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Beneficiario effettivo: la prova secondo la Cassazione

Una società olandese ha richiesto il rimborso di una parte delle ritenute fiscali pagate in Italia su degli interessi, invocando la Convenzione contro le doppie imposizioni. L’Agenzia delle Entrate ha negato il rimborso, dubitando che la società fosse il ‘beneficiario effettivo’ di tali interessi. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso dell’Agenzia, stabilendo che la prova della qualità di beneficiario effettivo può essere fornita con documentazione sostanziale (atto costitutivo, bilanci, accordi infragruppo) e che un certificato di residenza fiscale è sufficiente a dimostrare la soggezione a imposta nel paese di residenza, senza la necessità di provare un esborso fiscale effettivo.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Beneficiario Effettivo: La Cassazione Chiarisce la Prova per i Benefici Fiscali

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 32865 del 2024, offre importanti chiarimenti sulla figura del beneficiario effettivo nell’ambito delle Convenzioni contro le doppie imposizioni. Questa pronuncia è cruciale per le società multinazionali che operano in Italia, poiché definisce i contorni della prova necessaria per accedere ai regimi fiscali di favore previsti dai trattati internazionali, in particolare per quanto riguarda gli interessi.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dalla richiesta di rimborso presentata da una società di diritto olandese. La società aveva percepito interessi da una società italiana a seguito di un finanziamento. Sull’importo era stata applicata la ritenuta fiscale italiana del 20%. La società olandese, tuttavia, sosteneva di avere diritto a una ritenuta ridotta al 10%, come previsto dall’articolo 11 della Convenzione Italia-Paesi Bassi, in quanto beneficiario effettivo degli interessi.

L’Agenzia delle Entrate ha respinto la richiesta di rimborso, contestando proprio la qualifica di beneficiario effettivo. Secondo l’amministrazione finanziaria, la società non aveva fornito prove sufficienti della sua sostanza economica e del suo diritto a disporre liberamente degli interessi percepiti, ipotizzando che fosse una mera società interposta (conduit company).

Le commissioni tributarie di primo e secondo grado avevano dato ragione alla società, ritenendo provata la sua qualità sulla base di documenti come l’atto costitutivo, il bilancio e gli accordi infragruppo. L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso per cassazione.

La Decisione della Corte: i Criteri per il Beneficiario Effettivo

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, confermando la decisione dei giudici di merito. La sentenza si articola su due punti fondamentali: la prova della qualità di beneficiario effettivo e la prova dell’imposizione nel Paese di residenza.

La Prova della Qualità di Beneficiario Effettivo

L’Agenzia lamentava che il certificato prodotto dalla società attestasse solo la residenza fiscale in Olanda e non il possesso di tutti i requisiti per ottenere i benefici, tra cui la qualità di beneficiario effettivo.

La Corte ha respinto questa censura, chiarendo due aspetti:
1. Valore del Certificato: Un certificato di residenza fiscale emesso dalle autorità estere è sufficiente a soddisfare le condizioni formali previste dalla Convenzione. Non è necessario che il certificato attesti esplicitamente ogni singola condizione.
2. Onere della Prova Sostanziale: Spetta al contribuente dimostrare, con prove concrete, di essere il beneficiario effettivo. Questo significa provare di avere la titolarità e la disponibilità del reddito, senza essere obbligato a trasferirlo a terzi. La Corte richiama i test elaborati dalla giurisprudenza, come il dominion test (verifica della capacità di disporre liberamente degli interessi) e il substantive business activity test (verifica dell’effettiva attività economica), per distinguere una società con sostanza da una mera ‘scatola vuota’.

Nel caso specifico, i giudici di merito avevano correttamente valutato la documentazione prodotta (visura camerale, atto costitutivo, accordi infragruppo, documentazione bancaria), concludendo che la società aveva una propria sostanza economica e che era l’effettiva destinataria dei flussi finanziari.

La Prova dell’Imposizione nello Stato di Residenza

Il secondo motivo di ricorso dell’Agenzia sosteneva che la società avrebbe dovuto provare di aver subito un effettivo prelievo fiscale in Olanda.

Anche su questo punto, la Corte ha dato torto all’amministrazione finanziaria. La giurisprudenza costante della Cassazione ha chiarito che, ai fini dell’applicazione dei benefici convenzionali, è sufficiente che il reddito (in questo caso, gli interessi) concorra alla formazione del reddito complessivo della società nel suo Paese di residenza. Non è necessario dimostrare che sia stato effettivamente pagato un tributo su quella specifica somma. Lo scopo delle convenzioni, infatti, è eliminare la doppia imposizione, non garantire che un’imposta sia comunque pagata.

Le Motivazioni della Corte

Le motivazioni della Corte si basano su un approccio di ‘prevalenza della sostanza sulla forma’. I giudici supremi hanno ritenuto che la Commissione Tributaria Regionale avesse condotto un corretto accertamento di fatto, basandosi su elementi concreti che dimostravano l’operatività reale della società olandese. La Corte ha sottolineato come la documentazione bancaria comprovasse che la beneficiaria del flusso fosse proprio la società richiedente e che altre operazioni finanziarie contestate dall’Agenzia fossero, in realtà, distinte e non collegate.

La Cassazione ha inoltre qualificato il ricorso dell’Agenzia come un tentativo inammissibile di ottenere una nuova valutazione dei fatti, compito che non spetta al giudice di legittimità.

Infine, riguardo al secondo motivo, la Corte ha ribadito il suo orientamento consolidato: l’assoggettamento a imposizione non implica la necessità di un ‘concreto esborso’ fiscale. Ciò che conta è che il reddito sia incluso nella base imponibile del contribuente nel suo Stato di residenza, in linea con lo scopo delle convenzioni bilaterali, che è quello di agevolare l’attività economica internazionale eliminando la sovrapposizione dei sistemi fiscali nazionali.

Conclusioni

Questa sentenza consolida principi fondamentali in materia di fiscalità internazionale. In primo luogo, riafferma che l’onere di provare la qualifica di beneficiario effettivo grava sul contribuente, ma chiarisce che tale prova può essere fornita attraverso un insieme di elementi fattuali e documentali che dimostrino la sostanza economica dell’entità. In secondo luogo, stabilisce che per beneficiare delle convenzioni non è richiesta la prova di un pagamento effettivo delle imposte all’estero, ma solo la soggezione del reddito al sistema fiscale del Paese di residenza. La decisione offre quindi maggiore certezza giuridica alle imprese che operano a livello internazionale, tracciando una linea chiara tra legittima pianificazione fiscale e costruzioni artificiose prive di sostanza.

Quale prova deve fornire una società estera per essere considerata ‘beneficiario effettivo’ degli interessi ricevuti dall’Italia?
La società deve provare di avere la titolarità e la piena disponibilità degli interessi, senza essere obbligata a ritrasferirli a un altro soggetto. La prova può essere fornita attraverso documenti che ne attestino la sostanza economica, come l’atto costitutivo, i bilanci, gli accordi contrattuali e la documentazione bancaria che dimostri l’effettiva ricezione dei fondi.

Il certificato di residenza fiscale rilasciato dalle autorità estere è sufficiente per ottenere i benefici di una convenzione contro le doppie imposizioni?
Secondo la Corte, il certificato di residenza fiscale è sufficiente per soddisfare i requisiti formali previsti dalla convenzione. Tuttavia, non esonera il contribuente dal dover dimostrare, se contestato, la sussistenza delle condizioni sostanziali, come quella di essere il beneficiario effettivo del reddito.

Per ottenere un’aliquota ridotta in base a una convenzione, è necessario dimostrare di aver effettivamente pagato le imposte su quel reddito nel proprio Paese di residenza?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che non è necessario provare un effettivo esborso fiscale nel Paese di residenza. È sufficiente che il reddito in questione concorra alla formazione del reddito complessivo della società, e sia quindi ‘soggetto a imposizione’, anche se poi, per effetto di deduzioni o crediti, non si traduce in un prelievo fiscale concreto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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