Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32865 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 32865 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
Convenzione Italia Paesi bassi contro la doppia imposizione interessi
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 38485/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME in forza di procura allegata al controricorso, elettivamente domiciliati in Roma al INDIRIZZO presso lo studio RAGIONE_SOCIALE;
-controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell ‘ Abruzzo, sezione staccata di Pescara, n. 747/2019, depositata in data 1/08/2019; udita la relazione della causa tenuta nella pubblica udienza del 20/09/2024 dal consigliere dott. NOME COGNOME udito il PM, in persona del sostituto Procuratore generale dott. del primo motivo
NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso e il rigetto del secondo.
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE, società di diritto olandese, formulava istanza di rimborso dell’imposta ritenuta sugli interessi che le erano stati pagati dalla RAGIONE_SOCIALE in forza di un finanziamento concesso originariamente dalla RAGIONE_SOCIALE, cui essa, a seguito di vari passaggi societari, era subentrata: l’istanza era avanzata ai sensi dell’art. 11 della Convenzione Italia Paesi Bassi contro le doppie imposizioni, ratificata con la l. n. 305/1993, in quanto la ritenuta italiana era stata operata nella misura del 20 per cento laddove tale disposizione, al comma 2, prevede che, ove il soggetto sia l’effettivo beneficiario degli interessi, la misura dell ‘ imposizione in Italia, stato della fonte, sia pari al 10 per cento.
Ricevuto diniego espresso, la società proponeva ricorso davanti alla Commissione tributaria provinciale di Pescara, che lo accoglieva, evidenziando che la società aveva provato di essere la beneficiaria effettiva degli interessi, producendo l’atto costitutivo, le lettere di accordo infragruppo di cessione del contratto di finanziamento e il bilancio nel quale era esposto il credito residuo, non essendo necessaria la produzione di certificazioni formali; la società aveva altresì provato che l’inte ra somma era stata sottoposta a tassazione in Olanda a carico della consolidante RAGIONE_SOCIALE.
La Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, rigettava l’appello erariale.
In particolare, in merito all’esistenza della società , evidenziava che vi era in atti copia dell’atto costitutivo e certific ato di visura estratto presso la Camera di commercio; che non sussisteva alcuna anomalia nella circostanza che dall’estratto bancario risultasse che la società italiana era domiciliata presso la società inglese capogruppo, avendo peraltro i documenti bancari provato che la beneficiaria fu proprio la società parte in giudizio; infine che non appariva dirimente la circostanza che parte del finanziamento appariva restituito alla RAGIONE_SOCIALE, trattandosi di due distinte operazioni; da ciò conseguiva che, al di là di attestazioni dell’autorità estera , le condizioni per ottenere il beneficio erano da considerarsi presenti nella sostanza; per quanto concerne il tema della prova della tassazione in Olanda, evidenziava che dai documenti emergeva che la società si era soddisfatta all’estero in ragione della sola metà del credito.
Contro tale decisione propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, sulla base di due motivi.
La società resiste con controricorso, seguito da memoria.
La causa è stata rimessa alla pubblica udienza del 20/09/2024.
Il sostituto Procuratore generale ha rassegnato conclusioni scritte per l’accoglimento del primo motivo del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., si deduce errata interpretazione e applicazione dell’art. 11 della Convenzione Italia Paesi Bassi contro le doppie imposizioni, ratificata con legge n. 305/1993, dell’art. 12 del protocollo aggiuntivo alla medesima Convenzione, in combinato disposto con l’art. 2697 cod. civ. e si lamenta il mancato assolvimento della prova della qualità di beneficiario effettivo.
Con tale motivo la difesa erariale deduce due diverse censure.
Con la prima, essa lamenta che i giudici di appello abbiano errato laddove hanno ritenuto provata la qualità di beneficiario effettivo in quanto il Protocollo aggiuntivo alla Convenzione, sub par. 12, prevede che le domande di rimborso devono essere accompagnate da una attestazione ufficiale delle competenti autorità olandesi, certificante che le condizioni richieste per beneficiare degli esoneri o delle riduzioni previste dalla convenzione sono assolte, mentre nel caso di specie il certificato prodotto dalla società attestava solo la residenza della stessa in Olanda ma non che essa fosse in possesso dei requisiti per ottenere i benefici convenzionali né che esistessero le condizioni richieste per il rimborso e cioè la qualità di beneficiario effettivo e la doppia imposizione.
In secondo luogo, la difesa erariale evidenzia che il requisito di beneficiario effettivo è essenziale nel determinare la spettanza dei benefici onde evitare elusioni e frodi fiscali; la relativa nozione deve essere interpretata alla luce dello scopo e dell’oggetto della normativa che è anche quello di evitare ogni elusione o evasione di imposta ivi compresi rimborsi indebiti; affinché, quindi, il soggetto percettore possa ritenersi beneficiario effettivo, è necessario che tragga un proprio beneficio economico dall’operazione posta in essere e che non si tratti di una mera interposizione per godere dell’esenzione; pertanto il richiedente può essere considerato tale solo qualora abbia la titolarità nonché la disponibilità del reddito percepito dovendo esso provare il trattenimento e l’autonomo impiego del flusso di denaro; nel caso di specie non sarebbe stato dimostrato né il trattenimento né l’autonomo impiego in relazione al flusso patrimoniale; ove il percettore sia solo il titolare formale del reddito e trasferisca integralmente quest’ultimo a un altro soggetto residente in uno stato terzo, esso deve ritenersi sostanzialmente privo di potere di disposizione e godimento del reddito
nel proprio interesse, rispetto al quale non riceve nessun beneficio economico proprio, agendo in sostanza come amministratore o fiduciario per conto del beneficiario finale del reddito.
Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., si deduce errata interpretazione e applicazione dell’art. 11 della Convenzione Italia Paesi Bassi contro le doppie imposizioni, in combinato disposto con l’art. 2697 cod. civ. , deducendo che la CTR abbia errato laddove ha ritenuto provata la imposizione in Olanda, dovendo interpretarsi tale soggezione alle imposte nel paese di residenza non in astratto ma come assoggettamento in concreto nel proprio stato a uno dei tributi previsti e cioè che vi sia un duplice esborso monetario effettivo; nel caso di specie la somma chiesta a rimborso, corrispondente alla differenza tra le ritenute operate sugli interessi e la ritenuta convenzionale, risulterebbe iscritta a bilancio sia dalla società richiedente che nel consolidato della controllante RAGIONE_SOCIALE come credito di imposta per doppia tassazione; inoltre nel certificato prodotto non vi è traccia di avvenuta imposizione in Olanda dovendo escludersi che gli strumenti previsti dalle convenzioni contro le doppie imposizioni possono essere piegati al fine di ottenere una doppia non imposizione.
1.1. Deve essere preliminarmente respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso, proposta in quanto privo di adeguata esposizione dei fatti di causa perchè sarebbe improntato alla tecnica del copia e incolla.
La tecnica di redazione dei cosiddetti ricorsi <> o <> implica una pluralità di documenti integralmente riprodotti all’interno del ricorso, senza alcuno sforzo di selezione o rielaborazione sintetica dei loro contenuti. Tale eccesso di documentazione integrata nel ricorso non soddisfa la richiesta alle parti di una concisa
rielaborazione delle vicende processuali contenuta nel codice di rito per il giudizio di cassazione, viola il principio di sinteticità che deve informare l’intero processo (anche in ragione del principio costituzionale della ragionevole durata di questo), impedisce di cogliere le problematiche della vicenda e comporta non già la completezza dell’informazione, ma il sostanziale <> dei dati effettivamente rilevanti per le argomentazioni svolte, tanto da risolversi, paradossalmente, in un difetto di autosufficienza del ricorso stesso. La Corte di cassazione, infatti, non ha l’onere di provvedere all’indagine ed alla selezione di quanto è necessario per la discussione del ricorso (Cass. n. 8245/2018).
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno osservato che il requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa, previsto dall’art. 366, n. 3, cod. proc. civ., è preordinato allo scopo di agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa, l’esito dei gradi precedenti con eliminazione delle questioni non più controverse ed il tenore della sentenza impugnata in immediato coordinamento con i motivi di censura (Cass. n. 16628/2009). E’ stato, altresì, precisato (Cass. n. 10244/2013) che la pedissequa riproduzione di atti processuali e documenti, ove si assuma che la sentenza impugnata non ne abbia tenuto conto o li abbia mal interpretati, non soddisfa il requisito di cui all’art. 366 n. 3 cod. proc. civ. in quanto costituisce onere del ricorrente operare una sintesi del fatto sostanziale e processuale, funzionale alla piena comprensione e valutazione delle censure, al fine di evitare di delegare alla Corte un’attività, consistente nella lettura integrale di atti e documenti assemblati, finalizzata alla selezione di ciò che effettivamente rileva ai fini della decisione, che, inerendo al contenuto del ricorso, è di competenza della parte ricorrente e, quindi, del suo difensore.
Ciò premesso, nella specie, non ricorrono gli elementi di tale fattispecie, in quanto gli atti rilevanti sono riprodotti parzialmente e
non ostacolano la comprensione del ricorso, fermo quanto successivamente evidenziato nell’esame dei motivi .
Il primo motivo, dopo aver riproposto una serie di elementi fattuali rappresentati dall’ufficio nel corso del giudizio di merito (denuncianti una criticità nella valutazione della sussistenza del requisito del beneficiario effettivo), tutti espressamente considerati dalla CTR, esprime invero due distinte censure.
2.1. La prima censura attiene alla valutazione del certificato convenzionale, previsto, nel caso di specie, dall’art. 12 del Protocollo aggiuntivo alla Convenzione Italia Paesi Bassi, che prevede che «Le domande di rimborso devono essere accompagnate da un’attestazione ufficiale delle competenti autorità olandesi certificante che le condizioni richieste per beneficiare degli esoneri e delle riduzioni previste dalla Convenzione sono assolte». Il punto centrale della censura è chiaramente descritto a pagina 8 rigo 28 e ss. ove la ricorrente Agenzia deduce che «il certificato prodotto dalla società invece attesta solo la residenza in Olanda ma non che il soggetto sia in possesso dei requisiti per ottenere i benefici convenzionali né che sussistano le condizioni richieste per il rimborso (beneficiario effettivo e doppia imposizione)».
La censura, in primo luogo, sconta un evidente difetto di specificità perché, in quanto volta a indurre una valutazione del contenuto del certificato convenzionale, non ne riproduce il contenuto né provvede a indicare ove detto documento sia localizzabile.
La censura sopra riportata comunque è infondata anche nel merito. La più recente giurisprudenza di questa Corte ha precisato che le attestazioni previste dalla disciplina convenzionale non devono attestare la concreta tassazione (o meglio il prelievo) e che il certificato di residenza fiscale, dunque, è sufficiente a soddisfare le condizioni previste dalla richiamata convenzione, con speciale riferimento alla necessità di allegare all’istanza di rimborso «un attestato dello Stato
contraente (…) certificante che sussistono le condizioni richieste per avere diritto al rimborso» (Cass. n. 10884 /2023, in relazione all’art. 29 della Convenzione Italia Regno Unito; Cass. n. 30779/2023, in riferimento alla analoga previsione dell’art. 29 , comma 2, della Convenzione Italia Svizzera, che precisa che la certificazione attestante la residenza fiscale estera è anche idonea a provare l’astratta soggezione fiscale nel paese estero; sostanzialmente in tal senso anche Cass. n. 30900/2023; Cass. n. 994/2024).
2.2. Con la seconda censura, l’Agenzia deduce la violazione della Convenzione laddove prevede l’imposizione ridotta ove gli interessi siano pagati al beneficiario effettivo, in quanto l’interpretazione antiabuso, imposta anche dalla giurisprudenza unionale, impone che la società dia la prova del trattenimento e dell’autonomo impiego del flusso finanziario.
In tema di beneficiario effettivo, sebbene nell’ambito della applicazione della IRD e delle disposizioni attuative della medesima nell’ordinamento interno, anche tenendo conto di Corte giust. 26 febbraio 2019, nelle cause riunite C115/16, C-118/16, C-119/16 e C299/16, e di Corte giust. 26 febbraio 2019, nelle cause riunite C116/16, C-117/16 (decisioni, queste, conosciute come le ‹‹ sentenze danesi ››: l a prima pronuncia riguarda la materia degli interessi passivi su finanziamenti; la seconda pronuncia attiene all’esenzione da imposta dei dividendi distribuiti da società di uno Stato a società di altri Stati), questa Corte (Cass. n. 6005/2023 e le decisioni coeve, tra cui Cass. n. 6050/2023, Cass. n. 6065/2023, Cass. n. 6067/2023; ancora Cass. n. 14905/2023, Cass. n. 521/2024) ha precisato che è onere della società contribuente provare la propria qualità di beneficiario effettivo degli interessi, superando a tal fine tre test, autonomi e disgiunti, che, in rapporto alla fattispecie concreta, prendono in considerazione dei «parametri spia» o «indici segnaletici»: i) il
substantive business activity test , che verifica se la società RAGIONE_SOCIALE svolga un’attività economica effettiva; ii) il dominion test , che verifica se la società RAGIONE_SOCIALE possa disporre liberamente degli interessi ricevuti o se invece sia tenuta a rimetterli ad un soggetto terzo; iii) il business purpose test , che verifica le ragioni dell’interposizione di una società nel flusso reddituale transfrontaliero, e cioè se abbia una funzione nell’operazione di finanziamento o se sia mera conduit company (o société relais ), la cui interposizione è finalizzata esclusivamente ad un risparmio fiscale.
Il primo test mira a verificare se la società interposta sia o meno una costruzione artificiosa.
Con il dominion test -che è il centro dell’indagine e, prescindendo da costruzioni artificiose, punta al cuore del significato economico dell’operazione ( substantial economic effect ) – si valuta la capacità della società di disporre liberamente degli interessi percepiti, se cioè essa sia o meno il beneficiario effettivo. Il «dominio» degli interessi ricevuti si ha quando la percipiente ne può disporre liberamente e non è tenuta a rimettere il flusso reddituale a un terzo (che può essere anche una società appartenente allo stesso gruppo multinazionale). L’obbligazione restitutoria può risultare da un contratto o può essere desunta da elementi fattuali, quali, a titolo di esempio: il ristretto arco di tempo tra la ricezione degli interessi e il pagamento della rata del finanziamento ricevuto; la regolarità dei trasferimenti alla controllante; l’esiguità del margine di guadagno sugli interessi ricevuti; l’identità del management della società interposta e di quella destinataria finale del flusso reddituale; la circostanza che la società interposta non abbia deliberato il finanziamento, che non ne sopporti il rischio, o, ancora, che non possa rinunciare alle somme prestate (in termini, Cass. n. 32840/2018 e n. 32842/2018, in materia di royalties ; Cass. n. 26920/2022, in materia di dividendi). Se una società non supera il
dominion test non può essere considerata il beneficiario effettivo, ma non le è precluso di godere degli altri diritti e libertà sanciti dalla normativa europea.
Il business purpose test indaga sulle ragioni della deviazione del flusso reddituale, onde appurare se la «triangolazione» sia finalizzata soltanto al risparmio fiscale o se invece risponda ad altre motivazioni economiche.
Tutto ciò premesso, la CTR ha offerto una, sia pur sintetica, valutazione degli elementi in questione alla luce di quelle che erano le contestazioni erariali; in primo luogo i giudici di appello hanno rilevato che la visura camerale e la copia dell’atto costitutivo corroborassero la delibera del consiglio di amministrazione della controllante olandese di costituire la nuova società e le lettere relative agli accordi infragruppo in tal senso; hanno poi evidenziato che la documentazione bancaria comprovasse che beneficiaria del flusso fosse proprio la Palmer e che la restituzione di parte del capitale, avvenuta contestualmente alla corresponsione degli interessi annotata nel bilancio 2012, era in realtà la conseguenza di una operazione distinta.
Né in grado di appello erano più in discussione, alla luce delle questioni veicolate nel gravame dall ‘amministrazione, l’esistenza del contratto di finanziamento e i vari passaggi della titolarità del credito, cui del resto nel corpo del motivo non fa più alcun cenno la difesa erariale.
Trattasi, quindi, in definitiva, di un accertamento di fatto svolto dalla CTR sulla base degli elementi a sua disposizione, rispetto al quale il motivo di ricorso si palesa generico; alla luce di ciò la richiesta di riesame delle relative risultanze costituisce una indebita richiesta di re visione dell’accertamento d el fatto, non consentita in questa sede di legittimità.
Il secondo motivo, con cui l’Agenzia censura che la società avrebbe dovuto provare l’effettivo esborso dell’imposta in Olanda , è infondato alla luce di costante giurisprudenza di questa Corte in tema di interpretazione del beneficio convenzionale.
Questa Corte ha infatti chiarito che l’assoggettamento a imposizione non implica che si debba accertare, ai fini della sussistenza del beneficio convenzionale, che la parte abbia concretamente sborsato, nel Paese UE di residenza, l’imposta sul dividendo (o nel caso di specie gli interessi) proveniente dall’Italia; risulta per contro (necessario e) sufficiente che tale posta concorra alla formazione del reddito complessivo, ancorch é́ non sussista effettivo prelievo fiscale, essendo lo scopo delle fonti multilaterali e delle convenzioni bilaterali quello di eliminare la sovrapposizione dei sistemi fiscali nazionali ed agevolare l’attività economica internazionale (Cass. n. 14624/2023; Cass. n. 25196/2022; Cass. n. 16834/2022; Cass. n. 7108/2022; Cass. n. 6248/2022; Cass. nn. 5145 e 5152/2022; Cass. n. 13845/2021).
Alla soccombenza segue condanna della ricorrente Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di lite in favore della società controricorrente, spese liquidate come in dispositivo.
La soccombenza di una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, determina che non si applichi l’art. 13 , comma 1quater , d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di lite in favore di RAGIONE_SOCIALE spese che liquida in euro 7.500,00 per compensi, oltre spese forfettarie al 15 per cento, euro 200,00 per esborsi, oltre accessori.
Così deciso in Roma, in data 20 settembre 2024.