Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16459 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 16459 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Agenzia delle Entrate , in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, ex lege , dall’Avvocatura Generale dello Stato, e domiciliata presso i suoi uffici, alla INDIRIZZO in Roma ;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al ricorso, dall’Avv.to NOME COGNOME che ha indicato recapito Pec, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv.to NOME COGNOME, alla INDIRIZZO in Roma;
-controricorrente –
avverso
la sentenza n. 1979, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia il 4.2.2020, e pubblicata il 23.9.2020; ascoltata la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
OGGETTO: Ires 2011/12 -Gruppo societario – Interessi passivi corrisposti alla holding – Omessa ritenuta Beneficiario effettivo.
raccolte le conclusioni del P.M., s.Procuratore Generale NOME COGNOME che ha confermato la propria richiesta di rigetto del ricorso;
ascoltate le conclusioni rassegnate, per la ricorrente, dall’Avv.to dello Stato NOME COGNOME e dal Proc. dello Stato NOME COGNOME che hanno domandato l’accoglimento dell’impugnativa e, per la controricorrente, dall’Avv. NOME COGNOME che ha domandato il rigetto del ricorso;
la Corte osserva:
Fatti di causa
L’Agenzia delle Entrate notificava alla RAGIONE_SOCIALE, gli avvisi di accertamento n. TMB071V00807/2016, e n. TMB071V00802/2017, aventi ad oggetto il tributo dell’Ires, con riferimento all’omesso versamento delle ritenute sugli interessi passivi corrisposti a società holding olandese del gruppo RAGIONE_SOCIALE, attivo nel settore della distribuzione di prodotti chimici, in relazione agli anni 2011 e 2012.
La RAGIONE_SOCIALE impugnava gli avvisi di accertamento innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano proponendo plurime censure, procedimentali e di merito, tra l’altro sostenendo l’infondatezza della pretesa tributaria perché le ritenute non dovevano essere operate, non essendosi verificata una ipotesi di interposizione, ed essendo la holding il beneficiario effettivo della corresponsione degli interessi. La CTP, riuniti i ricorsi, riteneva fondate le critiche di merito proposte dalla società, in conseguenza accoglieva i suoi ricorsi ed annullava gli atti impositivi.
L’Amministrazione finanziaria spiegava appello avverso la decisione sfavorevole conseguita dai giudici di primo grado, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che respingeva l’impugnativa.
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso la decisione adottata dal giudice dell’appello, affidandosi a
tre strumenti di impugnazione. La società resiste mediante controricorso ed ha pure depositato memoria.
4.1. Ha fatto pervenire le sue conclusioni scritte il Pubblico Ministero, nella persona del s.Procuratore Generale NOME COGNOME ed ha domandato di rigettare l’impugnativa.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., l’Agenzia delle Entrate contesta la nullità della decisione impugnata, in conseguenza della violazione degli artt. 36, comma 2, n. 4, e 61 del D.Lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., dell’art. 118 Disp. att. cod. proc. civ., nonché dell’art. 111, sesto comma, Cost., perché la pronuncia risulta fondata su una motivazione meramente apparente, con particolare riferimento alla mancanza della qualità di beneficiario effettivo della holding cui erano state corrisposte dalla contribuente le somme dovute per gli interessi sul prestito ricevuto.
Mediante il secondo strumento di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., l’Ente impositore censura la violazione degli artt. 26, quinto comma, e 26 quater , quarto comma, del Dpr n. 600 del 1973, nonché dell’art. 1, § 4, Dir. 49/2003/UE, per non avere la CTR rilevato che la società, cui competeva assicurare la prova che la holding destinataria del versamento degli interessi fosse il beneficiario effettivo della corresponsione, non l’aveva fornita.
Con il terzo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., l’Amministrazione finanziaria critica la violazione dell’art. 26 quater , sesto comma, del Dpr n. 60 del 1973, e dell’art. 1, § 11, della Dir. 49/2003/CE, per avere il giudice dell’appello ritenuto determinante ai fini del decidere una dichiarazione dell’Autorità fiscale olandese, inidonea a
far ritenere provato che la società holding di quel Paese fosse il beneficiario effettivo degli interessi versati dalla consociata italiana.
Sembra opportuno premettere che il gruppo RAGIONE_SOCIALE, già fruitore di mutuo bancario, procedeva ad una ristrutturazione dello stesso, stipulando un nuovo prestito di maggior valore, circa due miliardi di Euro, a condizioni ritenute più convenienti, con una cordata di istituti bancari. Le holding del gruppo concedevano quindi una frazione del prestito alle consociate, applicando uno spread sugli interessi da corrispondere particolarmente ridotto, lo 0,125%, rispetto a quanto le holding corrispondevano agli Istituti di credito (circa il 9%). La scelta era stata operata in un consiglio di amministrazione del 12.12.2005, in cui si era evidenziata la convenienza dell’operazione, sia in relazione al profilo economico sia a quello fiscale.
L’Amministrazione finanziaria riteneva che in questa operazione le holding fungessero da mero soggetto interposto, in relazione al versamento di somme ai beneficiari effettivi, gli Istituti di credito. In conseguenza sulle somme corrisposte a titolo di interesse dalla RAGIONE_SOCIALE alla holding, mera interposta e non beneficiario effettivo, avrebbe dovuto essere operata la ritenuta fiscale, non potendo applicarsi il regime di esenzione tra soggetti comunitari.
La società controricorrente ha contestato l’inammissibilità del ricorso dell’Ente impositore affermando, in sostanza, che i suoi motivi di ricorso domandano in realtà la rivalutazione del fatto processuale, nonostante la presenza di una doppia decisione conforme dei giudici di merito, chiedendo la rinnovazione di un giudizio di merito che la ricorrente non condivide.
5.1. In realtà l’Amministrazione finanziaria lamenta la mera apparenza della decisione, e comunque la sua non conformità alla legge, con riferimento ad un profilo indubbiamente essenziale nel giudizio, la qualità di beneficiario effettivo della holding che ha ricevuto il pagamento degli interessi passivi in ordine alla cui
imposizione si controverte. Inoltre, la ricorrente contesta l’interpretazione della CTR secondo cui, alla luce della legislazione nazionale ed unionale applicabile, l’attestazione di uno Stato estero, secondo cui un operatore economico ivi stabilito sia un percettore di redditi in proprio, dovrebbe ritenersi vincolante per l’Amministrazione finanziaria ed il giudice italiano in materia di accertamento di un’evasione fiscale. Questioni di diritto, pertanto, ed il ricorso risulta perciò ammissibile.
Ancora preliminarmente occorre rilevare che la società controricorrente ha invocato anche la rilevanza del giudicato esterno formatosi tra le stesse parti, con riferimento alla pronuncia della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 5205, dep. 28.11.2018, relativa all’anno 2009.
6.1. Invero, con riferimento a questo giudizio deve osservarsi che il giudicato sulla invocata sentenza della CTR si è formato prima dell’udienza di discussione dell’appello, e non risulta che la questione fosse stata tempestivamente introdotta dalla società, con produzione della decisione.
Inoltre, si è già avuto occasione di chiarire che ‘l’efficacia del giudicato esterno non può giungere fino al punto di far ritenere vincolante, nel giudizio avente ad oggetto le medesime questioni di fatto e di diritto, la sentenza definitiva di merito priva di una specifica “ratio decidendi”, che, cioè, accolga o rigetti la domanda, senza spiegare in alcun modo le ragioni della scelta, poiché, pur non essendo formalmente inesistente e nemmeno nulla (coprendo il passaggio in giudicato, quanto alle nullità, il dedotto e il deducibile), essa manca di un supporto argomentativo che possa spiegare effetti oltre i confini della specifica fattispecie. L’attribuzione di efficacia di giudicato esterno ad una siffatta decisione comporterebbe d’altronde, in riferimento al giudizio di legittimità, una rinuncia della Corte di cassazione alla propria funzione nomofilattica, dovendo essa subire l’imposizione da parte
del giudice di merito di un principio di diritto che non risulta neppure formulato in maniera espressa’, Cass. sez. V, 6.8.2009, n. 18041.
Tanto premesso, oltre alla considerazione relativa alla peculiarità della materia tributaria ed all’autonomia dei diversi periodi d’imposta, questa Corte regolatrice ha recentemente avuto occasione di statuire pure che ‘in tema di giudicato esterno, l’interpretazione delle norme giuridiche compiuta dal giudice non può mai costituire limite all’attività esegetica esercitata da altro giudice, la quale, in quanto consustanziale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, non può incontrare vincoli, non trovando riconoscimento, nell’ordinamento processuale italiano, il principio dello stare decisis . (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza con la quale la Commissione tributaria regionale, respingendo l’eccezione di giudicato esterno, aveva operato un’autonoma valutazione della fattispecie oggetto di giudizio, relativamente alla legittimità del metodo utilizzato dall’Ente comunale per la stima dell’immobile soggetto ad ICI)’, Cass. sez. V, 5.3.2024, n. 5822.
6.2. Nel caso di specie la CTR della Lombardia ha ritenuto che il regime fiscale favorevole invocato dalla ricorrente risultasse applicabile perché ‘non si può ritenere che non sussistano valide ragioni di economia di gruppo di impresa solo perché il tasso applicato è minimale, e non si può disattendere la dichiarazione di una amministrazione finanziaria di un Paese comunitario senza valide ragioni’. Anche in conseguenza di quanto si osserverà nel prosieguo entrambe le tesi, nella loro assolutezza, non risultano condivisibili, perché la normativa applicabile non prevede che l’evasione fiscale sia esclusa per il sol fatto che un’operazione finanziaria sia supportata da, più o meno valide, ragioni economiche, e perché, alla luce dell’ordinamento interno come di quello comunitario, l’attestazione dell’Autorità finanziaria di uno
stato estero secondo cui un operatore economico è un percettore in proprio di redditi non inibisce l’attività di accertamento fiscale che può svolgere l’Amministrazione finanziaria italiana.
Del resto la sentenza invocata quale giudicato esterno, CTR Lombardia n. 5205, dep. 28.11.2018 e relativa all’anno 2009, non spiega le ragioni per le quali debba ritenersi che la holding estera fosse il beneficiario effettivo del versamento degli interessi, che è la questione controversa centrale in questo giudizio, anche con riferimento alla questione fattuale, la disponibilità economica del flusso di denaro, il cd. dominion test , che la sentenza richiamata non ha accertato espressamente, e può peraltro condurre a risultati diversi nei vari periodi d’imposta.
6.2.1. In memoria la società ha anche invocato la ricorrenza di un secondo giudicato esterno formatosi tra le stesse parti in relazione all’anno d’imposta 2015, ma non ha prodotto copia integrale della decisione con attestazione del giudicato.
Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate contesta la motivazione apparente della pronuncia impugnata con particolare riferimento alla mancanza della qualità di beneficiario effettivo della holding beneficiaria formale della corresponsione degli interessi.
Mediante il secondo strumento di impugnazione l’Ente impositore censura la violazione di legge in cui ritiene essere incorsa la CTR per non aver rilevato che la società non aveva assicurato la prova che la holding cui versava gli interessi fosse il beneficiario effettivo della corresponsione.
I due strumenti d’impugnazione presentano elementi di connessione, e possono perciò essere trattati congiuntamente, per ragioni di sintesi e chiarezza espositiva.
7.1. Invero la verifica della qualità di beneficiario effettivo della holding che ha ricevuto le somme versate dalla RAGIONE_SOCIALE quali interessi passivi sul prestito ricevuto, non appare dubbio costituisca
il nodo centrale di questo giudizio, perché ne dipende l’applicabilità, o meno, del regime fiscale di esenzione invocato dalla società.
7.2. Ha osservato la CTR che, nella tesi dell’Amministrazione finanziaria il beneficiario finale, effettivo, del prestito erano le banche che lo avevano concesso, cui le somme ricevute dalle consociate venivano riversate dalla holding. Osservano quindi, i giudici dell’appello, che ‘l’operazione di rifinanziamento e ristrutturazione con scopi finanziari è stata posta in essere per l’estinzione del debito già esistente e di conseguire l’ottimizzazione delle attività del gruppo … le holding erano dotate di poteri decisionali autonomi circa i finanziamenti … nonché sopportavano in prima persona tutti i rischi derivanti dai finanziamenti dell’operazione … l’Agenzia ha ritenuto che l’interposizione della Holding olandese e di quella italiana tra gli istituti finanziari e la società fosse stata fatta per finalità evasive … stante il fatto che i tassi d’interesse applicati contenevano uno spread molto ridotto, quindi tutta la complessa operazione era volta al solo fine di evitare l’applicazione delle ritenute sugli interessi passivi corrisposti dalla società agli istituti finanziari esteri … in realtà il risparmio economico finanziario era uno degli elementi della complessa operazione, poiché dall’esame del verbale del Consiglio di Amministrazione si appalesa, quale motivo fondamentale dell’operazione, quello di ottenere finanziamenti da molteplici istituti finanziari per potenziare le sviluppo di tutto il gruppo, conseguendo un risparmio sensibile sui pregressi finanziamenti, più gravosi’ (sent. CTR, p.3).
7.3. È sembrato opportuno riportare quasi per intero la succinta motivazione adottata dal giudice dell’appello, al fine di evidenziare che la stessa si rivela effettivamente lacunosa. Invero nulla impedisce che un’operazione finanziaria, assolutamente lecita, di ristrutturazione del debito posta in essere da un operatore economico importi anche l’effetto di comportare un’evasione
d’imposta. Non si richiede, del resto, che la finalità evasiva debba essere l’unica perseguita mediante l’intera operazione economica.
Inoltre, non risulta confortata in atti l’affermazione della CTR secondo cui le holding del gruppo ‘sopportavano in prima persona tutti i rischi derivanti dai finanziamenti dell’operazione’ (evidenza aggiunta), poiché risulta accertato che la RAGIONE_SOCIALE aveva dovuto garantire la propria frazione del prestito con beni propri, ed il fatto che la società contesti la (parziale) cessazione delle garanzie, successivamente all’erogazione del prestito, evidenzia un ulteriore tema non esaminato nella pronunzia del giudice dell’appello.
7.3.1. Il fatto che l’intera operazione potesse avere valide ragioni economiche, poi, non interferisce con il dato oggettivo che la holding aveva concesso il prestito con uno spread assolutamente modesto rispetto alla percentuale di interessi che doveva pagare alle banche, e che questo dato deve essere valutato in sede di verifica della natura di soggetto interposto della holding, e non di beneficiario effettivo del versamento degli interessi.
7.4. In materia questa Corte regolatrice ha avuto già occasione di chiarire, con pronuncia Cass. sez. V, 8.1.2024, n. 573, illustrando rilievi che possono essere riprodotti in questa sede, che ‘la controversia si colloca, sul piano normativo, nel perimetro della direttiva 2003/49/CE (c.d. direttiva IRD) -che è alla base dell’introduzione, nella normativa nazionale, del citato articolo 26 quater – sulla quale si innestano rilevanti decisioni della Corte di giustizia e di questa sezione tributaria: Corte giust. 26 febbraio 2019, nelle cause riunite C-115/16, C 118/16, C-119/16 e C299/16; Corte giust. 26 febbraio 2019, nelle cause riunite C116/16, C-117/16 (tali decisioni vengono indicate come le ‘sentenze danesi’: la prima pronuncia … riguarda la materia degli interessi passivi su finanziamenti … la direttiva IRD prevede sì l’obbligo generale dello Stato di residenza di assoggettare a
tassazione il soggetto destinatario degli interessi (dei canoni etc.), ma fa salva l’applicazione della c.d. clausola del beneficiario effettivo ( beneficial owner ). A chiarirlo è la stessa Corte di giustizia (sent. 26 febbraio 2019, nelle cause riunite C-115/16, C-118/16, C-119/16 e C299/16), secondo cui lo scopo della direttiva è di assicurare ai flussi di interessi (etc.) tra consociate (o stabili organizzazioni di consociate) di due diversi Stati membri, (beninteso) in possesso dei necessari requisiti applicativi, il trattamento fiscale ad essi riservato nelle operazioni intercorse all’interno di un unico Stato membro. A tal fine si dispone che gli interessi (etc.) siano esenti dalla ritenuta nello Stato della fonte, per essere assoggettati ad imposta una sola volta nello Stato di residenza del creditore, il quale deve esercitare il potere impositivo che gli è stato affidato in via esclusiva ( ibidem , punti 151 e 152)’.
7.4.1. Tanto premesso si è illustrato che ‘il regime fiscale dei flussi transfrontalieri di interessi impone, pertanto, di stabilire se il percettore ‘formale’ ne sia o meno il beneficiario effettivo, senza tralasciare che, per la direttiva IRD (art. 1, par. 4), «Una società di uno Stato membro è considerata beneficiario effettivo di interessi o canoni soltanto se riceve tali pagamenti in qualità di beneficiaria finale e non di intermediaria, quale agente, delegato o fiduciario di un’altra persona» (in termini, Cass. n. 14756/2020, cit., pagg. 8 -9). Pertanto, l’indagine sul beneficiario effettivo s’interseca necessariamente con la verifica del ruolo concretamente assunto dall’eventuale società intermediaria ( conduit company o société relais ) … In merito alla clausola, cruciale, del ‘beneficiario effettivo’, il percorso argomentativo della Corte di giustizia (sent. 26 febbraio 2019, nelle cause riunite C-115/16, C-118/16, C119/16 e C299/16) chiarisce che «il termine ‘beneficiario effettivo’ non è utilizzato in un’accezione ristretta e tecnica, bensì deve essere esteso nel suo contesto alla luce dell’oggetto e dell’obiettivo della convenzione, segnatamente per evitare le doppie
imposizioni nonché prevenire la frode e l’evasione fiscale» (cfr. punto 6 della decisione che richiama il punto 8 del Commentario OCSE, edizione 2003. Tale aspetto è precisato ulteriormente nell’edizione 2017 del Commentario, par. da 9 a 14, dove, in particolare al par. 9.1., si puntualizza che, proprio in ragione della finalità antielusiva della clausola: « The term ‘beneficial owner’ is therefore not used in a narrow technical sense (such as the meaning that it has under the trust law of many common law countries), rather it should be understood in its context, in particular in relation to the words ‘paid to a resident’, and in light of the object and purposes of the Convention, including avoiding double taxation and the prevention of fiscal evasion and avoidance »). L’individuazione del ‘beneficiario effettivo’, talvolta (ma non necessariamente) non disgiunta dall’interferenza di una società ‘conduit’, non può prescindere da un approfondito scrutinio della fattispecie concreta ad opera del giudice di merito, che sia idoneo a gettare luce sulla sostanza economica dell’operazione finanziaria. Al riguardo, la già citata Cass. n. 14756/2020 (la quale richiama Cass. 28/12/2016, n. 27112, in materia di dividendi; cfr., altresì, le sentenze ‘gemelle’ nn. 27113/2016, 27115/2016, 27116/2016) afferma che una subholding pura -che è sufficiente abbia una struttura ‘leggera’, ma adeguata -può essere considerata ‘beneficiario effettivo’ degli interessi (etc.) all’esito della valutazione di una serie di ‘parametri spia’, che indicano la padronanza e l’autonomia di gestione del flusso di reddito, nonché l’assenza di indici di artificiosità e di abusività, come delineati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia. Inoltre, considerato che la condizione di ‘beneficiario effettivo’ degli interessi costituisce un requisito da soddisfare affinché spettino i benefici concessi dalla direttiva, lo Stato d’origine può imporre alla società percettrice degli interessi di dimostrare di esserne il beneficiario effettivo, nel senso di rappresentare l’entità che benefici effettivamente, sotto il
profilo economico, degli interessi percepiti e disponga, pertanto, del potere di deciderne liberamente la destinazione (Corte di giustizia, sent. 26 febbraio 2019, nelle cause riunite C-115/16, C-118/16, C119/16 e C 299/16, cit., punti 140145 e 122, primo trattino)’.
7.4.2. In conseguenza, compete ‘alla società contribuente, anche per il principio di vicinanza della prova (art. 2697, cod. civ.), dimostrare di essere il ‘beneficiario effettivo’, sul piano sostanziale e non meramente formale (in termini, Cass. n. 17746/2021); invece, in caso di superamento del primo step di verifica, in ossequio alla regola generale sull’onere della prova, all’Amministrazione spetterà dimostrare l’eventuale abuso del diritto e la sussistenza di una costruzione artificiosa. L’indagine si articola in tre test, autonomi e disgiunti, che, a seconda della fattispecie concreta, prendono in considerazione dei ‘parametri spia’ o ‘indici segnaletici’, e sono stati denominati dalla dottrina, la quale ha razionalizzato i princìpi cardine enunciati dalla giurisprudenza, comunitaria e di legittimità, e dalle Corti anglosassoni e mitteleuropee in noti leading case : i) il substantive business activity test ; (ii) il dominion test ; (iii) il business purpose test . Il primo test mira a verificare se la società interposta sia o meno una costruzione artificiosa in quanto, per i princìpi generali del diritto dell’Unione europea, gli Stati membri non possono avvalersi in maniera fraudolenta e abusiva delle norme di diritto eurounitario. Se una società non supera la prova dello svolgimento di un’attività economica effettiva, si è in presenza di un abuso e alla società non è precluso soltanto di fruire del regime fiscale riservato dalla direttiva IRD al beneficiario effettivo, ma anche di avvalersi del fascio di libertà e diritti riconosciuti dal TFUE. Il dominion test è il centro dell’indagine e, prescindendo da costruzioni artificiose, punta al cuore del significato economico della specifica operazione ( substantial economic effect ) indagata, atteso che, in ipotesi, la stessa società ben può essere beneficiario
effettivo riguardo i flussi finanziari provenienti da alcune operazioni del gruppo e non esserlo invece rispetto ad altre. Con esso si valuta la capacità della società di disporre liberamente degli interessi percepiti, se cioè essa ne sia o meno il beneficiario effettivo. Il ‘dominio’ degli interessi ricevuti si ha quando la percipiente ne può disporre liberamente e non è tenuta a rimettere il flusso reddituale ad un terzo (che può essere anche una società appartenente allo stesso gruppo multinazionale). L’obbligazione restitutoria può risultare da un contratto o può essere desunta da elementi fattuali, quali, a titolo di esempio: il ristretto arco di tempo tra la ricezione degli interessi e il pagamento della rata del finanziamento ricevuto; la regolarità dei trasferimenti alla controllante; l’esiguità del margine di guadagno sugli interessi ricevuti; l’identità del management della società interposta e di quella destinataria finale del flusso reddituale; la circostanza che la società interposta non abbia deliberato il finanziamento, che non ne sopporti il rischio, o, ancora, che non possa rinunciare alle somme prestate (in termini, Cass. nn. 32840/2018, 32842/2018, in materia di royalties; Cass. n. 26920/2022, in materia di dividendi). Se una società non supera il dominion test non può essere considerata il beneficiario effettivo, ma non le è precluso di godere degli altri diritti e libertà sanciti dal diritto europeo … In base alla corretta esegesi della direttiva IRD, fornita dalle ‘sentenze danesi’, pertanto, va ribadito, per quanto qui rileva, il principio di diritto più volte già enunciato da questa Corte (Cass. 28/02/2023, n. 6005; nello stesso senso, in motivazione, Cass. n. 6067/2023; Cass. n. 6065/2023; Cass.n. 6061/2023; Cass. n. 6050/2023; Cass. n. 6067/2023; Cass. n. 6065/2023; Cass. 14905/2023), secondo cui «In tema di esenzione degli interessi (e di altri flussi reddituali) dall’imposta ex art. 26 -quater, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in applicazione dell’ordinario riparto dell’onere probatorio tra fisco e contribuente, nonché per il principio di vicinanza della
prova, spetta alla società contribuente, che ne adduca la qualità, la prova di essere il ‘beneficiario effettivo’ … Nel caso di specie, la CTR non ha fatto buon governo di tali principi, non dando conto in motivazione di avere verificato sul piano sostanziale se sussistessero o meno, in capo alla contribuente istante (gravata per quanto si è detto della relativa prova, tanto più in considerazione delle specifiche contestazioni sollevate dall’Ufficio) ed in relazione agli interessi di cui si discute, tutte le predette caratteristiche che determinano la figura del beneficiario effettivo in termini concreti, e non meramente nominali e formali’, Cass. sez. V, 8.1.2024, n. 573.
7.5. Sono pertanto numerose le problematiche rilevanti, in materia di raggiungimento della prova che la holding olandese fosse il beneficiario effettivo delle somme che le erano corrisposte dalla RAGIONE_SOCIALE, che la CTR non affronta, o sulle quali motiva soltanto apparentemente, ed i primi due motivi di ricorso devono essere pertanto accolti.
Con il terzo motivo di ricorso l’Amministrazione finanziaria critica la violazione di legge in cui ritiene essere incorso il giudice dell’appello per aver ritenuto determinante, per attribuire alla holding la qualifica di beneficiario effettivo del versamento degli interessi, la dichiarazione rilasciata dall’Autorità fiscale olandese.
8.1. La CTR, anche in questo caso pronunziandosi con estrema concisione, scrive che ‘in particolare, al fine dell’esame circa il rispetto dei disposti ex art. 26, comma 5, d.P.R. 600/1973 ed ex art. 1 della Direttiva 2003/49/CE risulta fondamentale la produzione della dichiarazione di titolarità reale e concreta fornita dall’autorità fiscale olandese relativamente all’esenzione degli interessi corrisposti dalla società alla RAGIONE_SOCIALE‘ (sent. CTR, p. II).
8.2. Invero l’attestazione è prevista dalla normativa comunitaria in primo luogo al fine di conseguire la certezza che
l’operatore economico interessato debba considerarsi stabilito in un Paese dell’Unione Europea. La normativa unionale, inoltre, se rivolge la propria attenzione al contrasto del fenomeno della doppia imposizione, ad un tempo richiede, come si è ricordato, che sia prestata la massima attenzione ad evitare l’evasione fiscale come disciplinata dalle regole nazionali.
8.2.1. Ancora nella decisione innanzi richiamata, si è già avuto condivisibilmente modo di rilevare che ‘alla luce della corretta esegesi della direttiva IRD, ricavabile innanzitutto dalle richiamate ‘sentenze danesi’, oltre che dalla citata giurisprudenza di legittimità, la già argomentata verifica necessariamente sostanziale della qualità di ‘beneficiario effettivo’ non può coincidere con la mera presa d’atto dell’attribuzione formale di tale titolo. Infatti (fermo restando l’onere della prova in capo alla contribuente, tanto più in relazione alle contestazioni dell’Amministrazione nel giudizio conseguente al diniego del rimborso) l’interpretazione del concetto di ‘beneficiario effettivo’, per tutte le ragioni già esposte, deve essere letto in chiave non meramente formale, ma sostanziale, ed accertato all’esito dei ‘parametri spia’ da rapportare alla fattispecie concreta, per verificare la sussistenza, nel caso di specie, dei requisiti che denotano tale qualificazione, ai fini dell’esenzione. Accertamento da condurre, sulla base del materiale istruttorio che spetta al giudice del merito individuare e valutare, ma secondo i criteri e le modalità ‘sostanziali’ di cui ai test, ed ai principi che li ispirano, già richiamati’, Cass. sez. V, 8.1.2024, n. 573.
Anche il terzo motivo di ricorso risulta pertanto fondato e deve perciò essere accolto.
In definitiva, il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate deve valutarsi fondato, e deve perciò essere accolto. In conseguenza la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia perché provveda a nuovo esame.
La Corte di Cassazione,
P.Q.M.
accoglie il ricorso proposto dall’ Agenzia delle Entrate , cassa la decisione impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia perché, in diversa composizione e nel rispetto dei principi esposti, proceda a nuovo giudizio, provvedendo anche a regolare tra le parti le spese di lite del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 23.5.2025.