Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 870 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 870 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/01/2025
Avv. Acc. IRPEF 2008
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17432/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato.
-ricorrente –
Contro
COGNOME massimo, rappresentato e difeso dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO.
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. TOSCANA -SEZIONE DISTACCATA DI LIVORNO n. 120/10/2016, depositata in data 28 gennaio 2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 novembre 2024 dal Consigliere dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
NOME COGNOME riceveva notifica di un avviso di accertamento ai fini IRPEF relativo al 2008. L’Agenzia delle Entrate direzione
provinciale di Livorno – rideterminava sinteticamente il reddito complessivo del detto contribuente ex art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, accertando un maggior reddito di € 112.002,88 per il 2008, a fronte dell’importo di € 2.556,00 dichiarati. La rettifica originava dal riscontro, operato dall’Ufficio, della disponibilità del detto contribuente di beni e situazioni indicativi di capacità contributiva quali, segnatamente: abitazione principale, motociclo e un’imbarcazione. Inoltre, a questi elementi di capacità contributiva venivano aggiunti quelli in possesso della società RAGIONE_SOCIALE di cui il contribuente era rappresentante legale e socio al 90%, quali: immobile, due automobili, imbarcazione e canoni di leasing .
Avverso l’avviso di accertamento il contribuente proponeva ricorso dinanzi alla C.t.p. di Livorno; si costituiva in giudizio anche l’Ufficio, chiedendo la conferma del proprio operato.
La C.t.p., con sentenza n. 245/01/2015, accoglieva il ricorso del contribuente.
Contro tale decisione proponeva appello l’Agenzia delle Entrate dinanzi la C.t.r. della Toscana; si costituiva in giudizio anche il contribuente, chiedendo la conferma di quanto statuito in primo grado.
Con sentenza n. 120/10/2016, depositata in data 28 gennaio 2016, la C.t.r. adita rigettava il gravame dell’Ufficio.
Avverso la sentenza della C.t.r. della Toscana, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi mentre il contribuente ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 28 novembre 2024.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Nullità. Motivazione apparente ed illogica, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.» l’Ufficio lamenta l’ error in procedendo
nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la C.RAGIONE_SOCIALE ha motivato in maniera soltanto apparente, non riuscendo a dar conto dell’ iter logico giuridico seguito per pervenire al rigetto dell’appello dell’Ufficio e delle argomentazioni dallo stesso portate.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione degli artt. 38 d.P.R. n. 600/1973, 2 del D.M. 10/09/1992 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.» l’Ufficio lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la C.t.r. non ha ritenuto di porre a base dell’accertamento i beni in possesso della società, nonostante gli stessi non fossero strumentali all’attività di impresa o, comunque, venissero utilizzati promiscuamente, così poi non accertando l’esistenza della prova contraria all’accertamento di maggior reddito effettuato dall’Ufficio.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 38 d.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.» l’Ufficio lamenta l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la C.t.r. non si è comunque pronunciata sulla possibilità di rideterminazione parziale dell’accertamento verificando se, una volta disconosciuta la possibilità di inglobare nello stesso i beni in possesso della società, sussistesse prova contraria all’accertamento di maggior reddito derivante dal possesso incontestato dei beni intestati direttamente al contribuente.
Seguendo un iter logico giuridico nella disamina dei motivi, vanno esaminati congiuntamente il primo ed il terzo motivo di ricorso in ragione della loro connessione e dell’affinità delle critiche sollevate; essi sono fondati.
2.1. Invero, con riguardo al vizio di motivazione occorre dire che la mancanza della stessa, rilevante ai sensi dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. e, nel caso di specie, dell’art. 36,
comma 2, n. 4, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, riconducibile all’ipotesi di nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., si configura quando questa manchi del tutto -nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere, risultante dallo svolgimento del processo, segue l’enunciazione della decisione, senza alcuna argomentazione -ovvero nel caso in cui essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum (Cass., SS. UU., sent. 7 aprile 2014 n. 8053; successivamente, tra le tante, Cass. n. 6626/2022 e Cass. n. 22598/2018).
2.2. Ebbene, una volta sancita questa riduzione al «minimo costituzionale» del sindacato che questa Corte può effettuare sulla motivazione, risulta ictu oculi come la decisione della C.t.r. qui impugnata si palesa affetta dal vizio in discussione.
Invero, nella sentenza impugnata si legge che ‘Non c’è dubbio, come ha già statuito la CTP nella sentenza impugnata, che – in caso di beni sociali -spetta all’amministrazione finanziaria la dimostrazione che gli stessi beni non si riferiscono alla società (cui sono intestati) ma al soggetto fisico socio (oggi appellato). Ed è la stessa amministrazione finanziaria che, in atto d’appello, dimostra di non aver prova di tali circostanze intendendo dedurre tale prova dal fatto che la società non ha dipendenti e che il COGNOME non risulta personalmente intestatario di autoveicoli (mentre, peraltro, è intestatario di un motociclo). Anche la circostanza che il socio (al 90%) finanziasse la società non pare dirimente. Del resto, non si vede per quale ragione non debba essere la società intestataria dei beni a essere oggetto di tassazione per tali beni, ma gli stessi debbano imputarsi personalmente al socio. È pacifico, peraltro, che la società non sia una società non operativa o di comodo. Del resto, il fatto che il legislatore sia intervenuto specificamente con l’art. 2
(commi 36quaterdecies , 36sexiesdecies , 36septiesdecies ) d.l. 138/2011 convertito in L. 148/2011, con misure molto più stringenti di quelle prima in vigore è segno tangibile del fatto che, per gli anni di imposta precedenti, le norme non potevano essere interpretate in modo estensivo. Ancora, nessun elemento di prova dell’assunto dell’Amministrazione può essere tratto dall’avvenuto finanziamento della società (che non è contestato che derivi dalla cessione della partecipazione in RAGIONE_SOCIALE)».
2.3. In proposito, risulta funzionale un excursus sullo strumento del «redditometro». Esso collega alla disponibilità di determinati beni e servizi in capo al contribuente, un certo importo, che, moltiplicato per un coefficiente, consente di individuare il valore del reddito del soggetto secondo criteri statistici e presuntivi, elaborati anche tenendo conto dei costi di mantenimento del bene o servizio in questione.
L’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, nel disciplinare il metodo di accertamento sintetico del reddito, nel testo vigente ratione temporis (cioè tra la L. 30 dicembre 1991, n. 413 e il D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla L. 30 luglio 2010, n. 122), prevede, da un lato (quarto comma), la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui presunti consumi); dall’altro (quinto comma), contempla le «spese per incrementi patrimoniali», cioè quelle sostenute per l’acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente. Ai sensi del sesto comma dell’art. 38 citato, resta salva la prova contraria, da parte del contribuente, consistente nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, o,
più in generale, nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore.
2.4. Costante orientamento di questa Corte afferma che la disciplina del redditometro introduce una presunzione legale relativa, imponendo la legge stessa di ritenere conseguente al fatto (certo) della disponibilità di alcuni beni l’esistenza di una capacità contributiva, sicché il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici elementi indicatori dì capacità contributiva esposti dall’Ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni (Cass. n. 1980/2020, Cass. n. 10266/2019, Cass. n. 5544/2019, Cass. n. 8933/2018, Cass. n. 8539/2017, Cass. n. 17487/2016, Cass. n. 930/2016 e Cass. n. 21335/2015). Rimane al contribuente l’onere di provare (oltre, eventualmente, l’insussistenza del presupposto, cioè la presenza dell’elemento indice di capacità contributiva), attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito, determinato o determinabile sinteticamente, è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta o, ancora, più in generale, secondo una ormai consolidata opinione di questa Corte, anche che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. n. 21142/2016, Cass. n. 18604/2012 e Cass. n. 20588/2005).
2.5. Altresì si è chiarito che i confini della prova contraria che il contribuente può offrire, in ordine alla presenza di redditi non imponibili, per opporsi alla ricostruzione presuntiva del reddito operata dall’amministrazione finanziaria, precisando che non è sufficiente dimostrare la mera disponibilità di ulteriori redditi o il semplice transito della disponibilità economica, in quanto, pur non
essendo esplicitamente richiesta la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, si ritiene che il contribuente «sia onerato della prova in merito a circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere»; è la norma stessa infatti a chiedere qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a ritenute alla fonte), in quanto, pur non prevedendo esplicitamente la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, chiede tuttavia espressamente una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto (o sia potuto accadere), in tal senso dovendosi leggere lo specifico riferimento alla prova (risultante da idonea documentazione) dell’entità di tali eventuali ulteriori redditi e della durata del relativo possesso, previsione che ha l’indubbia finalità di ancorare a fatti oggettivi (di tipo quantitativo e temporale) la disponibilità di detti redditi per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva accertata con metodo sintetico in capo al contribuente proprio a tali ulteriori redditi. Né la prova documentale richiesta dalla norma in esame risulta particolarmente onerosa, potendo essere fornita, ad esempio, con l’esibizione degli estratti dei conti correnti bancari facenti capo al contribuente, idonei a dimostrare la durata del possesso dei redditi in esame (Cass. n. 37985/2022, Cass. n. 19082/2022, Cass. n. 12600/2022, Cass. n. 12889/2018, Cass. n. 12207/2017, Cass. n. 1332/2016 e Cass. n. 8995/2014).
2.6. Nella fattispecie in esame, la C.t.r., con una motivazione, della quale non è agevole scorgere l’iter logico -giuridico sottostante, ha decisamente obliterato le argomentazioni dell’ente erariale che, a fronte dell’importo di € 2.556,00 dichiarati dal contribuente, aveva offerto quale compendio indiziario la disponibilità, in capo al Vagelli, sia di beni intestati a lui personalmente intestati (motociclo Honda di cc. 996, imbarcazione a vela di venti metri e immobile di
sette vani in Castiglioncello), sia di beni formalmente intestati alla società RAGIONE_SOCIALE (immobile, due autovetture, una imbarcazione a motore oltre ai canoni di leasing), ma utilizzati dal RAGIONE_SOCIALE stesso, socio della predetta società (al 90%) assieme alla moglie (10%). Invero, la tesi dell’Ufficio, prendeva spunto, a livello normativo, dal comma 1 del DM 10 settembre 1992, secondo cui “¡ beni e servizi di cui al comma 1 dell’art. 1 si considerano nella disponibilità della persona fisica che a qualsiasi titolo o anche di fatto utilizza o fa utilizzare i beni o riceve o fa ricevere i servizi ovvero sopporta in tutto o in parte i relativi costi”. Ebbene, la C.t.r. non ha individuato correttamente l’oggetto della prova e, anche, di conseguenza, il soggetto che doveva sopportare tale onere, venendo erroneamente individuato come oggetto di prova “la dimostrazione che gli stessi beni (sociali) non si riferiscono alla società (cui sono intestati) ma al soggetto fisico socio”. Viceversa, come emerge dalla lettera della norma applicata (richiamata in premessa dalla stessa C.t.r.), l’oggetto della prova è l’utilizzo del bene (che non era contestato), oppure la sopportazione dei costi (oggetto di contestazione tra le parti). L’Ufficio ha, con l’accertamento, considerato sia i beni personali, sia quelli intestati alla società, ma utilizzati dal RAGIONE_SOCIALE, ed ha anche proceduto a diminuire l’accertamento stesso per la somma corrispondente al reddito esente percepito per la cessione delle quote in Dolcerie RAGIONE_SOCIALE
I giudici di appello avrebbero dovuto verificare se i beni intestati alla società fossero “relativi esclusivamente all’attività di impresa”, nel significato di strumentalità e/o inerenza all’attività di impresa; tale esame non è stato effettuato.
Dall’accoglimento dei primi due motivi di ricorso, discende l’assorbimento del secondo motivo.
In conclusione, vanno accolti il primo ed il terzo motivo di ricorso e, assorbito il secondo, la sentenza impugnata va cassata con
rinvio del giudizio al giudice a quo affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo ed il terzo motivo di ricorso e, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia il giudizio innanzi alla Corte di Giustizia di secondo grado della Toscana -Sezione distaccata di Livorno affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 28 novembre 2024.