del minimo costituzionale in quanto idonea a investire logicamente la tipologia di ripresa basata a sua volta su una valutazione economica , l’ellit tica argomentazione è apparente quanto alla ripresa per costi di mano d’opera superiori ai ricavi , questione che richiede uno specifico argomentare sui singoli costi addotti e contestati che va oltre la mera generica economicità complessiva della gestione tenuto conto del compendio delle attività.
Non è sufficiente affermare che «la ricorrente ha dimostrato che il risultato economico risulta positivo e le scelte operate risultano giuste e corrette». Così argomentando la sentenza non esplicita, in modo intelligibile, il concreto iter logico-giuridico seguito per giungere a tale conclusione circa i costi di manodopera. La motivazione non è mancante, è graficamente presente, ma a fronte degli articolati rilievi e delle precise contestazioni di antieconomicità per vendite e servizi sottocosto, pur tenuto conto del rinvio alla decisione di primo grado -generico e non supportato da specifica esplicitazione delle ragioni dell’adesione -, comunque si colloca al di sotto del minimo costituzionale.
Con il secondo motivo la ricorrente, in rapporto all’art.360, primo comma, n.4 cod. proc. civ., prospetta la violazione e falsa applicazione d ell’ art 132, n. 4, cod. proc. civ. e degli artt. 1, comma 2, 36,
e 61 d.lgs. 546/1992, nonché dell’art.111, comma 6, Cost. e la nullità della sentenza per assoluta mancanza o mera apparenza della motivazione quanto al recupero di costi indeducibili pari ad euro 250.600,00 per provvigioni a terzi.
Il motivo è infondato.
5.1. Va rammentato che in tema di imposte sui redditi delle società (cfr. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 24880 del 18/08/2022), la deducibilità di costi ed oneri, come pure la detraibilità della relativa IVA (v. Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 14858 del 07/06/2018; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 18904 del 17/07/2018), richiedono l’inerenza all’attività di impresa, da intendersi come necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale. Sono così esclusi quelli che si collocano in una sfera estranea ad essa, senza che si debba compiere alcuna valutazione in termini di utilità – anche solo potenziale ed indiretta – secondo valutazione qualitativa e non quantitativa. La relativa prova, in caso di contestazioni dell’amministrazione finanziaria, è a carico del contribuente, dovendo egli provare e documentare l’imponibile maturato e, quindi, l’esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, quale atto di impresa perché in correlazione con l’attività di impresa e non ai ricavi in sé.
5.2. Dall’avviso di accertamento riprodotto in ricorso risulta che l’Amministrazione finanziaria ha contestato innanzitutto il requisito della certezza, come si legge a pag.3 del ricorso, che riporta un brano pertinente dell’ avviso di accertamento, e anche l ‘esistenza e l’ inerenza, come si evince dalla sintesi delle controdeduzioni dell’Ufficio in primo grado. Il ricorso a pag.5 sintetizza anche che «con riferimento all’indebita detrazione del costo ‘provvigioni a terzi’, l’Ufficio evidenziava che dalla documentazione reperita in sede di verifica (relativa al solo anno 2001) non si evinceva alcun nesso con la tipologia di costo imputato al suddetto conto».
5.3. A fronte di tale contestazione, l’argomentare della CTR , quanto al requisito dell’esistenza , certezza ed inerenza: 1) fa riferimento
preciso alla fonte contrattuale dell’obbligazione al pagamento delle provvigioni in favore dell’intermedia ria società RAGIONE_SOCIALE individuato nel contratto stipulato il 14/10/2002 per il periodo di imposta che qui interessa; 2) compie una valutazione complessiva inserendo tale contratto nel quadro delle indicazioni ricevute direttamente dal produttore di autovetture RAGIONE_SOCIALE e valuta le ragioni organizzative dell’adesione a tale indicazione per incentivare le vendite; 3) identifica l’obbiettivo contrattuale raggiunto per il quale sono dovute le provvigioni («1.100 autovetture nuove al 31/12/2003 o 2004»); 4) accerta in fatto che tale obiettivo «veniva raggiunto e superato nell’anno 2004 (n.447 nel 2001, n.636 nel 2002, 1065 nel 2003 e 1169 nel 2004)». In ultima analisi, è stata realizzata dal giudice una statuizione sufficientemente precisa, motivata e basata sul quadro istruttorio raccolto nel processo, rilevante non solo circa il requisito dell’esistenza del costo, ma anche alla certezza ed inerenza all’attività di impresa delle «provvigioni pattuite in atti di Euro 250.600,00». Tale argomentare non può essere considerato una motivazione assente né meramente apparente alla stregua dei canoni giurisprudenziali riportati al precedente motivo.
Il terzo mezzo di impugnazione deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 109 TUIR e 2697 cod. civ. in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., da un lato quanto ai rilievi per ricavi omessi ammontanti complessivamente ad euro 364.713572 di cui euro 218.232,01 per vendita sottocosto dell’usato ed euro 146.481,71 quali ricavi non contabilizzati a fronte di costi di mano d’opera sostenuti dalla società RAGIONE_SOCIALE D all’altro, con riferimento alla indeducibilità dei costi per provvigioni a terzi, lamenta il difetto del requisito di certezza e inerenza della componente negativa di reddito.
Il motivo è inammissibile, come eccepito in controricorso.
7.1. Innanzitutto, lo è riguardo alla tecnica di formulazione in quanto l’unico mezzo di impugnazione censura due distinte rationes decidendi espresse (antieconomicità, e certezza, esistenza, inerenza dei
costi per provvigioni) con riferimento a tre diverse riprese (vendita sottocosto, ricavi contabilizzati a fronte di costi manodopera, ineducibilità costi per provvigioni . Così facendo l’Agenzia non ha considerato (cfr. Cass. 28 novembre 2014 n. 25332) che il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, distinti in relazione ai diversi e autonomi capi della decisione impugnata. Il mezzo di impugnazione è onnicomprensivo, senza compiere tali distinzioni necessarie ai fini dell’ammissibilità.
7.2. Inoltre, per effetto dell’accoglimento del primo motivo , sia pur ni limiti e termini esplicitati in motivazione, l’Agenzia non ha neppure interesse alla decisione sulla parte della macro-doglianza relativa alla statuizione del giudice sulla ricostruzione dei maggiori ricavi, già considerata affetta da apparenza della motivazione.
7.3. Ulteriore concorrente ragione di inammissibilità investe la parte del mezzo di impugnazione che fa riferimento alla indeducibilità dei costi per provvigioni a terzi (pp.17 e ss. ricorso) in quanto, come visto in dipendenza del precedente motivo, i l giudice d’appello pur senza nominarlo ha sostanzialmente rispettato l’art.109, comma 5, TUIR perché ha ragionato su elementi idonei a soddisfare non solo il requisito dell’esistenza, ma anche della certezza ed inerenza compiendo un complessivo accertamento fattuale basato sul quadro istruttorio che non può essere rivalutato in sede di legittimità nei termini proposti.
Il quarto motivo , in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., investe la ripresa IVA con riferimento alle contestate note di credito emesse da Citroen Italia S.p.a. ricevute dalla contribuente e deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 26, comma 2, d.P.R. n. 633/72 e articolo 6, comma 8, d.lgs. n. 471/1997.
Il motivo è fondato, per le ragioni che seguono.
9.1. È necessaria una sintetica ricostruzione circa la triplice tipologia di bonus che operano in materia di IVA, dovendosi distinguere: a)
bonus cd. quantitativi ossia assegnazioni corrisposte in relazione ad attività proprie del cliente/cessionario ed incidenti sul volume d’affari del fornitore/concedente (v. Cass. n. 20636 del 31 luglio 2019); b) bonus cd. qualitativi per i quali le corrispondenti erogazioni sono corrisposte non a fronte dell’attivit à tipicamente svolta dal cliente/concessionario, bensì con riferimento a operazioni collaterali finalizzate all’ampliamento delle vendite e alla fidelizzazione della clientela , come operazioni di marketing e altre specifiche obbligazioni di fare (cfr. Cass. Sez. 5, ordinanza n. 16128 del 28/06/2017); bonus cd. misti per i quali il riconoscimento è condizionato al conseguimento di obiettivi sia qualitativi sia quantitativi (v. Cass. Sez. 5, ordinanza n. 16128 del 2017).
9.2. Nella seconda tipologia di bonus la prestazione viene assoggettata al regime ordinario se sussiste corrispettivit à tra la somma corrisposta dal fornitore dei beni e lo svolgimento, da parte del soggetto percettore, di specifiche obbligazioni di fare, riconducibili alla categoria dei servizi (v. Cass. ult. cit.), la cui definizione è individuata nell’art. 3, comma 1, del d.P.R. n. 633, secondo il quale «costituiscono prestazioni di servizi le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte».
Nella terza tipologia il riconoscimento del bonus dipende a sua volta dall’adempimento di obbligazioni qualitative non autonome ma funzionali alla realizzazione dell’obbiettivo quantitativo (Cass. n. 11398 del 2015).
9.3. Nella fattispecie il giudice a p.6 della sentenza ha accertato che si tratta di «sconti concessi per il raggiungimento di determinati obbiettivi di vendita», riconducibili alla prima tipologia di bonus, quantitativo, che si concretizza in una remunerazione del medesimo core business aziendale svolto in via ordinaria del cliente/cessionario, ossia la vendita di autovetture, ed incide sul volume d’affari del fornitore/concedente.
In tal senso è anche la ulteriore specificazione operata dalla sentenza impugnata laddove afferma che «gli importi concessi dalla casa madre rappresentano sconti concessi per il raggiungimento di determinati obiettivi di vendita di autovetture» ( ibidem ).
10. Ciò premesso, il regime fiscale applicabile deve rispettare il principio di neutralit à dell’IVA.
10.1. La Corte di giustizia UE con sentenza 13.12.1989, causa C342/87, RAGIONE_SOCIALE , punto 15 ha autorevolmente chiarito che il diritto alla detrazione implica l ‘ effettiva debenza della imposta indicata in fattura, e non è pertanto sufficiente a consentire l’esercizio del diritto alla detrazione dell’imposta armonizzata la mera indicazione in fattura della imposta qualora questa «non corrisponda ad un’operazione determinata, perch é́ è pi ù̀ elevata di quella dovuta per legge o perch é́ l’operazione di cui trattasi non è soggetta all’IVA».
10.2. Con la Corte di Giustizia, sentenza 13 marzo 2014 in causa C107/13, NOME COGNOME, punto 54 «si deve infatti rammentare al riguardo che, per quanto concerne il trattamento di un’IVA indebitamente fatturata a causa della mancanza di un’operazione imponibile, dalla direttiva 2006/112 risulta che i due operatori interessati non sono necessariamente tr attati in modo identico. Da un lato, l’emittente di una fattura è debitore dell’IVA indicata nella medesima anche in mancanza di un’operazione imponibile, conformemente all’articolo 203 della direttiva 2006/112. Dall’altro, l’esercizio del diritto a detrazione del destinatario di una fattura si limita alle sole imposte corrispondenti ad un’operazione soggetta all’IVA, conformemente agli articoli 63 e 167 di tale direttiva (sentenza del 31 gennaio 2013, LVK -56, C-643/11, punti 46 e 47)».
Orbene, in una situazione del genere, il rispetto del principio della neutralità fiscale è garantito dalla possibilità, che dev’essere prevista dagli Stati membri, di rettificare le imposte indebitamente fatturate, qualora colui che ha emesso la fattura dimostri la sua buona fede o abbia completamente eliminato, in tempo utile, il rischio di perdita di gettito fiscale (cfr. CGUE, sentenza LVK -56, cit., punto 48).
10.3. Molto calzanti anche i successivi punti 56 e 57 della citata sentenza NOME COGNOME secondo cui « come osservato dall’avvocato generale al paragrafo 43 delle sue conclusioni, in circostanze come quelle di cui al procedimento principale, fintantoché l’acconto non sia stato restituito dal fornitore, la base imponibile dovuta da quest’ultimo a titolo dell ‘incasso di tale acconto non può essere ridotta ai sensi del combinato disposto degli articoli 65, 90 e 193 della direttiva 2006/112 (v., in tal senso, per quanto concerne la rettifica della base imponibile in caso di ristorni, sentenza del 29 maggio 2001, COGNOME , C-86/99, Racc. pag. I-4167, punto 35).
In tale contesto, e fatto salvo il diritto per il soggetto passivo di ottenere dal proprio fornitore, con gli strumenti a tal fine previsti dal diritto nazionale, la restituzione dell’acconto versato per la cessione di beni in definitiva non effettuata, il fatto che l’IVA dovuta da tale fornitore non sia stata essa stessa rettificata non incide sul diritto dell’amministrazione finanziaria di ottenere la restituzione dell’IVA detratta da tale soggetto passivo a titolo del versamento dell’acconto corrispondente a tale cessione.».
11. L’esigenza imposta da ll’architettura della normativa IVA di matrice eurounitaria di una esatta corrispondenza della detrazione alla imposta effettivamente dovuta è attuata nell’ordinamento italiano dalla disciplina normativa fissata dall’art. 26, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972, ossia del trattamento riservato agli ‘ abbuoni o sconti previsti contrattualmente ‘ .
11.1. In particolare, il testo ratione temporis vigente prevede: «se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, (…) in conseguenza dell’applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’art. 19 l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’art. 25.».
In corrispondenza, «Il cessionario o committente, che abbia già registrato l’operazione ai sensi di quest’ultimo articolo, deve in tal caso registrare la variazione a norma dell’art. 23 o dell’art. 24, salvo il suo diritto alla restituzione dell’importo pagato al cedente o prestatore a titolo di rivalsa.».
11.2. Il regime IVA applicabile (cfr. Cass., Sez. 5, 11.12.2013, n. 27692) impone pertanto ad entrambe le parti dell’operazione l’adempimento di specifici oneri formali volti, sostanzialmente, a modificare ex post i dati relativi al corrispettivo ed alla imposta liquidata indicati nella originaria fattura. Questo avviene (v. Cass. n. 20636 del 31.7.2019) mediante la rappresentazione meramente contabile di una operazione inversa, in cui il cedente/prestatore emette una nota di accredito a favore del cessionario/committente, con indicazione dell’importo corrispondente alla riduzione di prezzo praticata, sul quale liquida l’imposta, con applicazione della medesima aliquota IVA indicata nella originaria fattura, così da precostituirsi il titolo cartolare idoneo a portare in detrazione – assumendo figurativamente la posizione del cessionario/committente – l’imposta liquidata nella nota di credito.
Il cedente/prestatore deve perciò annotare la variazione nel proprio registro degli acquisti ai sensi dell’art. 25 del d.P.R. n. 633 del 1972), come se si trattasse di una fattura passiva, mentre il cessionario/committente che riceve la nota di credito, deve in corrispondenza annotare la variazione nel proprio registro fatture o dei corrispettivi (v. artt. 23 e 24 del d.P.R. n. 633 del 1972).
12. Tirando le fila da quanto precede, dev’essere fissato il seguente principio di diritto:
« In tema di IVA, in applicazione del principio di neutralità dell’imposta armonizzata, ai cd. ‘ bonus quantitativi’ consistenti in assegnazioni corrisposte in relazione ad attività proprie del cliente/cessionario ed incidenti sul volume d’affari del fornitore/concedente, nella specie vendita di autovetture, trova applicazione il regime fiscale riservato agli “abbuoni o
sconti previsti contrattualmente” di cui all’art. 26, secondo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 ».
Erra dunque il giudice d’appello laddove, a pag. 6 della sentenza, subito dopo la corretta qualificazione dei bonus in questione afferma: «per essi non va emessa nota di credito per di più gravata da IVA». Non solo il capo della decisione è stato impugnato ed è oggetto del motivo in disamina, con conseguente assenza di giudicato interno come a torto ritiene la controricorrente, ma, alla luce della ricostruzione che precede, la statuizione si pone in violazione della previsione normativa da ultimo richiamata e di ciò terrà conto il giudice del rinvio.
13. La sentenza impugnata è perciò cassata e, per l’effetto, la controversia va rinviata alla Corte di Giustizia di secondo grado della Puglia, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione ai profili e per la liquidazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, nei limiti di cui in motivazione, e il quarto, infondato il secondo, inammissibile il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Giustizia di secondo grado della Puglia, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione ai profili e per la liquidazione delle spese di lite. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 4.12.2024