Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 533 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 533 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/01/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 1537/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore generale pro tempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l ‘ Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende per legge -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
-controricorrente-
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo -sezione distaccata di Pescara n. 554/02/2017 depositata il 12 giugno 2017. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 novembre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo accogliersi il primo motivo di ricorso, dichiararsi assorbito il secondo, cassarsi la sentenza impugnata, rigettarsi nel merito il ricorso introduttivo della contribuente;
udito per l’Avvocatura generale dello Stato l’Avv NOME COGNOME udito per parte contror icorrente l’Avv. NOME COGNOME per delega dell’Avv. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Si legge nel ricorso erariale che la società spagnola RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE e successivamente RAGIONE_SOCIALE) -reclamando l’applicazione del la Direttiva 2003/49/CE del 03/06/2003, recepita nell’ordinamento italiano mediante il d. lgs. 30 maggio 2005, n. 143, che ha introdotto l’art. 26quater d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600aveva richiesto il rimborso delle ritenute applicate – nella misura del 12%, in base alla Convenzione tra l’Italia e la Spagna per evitare le doppie imposizioni sul reddito e per prevenire le evasioni fiscali, ratificata e resa esecutiva in Italia dalla legge 29 settembre 1980, n. 663 – dalla società italiana RAGIONE_SOCIALE sugli interessi che questa ha corrisposto nel 2007 alla predetta RAGIONE_SOCIALE
La quale ultima aveva dedotto di essere divenuta creditrice della società italiana dopo averne acquisito dalla RAGIONE_SOCIALE, la totalità del pacchetto azionario, ed essersi impegnata con la cedente ad estinguere il debito residuo derivante dal finanziamento che la stessa RAGIONE_SOCIALE aveva in precedenza concesso alla predetta RAGIONE_SOCIALE , per poi rivalersi nei confronti di quest’ultima società italiana. Quindi la già menzionata RAGIONE_SOCIALE era subentrata, con apposito contratto, nel finanziamento che la stessa RAGIONE_SOCIALE aveva in precedenza concesso alla predetta RAGIONE_SOCIALE Successivamente, in data 28 febbraio 2007, RAGIONE_SOCIALE aveva stipulato con la debitrice RAGIONE_SOCIALE un accordo di
scioglimento del contratto di finanziamento, con restituzione, da parte della società italiana, della sorte capitale e della liquidazione degli interessi dovuti.
L’Agenzia delle entrate ha emesso un provvedimento di diniego, evidenziando il mancato assolvimento, da parte dell’istante, dell’onere della prova circa il possesso dei requisiti necessari per l’esenzione, in particolare con riferimento al ‘beneficiario effettivo” ed all’ “assoggettamento ad imposizione”, avuto riguardo:
-al contratto di prestito intercorso fra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (di cui non si conoscerebbero né data, né importo originario, né modalità di restituzione);
-all’acquisto dell’intero pacchetto azionario della RAGIONE_SOCIALE da parte dell’istante (che non sarebbe documentato);
-alla mancanza della documentazione bancaria delle transazioni finanziarie (circa la corresponsione del finanziamento originario; riguardo la risoluzione del medesimo prestito per effetto del pagamento del debito residuo da parte dell’istante , che se ne sarebbe fatta carico per poi rivalersi sulla italiana acquisita e controllata; in ordine alla restituzione dell’importo finanziato, effettuata dalla RAGIONE_SOCIALE alla società spagnola istante per il rimborso; relativamente al pagamento degli interessi), senza che tale carenza possa, second o l’Ufficio, ritenersi giustificata e supplita dall’esistenza di «un sistema di cash-pooling non bancario, utilizzato come una sorta di conto corrente intercompany ‘ , che si risolverebbe in una «una sorta di “camera di compensazione” fra le varie consociate e quindi fra le parti che hanno sottoscritto il contratto»;
-al bilancio della società istante, che non consentirebbe di verificare l’eventuale movimento di denaro relativo al prestito di che trattasi; attestato rilasciato dall’Autorità Fiscale spagnola, che certificherebbe semplicemente la residenza della società in Spagna e l’assoggettamento generico ad imposizione, nulla dichiarando in merito al trattamento fiscale all’ degli interessi.
L’Agenzia ha poi aggiunto che, ove pure fossero risultati dimostrati il subentro nel prestito e dunque la rinnovabilità del medesimo in capo alla società istante, quale creditrice, nel contratto tra l’istante e la società debitrice italiana la durata della restituzione del prestito indicata è di “un
anno con possibilità di proroga annuale automatica”: in teoria, con tale clausola, ci si troverebbe di fronte ad una specie di “contratto infinito”, in contrasto con quanto disposto dall’art.26-quater, al comma 3, lett. c), punto 5, secondo cui « c) non si considerano interessi: 5) i pagamenti relativi a crediti che non contengono disposizioni per la restituzione del capitale o per i quali il rimborso debba essere effettuato trascorsi più di cinquanta anni dalla data di emissione.».
Infine, l’Amministrazione ha rilevato che la società ha richiesto il rimborso di una ritenuta di € 12.189,54 pari al 12% di € 101.579,46, ma nell’accordo di scioglimento del contratto gli interessi da liquidare sono pari ad € 16.651,93; pertanto la pretesa avanzata dalla società istante risulta contraddetta dall’Accordo stesso, e dal momento che non è verificabile la natura della differenza di € 84.927,53, per essa non sarebbe comunque rimborsabile alcuna ritenuta
Avverso il diniego, la società spagnola ha presentato ricorso, che l’adita Commissione tributaria regionale di Pescara ha accolto, ritenendo provati e sussistenti i presupposti per il richiesto rimborso.
La sentenza è stata appellata dall’Ufficio e l’adita Commissione tributaria provinciale dell’Abruzzo -sezione distaccata di Pescara, con la sentenza di cui all’epigrafe, ha respinto l’impugnazione.
L’Agenzia ha quindi proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza, affidato a due motivi.
La contribuente si è difesa con controricorso.
Il P.M., nella persona del sostituto procuratore Generale NOME COGNOME ha depositato requisitoria scritta, chiedendo accogliersi il primo motivo, dichiararsi assorbito il secondo, cassarsi la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigettarsi il ricorso introduttivo della contribuente.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce «Violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 21 d.P.R. 633/72, 2697 e 2727 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.».
A prescindere dalle norme richiamate nella relativa rubrica, dal corpo del motivo si evince inequivocabilmente che l’errore in iudicando denunziato dalla ricorrente è quello che la CTR avrebbe commesso nell’affermare che non sarebbe stato violato l’art.26-quater, comma 3, lett. c), punto 5, in
quanto, secondo il giudice a quo , il contratto di mutuo tra la stessa istante e la società debitrice italiana aveva un termine di rimborso del capitale annuale, benché prorogabile. Senza che, peraltro, secondo la CTR, fosse configurabile, per la sola pattuizione di un termine rinnovabile, elusione o abuso del diritto, ammettendo la norma richiamata una possibile durata massima di 50 anni, limite non superato nel caso di specie, «tanto più che, secondo quanto allegato dalla parte appellata, il capitale sarebbe stato già restituito».
Va premesso che la ricorrente non indica, nel corpo del mezzo, di aver prodotto nel merito (né quindi in quale fase e grado dei relativi procedimenti) il contratto di mutuo, né comunque riproduce compiutamente le clausole, sul termine di restituzione del mutuo, delle quali soprattutto si controverte e sulle quali si incentra la censura di cui al primo motivo.
Il mezzo presenta quindi profili di inammissibilità per violazione dell’art. 366, primo comma, n. 6 cod. proc. civ., applicabile ratione temporis , anche accedendo ad un’interpretazione non formalistica di tale disposizione.
Infatti, questa Corte ha già ritenuto che « In tema di ricorso per cassazione, il principio di autosufficienza, riferito alla specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi su cui il ricorso si fonda ai sensi dell’articolo 366, n. 6, c.p.c., anche interpretato alla luce dei principi contenuti nella sentenza della Corte EDU, sez. I, 28 ottobre 2021, r.g. n. 55064/11, non può ritenersi rispettato qualora il motivo di ricorso faccia rinvio agli atti allegati e contenuti nel fascicolo di parte senza riassumerne il contenuto al fine di soddisfare il requisito ineludibile dell’autonomia del ricorso per cassazione, fondato sulla idoneità del contenuto delle censure a consentire la decisione» (Cass. 01/03/2022, n. 6769).
Inoltre è stato affermato che «Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c., quale corollario del requisito di specificità dei motivi – anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 – non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non può pertanto tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a
fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito.» (Cass., Sez. Un., 18/03/2022, n. 8950; nello stesso senso sui limiti di compatibilità tra principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ex art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ., e principio di cui all’art. 6, par. 1, della CEDU, in ossequio al criterio di proporzionalità, cfr. Cass. 19/04/2022, n. 12481 e Cass. 02/05/2023, n. 11325 del 02/05/2023).
Ebbene, nel caso di specie, la mancata specifica localizzazione, tra le produzioni istruttorie di merito, del contratto in questione e la solo parziale sintesi del contenuto della clausola in questione incidono sostanzialmente sull’effettiva comprensione della fattispecie, nei termini in cui è censurata, tanto più in ragione della concreta complessità dei plurimi rapporti che la compongono.
1.1. Ferma la rilevata inammissibilità del mezzo, deve rilevarsene altresì l’infondatezza, nei termini in cui esso emerge dagli atti.
Invero, la questione relativa al termine di restituzione della somma mutuata deve essere traguardata alla luce della ratio dell’art.26 -quater , comma 3, lett. c), punto 5, del d.P.R. n. 600 del 1973 (corrispondente all’art. 4, comma 1, lett. d) della direttiva 2003/49/CE del 03/06/2003), che la stessa Agenzia, nella circolare 47/E del 2005, al punto 2.1.3., pag. 13, individua nella «finalità di non applicare i benefici della normativa agli interessi che non derivano da veri e propri crediti e agli interessi relativi a forme di indebitamento che, pur contenendo l’obbligo di restituzione del capitale, sono caratterizzati da una scadenza particolarmente lunga.».
Ma nel caso di specie è pacifico che era stato convenuto un obbligo di restituzione, con la contestuale convenzione di un termine esplicito di restituzione (peraltro, ove tale termine non vi fosse, l’art. 1817 c od. civ. consentirebbe comunque alle parti di rivolgersi al giudice per fissarlo), che non è ultra-cinquantennale. Né la prorogabilità annuale automatica del medesimo termine – specie ove collegata alla contestuale facoltà delle parti, quindi soprattutto del creditore, di chiedere la restituzione con preavviso di un mese ed obbligo di restituzione da parte del mutuatario (cfr. controricorso, pag. 8) – equivale necessariamente a quelle ipotesi in cui sia stato convenuto che il debitore restituisca ‘quando potrà’ ( formula
che pure consente di rivolgersi al giudice, ex art. 1817, co. 2, cod. civ., per la fissazione della scadenza), o ad altre formule simili, che rendano il termine incerto perché lasciato alla mera volontà del mutuatario. E comunque, nel caso di specie, non è espressamente posto in discussione, quanto meno sotto il profilo temporale, che il prestito sia stato estinto nel corso della durata annuale del relativo termine, sicché l’interpretazione del contratto di prestito co me ‘infinito’ non troverebbe conforto n ella stessa condotta delle parti.
1.2. Il motivo sarebbe altresì inammissibile ove con esso si volesse sostenere, sotto il profilo del termine di adempimento dell’obbligazione di restituzione della somma, un’interpretazione del contratto di finanziamento diversa da quella adottata dalla sentenza impugnata.
Infatti, senza la specifica e puntuale indicazione delle regole ermeneutiche che sarebbero state violate, il mezzo attingerebbe meramente il merito dell’accertamento effettuato dal giudice di merito : «Posto che l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito, il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata» ( ex plurimis Cass. 09/04/2021, n. 9461).
1.3. Il motivo, poi, sarebbe comunque infondato nella parte in cui pare voler sostenere, genericamente, che la pattuizione relativa al termine abbia natura di abuso del diritto in senso proprio. Al riguardo, l’Amministrazione avrebbe degli oneri di allegazione e prova, quanto meno indiziaria, in quanto « In materia tributaria, costituisce condotta abusiva l’operazione economica che abbia quale suo elemento predominante ed assorbente lo scopo di eludere il fisco, sicché il divieto di siffatte operazioni
non opera qualora esse possano spiegarsi altrimenti che con il mero intento di conseguire un risparmio di imposta, fermo restando che incombe sull’Amministrazione finanziaria la prova sia del disegno elusivo che delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale» (Cass. 13/04/2017, n. 9610, ex plurimis ).
Il motivo non soddisfa tali oneri, alludendo genericamente ad una ‘costruzione di puro artificio’, non descritta, che non può meramente coincidere con il contenuto della pattuizione sul termine e con l’allegazione del vantaggio fiscale.
Neppure vengono dedotti, infine, elementi indiziari per affermare l’ ipotetica simulazione della relativa clausola.
Con il secondo motivo si denunzia «Violazione e falsa applicazione degli artt. 26-quater dpr 600/1973 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.».
Deduce la ricorrente che il giudice a quo avrebbe errato ulteriormente nel ritenere dimostrata la qualità di beneficiario effettivo degli interessi in capo alla percipiente sulla base d ell’allegazione di un attestato dell’Autorità fiscale spagnola, che ha certificato la residenza della società in Spagna, e della dichiarazione della stessa contribuente, di cui al comma 6 dell’art. 26-quater del d.P.R. n. 600 del 1973, circa la ricorrenza dei requisiti indicati nei commi 2 e 4 dello stesso articolo, oltre al la ‘autocertificazione’ proveniente tuttavia dalla società italiana che avrebbe effettuato il pagamento (pagg. 10 del ricorso; cfr. altresì pag. 11 del controricorso). Il motivo è ammissibile, nei soli limiti in cui, come si ricava dal corpo del mezzo, non mette in discussione accertamenti in fatto operati dal giudice d’appello, ma censura in diritto la sentenza impugnata per l’individuazione dell’oggetto dell’onere della prova delle condizioni legittimanti l’esenzione controversa gravante, da determinarsi in relazione al concetto di beneficiario effettivo assunto; nonché la rilevanza attribuita in diritto ad alcuni degli elementi istruttori presi in considerazione dalla CTR.
Il motivo è, altresì, fondato, ma nei termini che si illustreranno.
2.1. È necessario premettere il concetto di beneficiario effettivo rilevante ai fini dell’applicazione dell’art. 26 -quater d.P.R. n. 600 del 1973,
che prevede l’ esenzione dalle imposte sugli interessi e sui canoni corrisposti a soggetti residenti in Stati membri dell’Unione europea, qualora ricorrano determinate condizioni previste dal legislatore.
Nel caso di specie, la condizione oggetto della censura di cui al secondo motivo è dettata dal comma 4, lett. c), n. 1, del ridetto art. 26-quater del d.P.R. n. 600 del 1973, secondo cui «La disposizione di cui al comma 1 si applica se: c) le società non residenti di cui alla lettera a) e le stabili organizzazioni situate in un altro Stato membro di società aventi i requisiti di cui alla lettera a) sono beneficiarie effettive dei redditi indicati nel comma 3; a tal fine, sono considerate beneficiarie effettive di interessi o di canoni: 1) le predette società, se ricevono i pagamenti in qualità di beneficiario finale e non di intermediario, quale agente, delegato o fiduciario di un’altra persona;».
Pertanto, la controversia si colloca, sul piano normativo, nel perimetro della direttiva 2003/49/CE (c.d. direttiva IRD) che è alla base dell’introduzione, nella normativa nazionale, del citato articolo 26-quater – sulla quale si innestano rilevanti decisioni della Corte di giustizia e di questa sezione tributaria: Corte giust. 26 febbraio 2019, nelle cause riunite C-115/16, C118/16, C-119/16 e C-299/16; Corte giust. 26 febbraio 2019, nelle cause riunite C-116/16, C-117/16 (tali decisioni vengono indicate come le ‘sentenze danesi’: la prima pronuncia riguarda la materia degli interessi passivi su finanziamenti; la seconda pronuncia attiene all’esenzione da imposta dei dividendi distribuiti da società di uno Stato membro a società di altri Stati membri); Cass. 10/07/2020, n. 14756; Cass. 30/09/2019, n. 24297.
2.2. Delineate, sinteticamente, la normativa e la giurisprudenza sovranazionale e di legittimità cui occorre fare riferimento, va rilevato che la direttiva IRD prevede sì l’obbligo generale dello Stato di residenza di assoggettare a tassazione il soggetto destinatario degli interessi (dei canoni etc.), ma fa salva l’applicazione della c.d. clausola del beneficiario effettivo (beneficial owner). A chiarirlo è la stessa Corte di giustizia (sent. 26 febbraio 2019, nelle cause riunite C-115/16, C-118/16, C-119/16 e C299/16), secondo cui lo scopo della direttiva è di assicurare ai flussi di interessi (etc.) tra consociate (o stabili organizzazioni di consociate) di due diversi Stati membri, (beninteso) in possesso dei necessari requisiti
applicativi, il trattamento fiscale ad essi riservato nelle operazioni intercorse all’interno di un unico Stato membro. A tal fine si dispone che gli interessi (etc.) siano esenti dalla ritenuta nello Stato della fonte, per essere assoggettati ad imposta una sola volta nello Stato di residenza del creditore, il quale deve esercitare il potere impositivo che gli è stato affidato in via esclusiva ( ibidem , punti 151 e 152).
2.3. Il regime fiscale dei flussi transfrontalieri di interessi impone, pertanto, di stabilire se il percettore ‘formale’ ne sia o meno il beneficiario effettivo, senza tralasciare che, per la direttiva IRD (art. 1, par. 4), «Una società di uno Stato membro è considerata beneficiario effettivo di interessi o canoni soltanto se riceve tali pagamenti in qualità di beneficiaria finale e non di intermediaria, quale agente, delegato o fiduciario di un’altra persona» (in termini, Cass. n. 14756/2020, cit., pagg. 8-9).
Pertanto, l’indagine sul beneficiario effettivo s’interseca necessariamente con la verifica del ruolo concretamente assunto dall’eventuale società intermediaria ( conduit company o société relais ), con l’ulteriore notazione, da parte dalla dottrina, che nell’ordinamento eurounitario la clausola del beneficiario effettivo ha lo scopo di impedire che possa attuarsi una particolare forma di abuso, tanto delle convenzioni contro le doppie imposizioni che della stessa direttiva IRD, mediante l’interposizione, rea le (se la società esiste effettivamente) o fittizia (se la società è una costruzione puramente artificiosa, c.d. letter box ), di società conduit in un flusso reddituale transfrontaliero. Infatti, può accadere che, tramite la società relais , il soggetto interponente fruisca di un regime impositivo di favore – che, altrimenti, gli sarebbe precluso a causa del luogo di residenza o per la mancanza dei requisiti oggettivi e soggettivi previsti dalla normativa unionale e da quella degli Stati membri -per una finalità di ottimizzazione del carico fiscale complessivo gravante sul flusso transfrontaliero.
In termini generali, tuttavia, l’abuso in senso tecnico – che è una costruzione artificiosa per cui la società di un gruppo è posta nelle condizioni di beneficiare delle esenzioni fiscali concesse dalla direttiva IRD e dalla normativa nazionale di recepimento -va tenuto distinto dalla verifica se la società percettrice dei flussi reddituali risponda o meno ai requisiti per fruire di vantaggi che, altrimenti, non le sarebbero dovuti.
Infatti, una cosa è l’abuso del diritto, altra sono i requisiti da soddisfare affinché spettino i benefìci riconosciuti da disposizioni ispirate ad una finalità antiabusiva (ed è quest’ultimo il campo nel quale s’inscrive la figura del beneficiario effettivo). Si tratta di diversi piani di indagine, anche dal punto di vista della concreta attività accertatrice e della ripartizione, tra fisco e contribuente, dell’onere della prova.
In sostanza, come è stato ben sottolineato in dottrina, l’abuso in senso tecnico e, cioè, la pratica di porsi artificiosamente nelle condizioni per beneficiare delle esenzioni concesse dalle (normative di recepimento delle) Direttive, differisce dai comportamenti interessati da specifiche previsioni che pure siano ispirate da finalità antiabuso, le quali, nell’ambito delle Direttive, sono tipicamente concepite come requisiti da soddisfare affinché spettino i benefici tributari.
Infatti, laddove tali comportamenti siano posti in essere e siano nondimeno invocati i vantaggi tributari previsti dalle Direttive, non si è tecnicamente in presenza di abuso, dato che il contribuente non ha in realtà soddisfatto i requisiti per beneficiare di tali vantaggi, che dunque non spettano. In particolare, la condizione di ‘beneficiario effettivo’ degli interessi costituisce appunto un requisito da soddisfare affinché spettino i benefici concessi dalla direttiva e, come tale, non deve essere confuso con l’applicazione delle norme antiabuso.
Sotto il profilo logico, deve innanzitutto stabilirsi se il percipiente sia o meno il ‘beneficiario effettivo” degli interessi o canoni secondo la definizione fornita dalla normativa di recepimento della direttiva interessiroyalties, e qualora la risposta sia negativa i benefici della direttiva non spettano e possono essere disconosciuti senza ricorrere alle norme antiabusive.
2.4. In merito alla clausola, cruciale, del ‘beneficiario effettivo’, il percorso argomentativo della Corte di giustizia (sent. 26 febbraio 2019, nelle cause riunite C-115/16, C-118/16, C-119/16 e C-299/16) chiarisce che «il termine ‘beneficiario effettivo’ non è utilizzato in un’accezione ristretta e tecnica, bensì deve essere esteso nel suo contesto alla luce dell’oggetto e dell’obiettivo della convenzione, segnatamente per evitare le doppie imposizioni nonché prevenire la frode e l’evasione fiscale» (cfr. punto 6 della decisione che richiama il punto 8 del Commentario OCSE,
edizione 2003. Tale aspetto è precisato ulteriormente nell’edizione 2017 del Commentario, par. da 9 a 14, dove, in particolare al par. 9.1., si puntualizza che, proprio in ragione della finalità antielusiva della clausola: « The term ‘beneficial owner’ is therefore not used in a narrow technical sense (such as the meaning that it has under the trust law of many common law countries), rather it should be understood in its context, in particular in relation to the words ‘paid to a resident’, and in light of the object and purposes of the Convention, including avoiding double taxation and the prevention of fiscal evasion and avoidance »).
2.5. L’individuazione del ‘beneficiario effettivo’, talvolta (ma non necessariamente) non disgiunta dall’interferenza di una società ‘ conduit ‘, non può prescindere da un approfondito scrutinio della fattispecie concreta ad opera del giudice di merito, che sia idoneo a gettare luce sulla sostanza economica dell’operazione finanziaria. Al riguardo, la già citata Cass. n. 14756/2020 (la quale richiama Cass. 28/12/2016, n. 27112, in materia di dividendi; cfr., altresì, le sentenze ‘gemelle’ nn. 27113/2016, 27115/2016, 27116/2016) afferma che una subholding pura -che è sufficiente abbia una struttura ‘leggera’, ma adeguata – può essere considerata ‘beneficiario effettivo’ degli interessi (etc.) all’esito della valutazione di una serie di ‘parametri spia’, che indicano la padronanza e l’autonomia di gestione del flusso di reddito, nonché l’assenza di indici di artificiosità e di abusività, come delineati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia. Inoltre, considerato che la condizione di ‘beneficiario effettivo’ degli interessi costituisce un requisito da soddisfare affinché spettino i benefici concessi dalla direttiva, lo Stato d’origine può imporre alla società percettrice degli interessi di dimostrare di esserne il beneficiario effettivo, nel senso di rappresentare l’entità che benefici effettivamente, sotto il profilo economico, degli interessi percepiti e disponga, pertanto, del potere di deciderne liberamente la destinazione (Corte di giustizia, sent. 26 febbraio 2019, nelle cause riunite C-115/16, C-118/16, C-119/16 e C299/16, cit., punti140-145 e 122, primo trattino). Spetta quindi alla società contribuente, anche per il principio di vicinanza della prova (art. 2697, cod. civ.), dimostrare di essere il ‘beneficiario effettivo’, sul piano sostanziale e non meramente formale (in termini, Cass. n. 17746/2021); invece, in caso di superamento del primo step di verifica, in ossequio alla regola
generale sull’onere della prova, all’Amministrazione spetterà dimostrare l’eventuale abuso del diritto e la sussistenza di una costruzione artificiosa. L’indagine si articola in tre test, autonomi e disgiunti, che, a seconda della fattispecie concreta, prendono in considerazione dei ‘parametri spia’ o ‘indici segnaletici, e sono stati denominati dalla dottrina, la quale ha razionalizzato i princìpi cardine enunciati dalla giurisprudenza, comunitaria e di legittimità, e dalle Corti anglosassoni e mitteleuropee in noti leading case : i) il substantive business activity test; (ii) il dominion test; (iii) il business purpose test.
Il primo test mira a verificare se la società interposta sia o meno una costruzione artificiosa in quanto, per i princìpi generali del diritto dell’Unione europea, gli Stati membri non possono avvalersi in maniera fraudolenta e abusiva delle norme di diritto eurounitario. Se una società non supera la prova dello svolgimento di un’attività economica effettiva, si è in presenza di un abuso e alla società non è precluso soltanto di fruire del regime fiscale riservato dalla direttiva IRD al beneficiario effettivo, ma anche di avvalersi del fascio di libertà e diritti riconosciuti dal TFUE.
Il dominion test è il centro dell’indagine e, prescindendo da costruzioni artificiose, punta al cuore del significato economico della specifica operazione ( substantial economic effect ) indagata, atteso che, in ipotesi, la stessa società ben può essere beneficiario effettivo riguardo i flussi finanziari provenienti da alcune operazioni del gruppo e non esserlo invece rispetto ad altre. Con esso si valuta la capacità della società di disporre liberamente degli interessi percepiti, se cioè essa ne sia o meno il beneficiario effettivo. Il ‘dominio’ degli interessi ricevuti si ha quando la percipiente ne può disporre liberamente e non è tenuta a rimettere il flusso reddituale ad un terzo (che può essere anche una società appartenente allo stesso gr uppo multinazionale). L’obbligazione restitutoria può risultare da un contratto o può essere desunta da elementi fattuali, quali, a titolo di esempio: il ristretto arco di tempo tra la ricezione degli interessi e il pagamento della rata del finanziamento ricevuto; la regolarità dei trasferimenti alla controllante; l’esiguità del margine di guadagno sugli interessi ricevuti; l’identità del management della società interposta e di quella destinataria finale del flusso reddituale; la circostanza che la società interposta non abbia deliberato il finanziamento, che non ne sopporti il
rischio, o, ancora, che non possa rinunciare alle somme prestate (in termini, Cass. nn. 32840/2018, 32842/2018, in materia di royalties; Cass. n. 26920/2022, in materia di dividendi). Se una società non supera il dominion test non può essere considerata il beneficiario effettivo, ma non le è precluso di godere degli altri diritti e libertà sanciti dal diritto europeo. Il business purpose test indaga sulle ragioni della deviazione del flusso reddituale, onde appurare se la ‘triangolazione’ sia finalizzata so ltanto al risparmio fiscale o se invece risponde ad altre motivazioni economiche.
2.5. Da un’ultima angolazione, per la Corte di giustizia si può verificare se la società terza per la quale agisce la società RAGIONE_SOCIALE abbia in proprio i requisiti per fruire del regime di esenzione della convenzione o della direttiva e, in caso di risposta affermativa, il beneficio fiscale deve essere riconosciuto (c.d. approccio look through ). Infatti, per i Giudici del Lussemburgo (ibidem, punto 94) «la sola circostanza che la società percettrice degli interessi in uno Stato membro non ne sia il ‘beneficiario effettivo’ non esclude necessariamente l’applicabilità dell’esenzione prevista dall’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2003/49. È, infatti, concepibile che gli interessi medesimi siano esentati a tal titolo, nello Stato della fonte, nel caso in cui la società percettrice ne trasferisca l’importo ad un beneficiario effettivo stabilito nell’Unione che risponda peraltro a tutti requisiti indicati dalla direttiva 2003/49 ai fini del beneficio dell’esenzione». L’ approccio look through , in ogni caso, resta circoscritto al perimetro applicativo della direttiva, in quanto « solamente un’entità stabilita nell’Unione può costituire un beneficiario effettivo degli interessi, idoneo a godere dell’esenzione prevista dall’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2003/49» (punto 89 della citata sentenza). Tanto meno il l ook through approach può essere utilizzato per riconoscere il regime di esenzione della direttiva ad un beneficiario effettivo che, per quanto residente a ll’interno dell’Unione, sia tuttavia privo dei requisiti tassativamente richiesti. Al riguardo, è lo stesso art. 3, comma 1, lett. b), della direttiva IRD (tradotto nell’ordinamento interno dall’art. 26 -quater, comma 2 , lett. b), del d.P.R. n. 600 del 1973), che -con chiarezza letterale tale da non dare adito a dubbi o divergenze nella sua interpretazione- configura la partecipazione rilevante necessariamente come «diretta» e consente agli Stati membri di
sostituire, come ha fatto l’Italia, il criterio della partecipazione di una quota minima nel capitale con quello di una quota minima «dei diritti di voto». In questo senso, del resto, questa Corte ha già chiarito che «In tema di agevolazioni, ai fini dell’applicazione dell’art. 26-quater, comma 1, del d.P.R. n.600 del 1973, il quale dispone l’esenzione dalle imposte sugli interessi e sui canoni corrisposti a soggetti residenti in Stati membri dell’Unione europea, la detenzione, da parte della società che riceve il pagamento dei canoni o interessi, del 25% dei diritti di voto nella società che effettua il pagamento deve essere diretta, sicché la stessa non può essere anche indiretta in quanto, per un verso, trattandosi di disposizione avente natura agevolativa, è di stretta interpretazione e, per un altro, tale interpretazione è conforme all’art. 3 della direttiva Consiglio 2003/49/CE.» (Cass. 30/09/2019, n. 24297).
2.6. In base alla corretta esegesi della direttiva IRD, fornita dalle ‘sentenze danesi’, pertanto, va ribadito, per quanto qui rileva, il principio di diritto più volte già enunciato da questa Corte (Cass. 28/02/2023, n. 6005; nello stesso senso, in motivazione, Cass. n. 6067/2023; Cass. n. 6065/2023; Cass.n. 6061/2023; Cass. n. 6050/2023; Cass. n. 6067/2023; Cass. n. 6065/2023; Cass. 14905/2023), secondo cui «In tema di esenzione degli interessi (e di altri flussi reddituali) dall’imposta ex art. 26quater , del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in applicazione dell’ordinari o riparto dell’onere probatorio tra fisco e contribuente, nonché per il principio di vicinanza della prova, spetta alla società contribuente, che ne adduca la qualità, la prova di essere il ‘beneficiario effettivo’; a tal fine è necessario che essa superi tre test, autonomi e disgiunti, (i quali, in rapporto alla fattispecie concreta, prendono in considerazione dei ‘parametri spia’ o ‘indici segnaletici’):(i) il substantive business activity test , che verifica se la società RAGIONE_SOCIALE svolga un’attività ec onomica effettiva; (ii) il dominion test ,che verifica se la società RAGIONE_SOCIALE possa disporre liberamente degli interessi ricevuti o se invece sia tenuta a rimetterli ad un soggetto terzo; (iii) il business purpose test , che verifica le ragioni dell’interposizione di una società nel flusso reddituale transfrontaliero, e cioè se la società percipiente abbia una funzione nell’operazione di finanziamento, o se invece sia una mera conduit company (o société relais ), la cui interposizione è finalizzata esclusivamente ad un risparmio fiscale».
2.7. Nel caso di specie, la CTR non ha fatto buon governo di tali principi, non dando conto in motivazione di avere verificato sul piano sostanziale se sussistessero o meno, in capo alla contribuente istante (gravata per quanto si è detto della relativa prova, tanto più in considerazione delle specifiche contestazioni sollevate dall’Ufficio) ed in relazione agli interessi di cui si discute, tutte le predette caratteristiche che determinano la figura del beneficiario effettivo in termini concreti, e non meramente nominali e formali.
Invero, sul punto, la sentenza d’appello , dopo aver citato il comma 6 dell’art. 26quater del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, si limita a rilevare che la «prescritta attestazionedalla legge ritenuta necessaria e sufficiente- è stata prodotta, onde è vano discutere della idoneità probatoria degli ulteriori documenti allegati all’istanza e dell’autocertificazione resa dal legale rappresentante della società, trattandosi di elementi ultronei ai fini del riconoscimento del diritto all’esenzione». Tuttavia, alla luce della corretta esegesi della direttiva IRD, ricavabile innanzitutto dalle richiamate ‘sentenze danesi’ , oltre che dalla citata giurisprudenza di legittimità, la già argomentata verifica necessariamente sostanziale della qualità di ‘beneficiario effettivo’ non può coincidere con la mera presa d’atto dell’attribuzione formale di tale titolo.
Infatti ( fermo restando l’onere della prova in capo alla contribuente, tanto più in relazione alle contestazioni dell’Amministrazione nel giudizio conseguente al diniego del rimborso) l’interpretazione del concetto di ‘beneficiario effettivo’, per tutte le ragioni già esposte, deve essere letto in chiave non meramente formale, ma sostanziale, ed accertato all’esito dei ‘parametri spia’ da rapportare alla fattispecie concreta, per verificare la sussistenza, nel caso di specie, dei requisiti che denotano tale qualificazione, ai fini dell’esenzione .
Accertamento da condurre, sulla base del materiale istruttorio che spetta al giudice del merito individuare e valutare, secondo i criteri e le modalità ‘sostanziali’ di cui ai test, ed ai principi che li ispirano, già richiamati.
Né, peraltro, può ritenersi che tale accertamento possa esaurirsi nella ulteriore e successiva considerazione della CTR secondo, per quanto qui importa, «Peraltro, il Collegio rileva che il pagamento degli interessi è stato dimostrato per tabulas .». Invero tale formula esprime un accertamento, in punto di fatto, reso dalla CTR e come tale non sindacabile in questa sede di legittimità. Tuttavia, come questa Corte ha già rilevato nella medesima materia ed in fattispecie similare (Cass. 29 maggio 2023, n. 14905), in punto di diritto la CTR, limitandosi a constatare sostanzialmente il ‘pagamento’, ovvero il trasferimento delle somme in questione alla percipiente, si è fermata ad una verifica meramente formale circa l’adempimento dell’onere probatorio gravante sulla contribuente in ordine alla qualità di ‘beneficiario effettivo’ , senza compiere la verifica sostanziale anche dell’effettiva permanenza e disponibilità degli interessi nella sfera patrimoniale della percipiente, secondo i parametri del richiamato dominion test .
2.8. All’accoglimento del motivo, nei predetti termini, consegue la cassazione della sentenza impugnata in parte qua , con rinvio al giudice d’appello, essendo necessari accertamenti in fatto in ordine alla sussistenza della qualità di ‘beneficiario effettivo’ in capo all’istante per il rimborso.
2.9. Ogni altra questione deve ritenersi assorbita dall’accoglimento del secondo motivo, che concerne il necessario accertamento positivo della ricorrenza, in concreto, della contestata qualità di ‘beneficiario effettivo’ in capo alla società che ha ricevuto gli interessi in questione.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione e, dichiarato inammissibile il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Abruzzo -sezione staccata di Pescara, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 17 novembre 2023.