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Beneficiario effettivo: la guida della Cassazione

Una holding olandese ha richiesto il rimborso della ritenuta sui dividendi ricevuti dalla sua controllata italiana, sostenendo di essere il ‘beneficiario effettivo’ ai sensi della direttiva UE. Le commissioni tributarie avevano respinto la richiesta, ma la Corte di Cassazione ha annullato la loro decisione. La Corte ha chiarito che lo status di beneficiario effettivo non richiede necessariamente un pagamento in contanti, ma va valutato attraverso test specifici che analizzano la sostanza economica dell’operazione, come il ‘dominion test’ e il ‘business purpose test’, criticando i giudici di merito per non aver esaminato adeguatamente le prove fornite dalla società.

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Pubblicato il 15 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Beneficiario Effettivo: la Cassazione traccia la linea sull’esenzione dei dividendi

La corretta identificazione del beneficiario effettivo è un pilastro fondamentale del diritto tributario internazionale, specialmente per l’applicazione dei regimi di favore come l’esenzione da ritenuta sui dividendi prevista dalla Direttiva UE ‘madre-figlia’. Con la sentenza n. 23628 del 3 settembre 2024, la Corte di Cassazione è tornata su questo tema cruciale, offrendo chiarimenti essenziali per le società operanti in contesti multinazionali. La pronuncia sottolinea come la valutazione debba basarsi sulla sostanza economica e non fermarsi ad aspetti formali come le modalità di pagamento.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dalla richiesta di rimborso di una società holding di diritto olandese per le ritenute, pari al 5%, applicate sui dividendi distribuiti da una sua controllata italiana nel periodo 2013-2016. La società madre sosteneva di aver diritto all’esenzione totale prevista dalla normativa di recepimento della Direttiva ‘madre-figlia’, in quanto a suo dire possedeva tutti i requisiti, incluso quello di beneficiario effettivo dei dividendi.

L’Agenzia delle Entrate non ha risposto all’istanza, facendo scattare il meccanismo del silenzio-rifiuto. La società ha quindi impugnato tale diniego dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale e, successivamente, a quella Regionale. Entrambi i gradi di giudizio di merito hanno dato torto alla società, negando la qualifica di beneficiario effettivo. In particolare, i giudici regionali hanno motivato la decisione sostenendo che la società non avesse fornito prova adeguata né del flusso effettivo di denaro (dato che i dividendi erano stati in parte oggetto di compensazione con altri crediti), né della sua soggezione a imposizione fiscale nei Paesi Bassi.

La Decisione della Corte di Cassazione e i Test di Verifica

Investita della questione, la Corte di Cassazione ha accolto i motivi principali del ricorso della società, cassando con rinvio la sentenza d’appello. La Corte ha censurato l’approccio dei giudici di merito, ritenendolo eccessivamente formalistico e non in linea con i principi unionali e nazionali consolidati in materia.

I giudici di legittimità hanno ribadito che la verifica della qualifica di beneficiario effettivo non può essere superficiale, ma deve articolarsi attraverso tre specifici test, volti a smascherare eventuali costruzioni artificiose e elusive:

1. Substantive Business Activity Test: verifica se la società percipiente svolge un’effettiva e concreta attività economica.
2. Dominion Test: accerta se la società ha il potere di disporre liberamente delle somme ricevute (il cosiddetto ‘right to use and enjoy’), senza essere obbligata a ritrasferirle a un altro soggetto.
3. Business Purpose Test: analizza le ragioni economiche e commerciali che giustificano l’interposizione della società nel flusso reddituale, per escludere che si tratti di una mera ‘conduit company’ creata al solo scopo di ottenere un vantaggio fiscale.

Le Motivazioni

La sentenza della Cassazione si fonda su argomentazioni precise che smontano la decisione dei giudici di merito.

L’errata Interpretazione del “Dominion Test”

Il punto centrale della critica della Cassazione riguarda l’interpretazione del ‘dominion test’. I giudici d’appello avevano negato la qualifica di beneficiario effettivo perché gran parte dei dividendi non era stata pagata in contanti, ma utilizzata per compensare debiti che la società madre aveva verso la figlia per precedenti finanziamenti. Secondo la Suprema Corte, questo ragionamento è errato. La compensazione è una modalità di estinzione dell’obbligazione che presuppone il pieno potere di disporre di quel credito. Utilizzare i dividendi per estinguere un debito è, a tutti gli effetti, un’espressione del ‘right to use and enjoy’ e non un indice di mancanza di controllo. Ciò che conta è la capacità di decidere la destinazione economica dei fondi, non la modalità materiale del trasferimento.

L’Importanza del “Business Purpose Test” e della Storicità

La Corte ha inoltre evidenziato come i giudici di merito abbiano ignorato un elemento fattuale decisivo: la presenza storica del gruppo societario nei Paesi Bassi, risalente agli anni ’70, quindi ben prima dell’introduzione della Direttiva ‘madre-figlia’. Questo dato avrebbe dovuto essere attentamente considerato nell’ambito del ‘business purpose test’, in quanto smentiva l’ipotesi che la struttura societaria fosse stata creata ‘ad hoc’ con finalità elusive. Una presenza consolidata e radicata nel tempo è un forte indicatore di una scelta imprenditoriale genuina e non di un mero artificio fiscale.

Il Vizio di Motivazione Apparente

Infine, la Cassazione ha riscontrato un grave vizio procedurale nella sentenza impugnata: la ‘motivazione apparente’. I giudici d’appello avevano affermato genericamente che la società non aveva provato di essere soggetta a imposte nei Paesi Bassi, senza però analizzare e confrontarsi con la documentazione specifica che la società sosteneva di aver depositato in giudizio. Un’affermazione così assertiva e priva di un’analisi concreta delle prove rende l’iter logico-giuridico della decisione incomprensibile e ne determina la nullità, poiché si pone al di sotto del ‘minimo costituzionale’ richiesto per una motivazione valida.

Le Conclusioni

La sentenza n. 23628/2024 della Corte di Cassazione rappresenta un importante vademecum per le imprese e i professionisti. Essa riafferma con forza un principio di ‘sostanza sulla forma’ nella valutazione della figura del beneficiario effettivo. Non è sufficiente contestare le modalità formali di un’operazione, come il pagamento tramite compensazione, per negare un beneficio fiscale. È necessario, invece, condurre un’analisi approfondita basata sui tre test (attività sostanziale, dominio sui fondi e scopo economico), supportata da un esame puntuale di tutte le prove documentali. Per le società, la lezione è chiara: è fondamentale poter dimostrare con prove concrete non solo la titolarità formale, ma anche la sostanza economica della propria posizione all’interno della struttura di gruppo per poter legittimamente accedere ai benefici fiscali previsti dalle normative nazionali e unionali.

Per essere considerato ‘beneficiario effettivo’ di dividendi è necessario un pagamento in denaro?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che lo status di beneficiario effettivo non dipende dalla modalità di pagamento. Anche l’utilizzo dei dividendi in compensazione per estinguere altri debiti dimostra il potere di disporre liberamente delle somme (‘right to use and enjoy’), che è il requisito fondamentale del cosiddetto ‘dominion test’.

Quali sono i criteri per determinare se una società è il ‘beneficiario effettivo’ dei dividendi?
Secondo la sentenza, la verifica si basa su tre test autonomi e disgiunti: 1) il ‘substantive business activity test’, per verificare se la società svolge un’attività economica reale; 2) il ‘dominion test’, per accertare che la società abbia il pieno controllo e la libera disponibilità dei fondi; 3) il ‘business purpose test’, per analizzare le ragioni economiche della struttura ed escludere che si tratti di un mero artificio fiscale.

Cosa significa ‘motivazione apparente’ in una sentenza tributaria?
Si ha una motivazione apparente quando il giudice si limita a affermazioni generiche e assertive senza esaminare concretamente le prove prodotte dalle parti. Tale motivazione, non rendendo comprensibile l’iter logico-giuridico seguito per arrivare alla decisione, rende la sentenza nulla perché viola l’obbligo di fornire una giustificazione effettiva e controllabile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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