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Beneficial Owner: quando spetta l’esenzione fiscale

Una holding contesta il diniego al rimborso di una ritenuta fiscale sugli interessi ricevuti da una sua partecipata italiana. Le corti di merito avevano negato il rimborso, dubitando che la società fosse il reale ‘beneficial owner’ dei fondi. La Corte di Cassazione ha annullato la decisione, criticando la motivazione assente e la mancata analisi del concetto di ‘beneficial owner’ e delle prove fornite, come un certificato dell’autorità fiscale estera. Il caso è stato rinviato per un nuovo esame che dovrà seguire i principi di diritto stabiliti dalla Suprema Corte.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Beneficial Owner: La Cassazione Fissa i Paletti per l’Esenzione Fiscale

L’esenzione dalla ritenuta fiscale sugli interessi pagati tra società consociate europee dipende da un requisito fondamentale: dimostrare di essere il beneficial owner (beneficiario effettivo) di tali somme. Con la sentenza n. 8612/2024, la Corte di Cassazione è tornata su questo tema cruciale del diritto tributario internazionale, annullando una decisione di merito per totale assenza di motivazione e chiarendo i criteri che i giudici devono seguire per una corretta valutazione.

I Fatti di Causa

Una società holding estera, operante nel settore della logistica, aveva concesso un importante finanziamento a una sua partecipata italiana. Sugli interessi maturati e pagati, la società italiana aveva applicato una ritenuta fiscale del 10%, come previsto dalla Convenzione contro le doppie imposizioni tra l’Italia e il Regno Unito.

Successivamente, la holding aveva richiesto il rimborso totale di tale ritenuta, sostenendo di avere diritto all’esenzione completa prevista dalla Direttiva UE “Interessi e Royalty” (recepita nell’ordinamento italiano dall’art. 26-quater del d.P.R. 600/1973). A suo avviso, possedeva tutti i requisiti: deteneva una partecipazione qualificata da oltre un anno, rientrava nelle forme giuridiche previste, era soggetta a imposizione nel suo Paese e, soprattutto, era la beneficiaria effettiva degli interessi. L’Agenzia delle Entrate negava il rimborso, contestando proprio quest’ultima qualifica.

Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale davano ragione al Fisco, ritenendo che la società non avesse fornito prove sufficienti. In particolare, i giudici d’appello avevano svalutato la documentazione prodotta (estratti conto relativi a un sistema di cash pooling), giudicandola inidonea a tracciare con certezza i flussi finanziari e la loro effettiva tassazione nel Paese di origine.

La Decisione della Cassazione e l’Analisi del Concetto di Beneficial Owner

La Suprema Corte ha accolto il ricorso della società, cassando con rinvio la sentenza d’appello. La critica principale mossa ai giudici di merito è quella di aver emesso una pronuncia “globalmente anapodittica”, ovvero priva di una reale motivazione in grado di spiegare il percorso logico-giuridico seguito.

La Corte ha individuato due profili decisivi, entrambi trascurati dalla sentenza impugnata:
1. La gestione tramite cash pooling: I giudici di merito hanno liquidato questo strumento come una semplice “miscellanea di operazioni” senza comprenderne la funzione di gestione centralizzata della tesoreria di gruppo, che non implica di per sé l’assenza di flussi finanziari rilevanti.
2. La qualifica di beneficial owner: Questo è il cuore della decisione. La Corte Regionale aveva completamente omesso di pronunciarsi sul motivo d’appello specifico con cui la società, producendo anche un certificato dell’autorità fiscale del Regno Unito, rivendicava la propria qualifica di beneficiario effettivo.

I Tre Test per Identificare il Beneficial Owner

La Cassazione ha colto l’occasione per ribadire i principi, derivanti dalla giurisprudenza europea (le famose “sentenze danesi”) e nazionale, per l’individuazione del beneficial owner. La verifica non può essere formale, ma deve basarsi sulla sostanza economica dell’operazione. Spetta al contribuente che invoca il beneficio provare la propria qualifica superando tre test specifici:
1. Substantive Business Activity Test: Verificare se la società percipiente svolge un’effettiva e genuina attività economica nel suo Paese di residenza.
2. Dominion Test: Accertare se la società ha la piena disponibilità giuridica ed economica degli interessi ricevuti, ovvero se può disporne liberamente o se è contrattualmente o di fatto obbligata a ritrasferirli a un altro soggetto.
3. Business Purpose Test: Valutare le ragioni economiche dell’interposizione della società nel flusso finanziario, per escludere che si tratti di una mera “società conduit” creata al solo scopo di ottenere un risparmio fiscale indebito.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha stabilito che la sentenza d’appello era nulla per un duplice vizio: omessa pronuncia su un motivo di appello cruciale e difetto assoluto di motivazione. I giudici di merito non solo non hanno esaminato la documentazione decisiva prodotta dalla società (come il certificato fiscale estero), ma non hanno nemmeno spiegato perché l’avrebbero eventualmente ritenuta irrilevante. Inoltre, hanno completamente fallito nell’applicare il corretto quadro giuridico per l’analisi del requisito del beneficial owner, omettendo di condurre l’indagine sulla sostanza economica dell’operazione finanziaria richiesta dalla normativa e dalla consolidata giurisprudenza.

Le conclusioni

La sentenza è stata annullata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado, che dovrà riesaminare il caso attenendosi ai principi enunciati. Questa pronuncia ribadisce un messaggio fondamentale per le imprese multinazionali: per accedere ai benefici fiscali europei, non basta la forma. È necessario dimostrare con prove concrete la propria sostanza economica e il ruolo effettivo all’interno delle operazioni finanziarie di gruppo. L’onere della prova di essere il beneficial owner grava interamente sul contribuente, e i giudici hanno il dovere di valutare attentamente tutte le prove fornite, motivando in modo congruo e trasparente le loro decisioni.

Chi è il ‘beneficial owner’ (beneficiario effettivo) ai fini fiscali?
È la società che non solo riceve formalmente un pagamento (come gli interessi), ma ne ha la piena disponibilità giuridica ed economica, potendo decidere liberamente come utilizzarlo, senza essere obbligata a trasferirlo ad altri. Non deve essere una mera società ‘conduit’ o intermediaria.

Quali prove deve fornire una società per dimostrare di essere il ‘beneficial owner’?
La società deve dimostrare la propria sostanza economica attraverso una serie di elementi. La Cassazione indica tre test da superare: provare di svolgere un’attività economica reale (substantive business activity test), di avere il pieno controllo sui fondi ricevuti (dominion test) e che la sua presenza nell’operazione abbia uno scopo commerciale e non puramente fiscale (business purpose test).

Una sentenza può essere annullata se il giudice non esamina una prova decisiva come un certificato fiscale estero?
Sì. Secondo la Cassazione, la mancata pronuncia e la motivazione solo apparente su documenti decisivi per la controversia, come un certificato di un’autorità fiscale estera che attesta la qualifica di beneficiario effettivo, costituisce un grave vizio che porta alla nullità della sentenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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