Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 10548 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 10548 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 22/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15435/2021 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale come in atti
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE -in persona del Presidente pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
– controricorrente –
nonché nei confronti di RAGIONE_SOCIALE
CURATELA
DEL
ORGANIZZAZIONE
RAGIONE_SOCIALE in persona del Curatore, rappresentata e difesa, giusta procura a margine dell’atto di costituzione, dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale ex lege -interveniente – avverso la sentenza del la Corte d’appello di Genova n. 202/2021, pubblicata in data 19 febbraio 2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7 febbraio 2025 dal Consigliere dott.ssa NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE al fine di ottenere la declaratoria di inefficacia ex art. 2901 cod. civ. dell’atto del 21 marzo 2012, rep. n. 67250, nella parte in cui la prima convenuta aveva conferito la proprietà del ramo d’azienda alla seconda con il relativo complesso di beni organizzati per l’attività di pubblicità esterna e, in particolare, la declaratoria d’ineffic acia del conferimento e trasferimento di una serie di beni immobili siti nel Comune di Albenga.
A sostegno della domanda deduceva che: – RAGIONE_SOCIALE risultava debitrice nei confronti dell’erario dell’importo di euro 1.266.626,35, derivante da numerose iscrizioni a ruolo, per lo più di natura tributaria e contributiva relative alle annualità 1995/2009; – RAGIONE_SOCIALE si era spogliata di tutti i beni immobili esistenti a garanzia dei crediti erariali, attraverso la costituzione, quale socio unico, della RAGIONE_SOCIALE, alla quale aveva conferito il ramo d’azienda comprendente i beni immobili; l’atto dispositivo aveva natura
gratuita e la natura pregiudizievole dell’atto e l’intento fraudolento trovavano riscontro nella qualità dei soggetti appartenenti allo stesso nucleo familiare; – dopo avere disposto dei beni, la RAGIONE_SOCIALE s.p.a. non aveva dato corso all’integrale pagamento della obbligazione tributaria.
All’esito della costituzione in giudizio di RAGIONE_SOCIALE, che eccepiva la carenza di legittimazione attiva di Equitalia Servizi RAGIONE_SOCIALE ad esperire l’azione ex art. 2901 cod. civ., l’improcedibilità dell’azione revocatoria per omessa instaurazione d el ‘ contraddittorio preventivo ‘ nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, nonché l’inesistenza dei presupposti della scientia damni e del consilium fraudis , il Tribunale di Savona accoglieva la domanda della attrice.
La Corte d’appello di Genova , dopo avere disatteso l ‘ eccezione di carenza di legittimazione attiva e quella di improcedibilità dell’azione per omessa instaurazione del contraddittorio preventivo, ha rilevato la natura gratuita dell’atto dispositivo , in mancanza della previsione di un corrispettivo ed in difetto di prova dell’accollo , da parte della conferitaria, dei debiti della società conferente, ed ha ritenuto raggiunta la prova della sussistenza della scientia damni e del consilium fraudis , reputando, infine, inammissibili e comunque irrilevanti le istanze istruttorie formulate dall’appellante.
RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per la cassazione della sentenza d’appello, sulla base di tre motivi, cui resiste COGNOME– Agenzia delle Entrate -Riscossione mediante controricorso.
La Curatela del Fallimento della RAGIONE_SOCIALE è intervenuta mediante ‘atto di costituzione e subentro ex art. 66 legge fallimentare’.
Il ricorso è stato avviato per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1. cod. proc civ., in prossimità della quale la ricorrente e la Curatela del Fallimento hanno depositato
memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, va disattesa l’eccezione, sollevata da parte ricorrente, di inammissibilità e/o improcedibilità e/o tardività dell’atto di subentro ex art. 66 legge fallimentare depositato dalla Curatela fallimentare.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il fallimento di una delle parti che si verifichi nel giudizio di Cassazione non determina l’interruzione del processo ex art. 299 e ss. cod. proc. civ., trattandosi di procedimento dominato dall’impulso di ufficio (Cass. sez. U, 14/10/1992, n. 11195; Cass., sez. U, n. 2756 del 08/03/1993). Ne consegue che, una volta instauratosi il giudizio di Cassazione con la notifica ed il deposito del ricorso, il curatore del fallimento non è legittimato a stare in giudizio in luogo del fallito, essendo irrilevanti i mutamenti della capacità di stare in giudizio di una delle parti e non essendo ipotizzabili, nel giudizio di cassazione, gli adempimenti di cui all’art. 302 cod. proc. civ., che prevede la costituzione in giudizio di coloro ai quali spetta di proseguirlo (Cass., n. 3630/21; Cass., n. 7477/17).
È stato però rilevato che ciò non esclude che il curatore del fallimento (dal 15 luglio 2022 il curatore della liquidazione giudiziale) possa intervenire nel giudizio di legittimità al fine di tutelare gli interessi della massa dei creditori, sia pure nei limiti delle residue facoltà difensive riconosciute dalla legge (Cass., sez. 2, 06/11/2023, n. 30785; in senso conforme, Cass., sez. 1, 13/03/2024, n. 6642), non potendosi ravvisare alcuna consequenzialità logica tra l’esclusione dell’applicazione degli artt. 299 e segg. cod. proc. civ. e l’esclusione della facoltà di intervento e che, anzi, esigenze di tutela delle ragioni della massa dei creditori rappresentata dalla curatela
medesima impongo no di riconoscere a quest’ultima la facoltà di intervenire nel giudizio di legittimità, sia pure nei limiti sopra indicati.
Nel giudizio introdotto con l’azione revocatoria ordinaria di un atto di disposizione patrimoniale, qualora sopravvenga il fallimento del debitore, il curatore può subentrare nell’azione in forza della legittimazione accordatagli dall’art. 66 legge fallimentare. In tal caso, egli accetta la causa nello stato in cui si trova ed esercita un’azione che già esiste nella massa fallimentare. Non quindi un’azione nuova, ma un’azione che si identifica con quella che lo stesso creditore ha esperito prima del fallimento (v. in proposito Cass., sez. U, n. 29420/2008; Cass., sez. 1, n. 12513/2009; Cass., sez. 3, n. 5586/2015; Cass., sez. 6 -3, n. 17544/18). Di conseguenza, la domanda d’inopponibilità dell’atto di disposizione compiuto dal debitore, inizialmente proposta a vantaggio soltanto del singolo creditore che ha promosso l’azione, viene a essere automaticamente estesa a beneficio della intera massa dei creditori concorrenti; pertanto, il Curatore assume la stessa posizione dell’originario attore.
2. Con il primo motivo la ricorrente, denunziando, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., ‘violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto relativamente alla questione pregiudiziale di difetto di legittimazione attiva: art.2901 c.c., nonché artt. 49 e 50 del d.P.R. 602/1973’, lamenta che il giudice d’appello , riconoscendo la possibilità, da parte dell’agente di riscossione , di promuovere azioni cautelari e conservative, nonché ogni altra azione prevista dalle norme ordinarie a tutela del creditore, avrebbe confuso la posizione di Equitalia quale agente di riscossione con quella degli enti impositori, che sono, invece, i reali creditori, ritenendole sostanzialmente equivalenti, e avrebbe trascurato di considerare che l’art. 2901 cod. civ. riserva l’esercizio di tale azione unica mente al creditore, che non si identifica con l’agente della riscossione.
Aggiunge che la legittimazione ad agire in revocatoria ordinaria riconosciuta dal d.P.R. n. 602/1973, diversamente da quella prevista dal codice civile in capo al creditore, è subordinata alla condizione che le somme evidenziate nella cartella di pagamento risultino ‘non pagate’, ossia che sia inutilmente decorso il termine di sessanta giorni dalla notificazione della cartella, con la conseguenza che deve ritenersi illegittima, sotto il profilo della legitimatio ad causam , un’azione revocatoria proposta dall’agente della riscossione prima dello spirare di detto termine: nel caso di specie, al momento della proposizione della domanda, in capo a RAGIONE_SOCIALE risultavano in essere diverse domande di rateizzazione, per gli importi iscritti a ruolo, per cui si era in presenza di un debito non ancora scaduto e per il quale non era esperibile l’azione revocatoria.
2.1. La censura è infondata.
2.2. L’art. 49 del d.P.R. n. 602/1973 – come modificato dal comma 415 della legge n. 311/2004 -prevede espressamente che ‹‹ Per la riscossione delle somme non pagate il concessionario procede ad espropriazione forzata sulla base del ruolo, che costituisce titolo esecutivo; il concessionario può altresì promuovere azioni cautelari e conservative, nonché ogni altra azione prevista dalle norme ordinarie a tutela del creditore ›› : tra le azioni a tutela del credito deve sicuramente farsi rientrare l’azione ex art. 2901 cod. civ.
Questa Corte ha già avuto modo di riconoscere in capo all’agente della riscossione la legittimazione attiva ad esperire l’azione revocatoria con la sentenza n. 30737 del 2019 -espressamente richiamata dalla sentenza qui impugnata -con la quale si è ben spiegato che il legislatore ha adottato numerosi interventi -tra i quali anche il citato art. 49 -volti ad accentuare la natura pubblicistica del sistema di riscossione ed a riconoscere e rafforzare il profilo unitario dell’amministrazione finanziaria che, nella gestione del rapporto
tributario, si propone come interlocutore unico del contribuente.
Si è, nello specifico, evidenziato che oramai ‹‹ la letteratura specialistica guardi con sospetto ai tentativi di reintrodurre forme di scomposizione del collegamento tra l’agente della riscossione e gli enti creditori, secondo una visione evidentemente anacronistica dei ruoli e delle competenze, ove si consideri soprattutto che la separazione tra la titolarità del credito, attribuita al soggetto attivo del tributo, e la titolarità dell’azione esecutiva, riconosciuta all’ente incaricato della riscossione, aveva dimostrato tutti i suoi limiti, dando luogo ad un possibile giudizio diretto ad accertare il rispetto della normativa sul recupero del tributo iscritto a ruolo, in aggiunta ad un eventuale giudizio risarcitorio diretto ad accertare la legittimità delle misure esecutive adottate ›› .
Il riconoscimento, normativamente previsto dal primo comma dell’art. 49 , della possibilità da parte del concessionario della riscossione di avvalersi dell’azione revocatoria si muove nella direzione sopra indicata, in quanto con tale strumento il legislatore ha chiaramente inteso rafforzare innanzitutto i poteri dell’agente della riscossione ai fini del contrasto al fenomeno della evasione da riscossione, considerato che l’effetto rilevante derivante da tale azione, se accolta, è proprio quello di consentire al concessionario di promuovere le azioni esecutive o conservative sui beni oggetto dell’atto impugnato nei confronti dei terzi acquirenti e, dunque, di consentire il recupero, totale o parziale, del credito tributario iscritto a ruolo che altrimenti sarebbe stato dallo stesso concessionario dichiarato inesigibile.
Correttamente, pertanto, la Corte territoriale ha ritenuto che ‹‹ non sussiste alcuna limitazione delle facoltà processuali del mandatario esattore rispetto all’agenzia mandante, risultando, invece (… ) una netta e generale valorizzazione della sostanziale equi-
estensione dei poteri del concessionario per la riscossione rispetto a quelli del suo mandante ›› .
2.3. La censura non coglie nel segno neppure laddove si assume che la previsione dell’art. 49 d.P.R. n. 602/1973 debba comunque sottostare alle condizioni ed ai limiti previsti dal successivo art. 50, che fa salve le disposizioni relative alla dilazione ed alla sospensione del pagamento.
Per confutare tale assunto difensivo è sufficiente osservare che i limiti posti dal richiamato art. 50 attengono esclusivamente alla fase esecutiva, ma non impediscono che il concessionario possa agire in revocatoria anche a tutela di un credito per il quale sia avvenuta la presentazione di una istanza di rateizzazione del debito, e ciò sia perché esula dall’oggetto dell’azione revocatoria ogni valutazione in ordine alla legittimità dell’iscrizione a ruolo o all’accertamento delle somme ancora dovute, sia perché l’art. 2901 cod. civ. accoglie una nozione lata di “credito”, comprensiva della ragione o aspettativa, con conseguente irrilevanza della certezza del fondamento dei relativi fatti costitutivi, coerentemente con la funzione propria dell’azione, che non persegue scopi specificamente restitutori, bensì mira a conservare la garanzia generica sul patrimonio del debitore in favore di tutti i creditori, compresi quelli meramente eventuali (tra le tante, Cass., sez. 3, n. 28141 del 06/10/2023).
Con il secondo motivo è dedotta la ‹‹ violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto: errata applicazione e/o interpretazione della legge, nonché della giurisprudenza, relativamente alla questione preliminare circa l’improcedibilità dell’azione revocatoria per omessa instaurazione del contraddittorio preventivo ›› e si attinge la decisione impugnata nella parte in cui è stata respi nta l’eccezione di improcedibilità della revocatoria azionata dal concessionario della riscossione e là dove sono stati ritenuti non
estendibili al caso di specie i principi enunciati dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 19667 del 2014.
3.1. Il motivo è infondato.
3.2. La Corte d’appello ha correttamente rilevato la totale inconferenza rispetto al caso de quo della sentenza delle Sezioni Unite di cui la ricorrente invoca l’applicazione, tenuto conto che tale pronuncia è stata resa in relazione alla diversa ipotesi della iscrizione ipotecaria su beni immobili del contribuente compiuta nell’interesse dell’Amministrazione finanziaria. In quel caso, in effetti, venendo in rilievo il rapporto tra Amministrazione finanziaria e contribuente, è stata ragionevolmente ritenuta la necessità di un onere di preventiva attivazione del contraddittorio endoprocedimentale, dovendosi consentire la partecipazione dell’interessato al procedimento amministrativo.
Nel caso di specie, al contrario, il concessionario della riscossione, esperendo l’azione revocatoria, ha agito in sede giudiziaria, instaurando il contraddittorio nei confronti di tutti i soggetti coinvolti dall’atto dispositivo ritenuto pregiudizievole e ciò esclude che dovesse essere attivato il cd. ‘contraddittorio preventivo’, che è istituto posto a garanzia delle prerogative del contribuente.
Con il terzo motivo la ricorrente prospetta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 113 cod. proc. civ., 2465, 2729 e 2697 cod. civ., nonché degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. per omessa e contraddittoria valutazione di prove ed investe la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto sussistenti i presupposti per l’accoglimento dell’ azione revocatoria.
Contesta, in particolare, ai giudici di merito di avere affermato la gratuità dell’atto dispositivo, considerando non offerta la prova dell’avvenuto accollo dei debiti e facendo ricorso a presunzioni
semplici, dopo avere respinto le richieste istruttorie; evidenzia, al contrario, che la successione nei debiti si è effettivamente concretizzata, cosicché il conferimento integra atto a titolo oneroso, e che a tal fine assume valenza probatoria la relazione peritale asseverata allegata all’a tto dispositivo, che faceva espresso riferimento non solo ai beni e crediti oggetto di conferimento, ma anche alle passività. Rappresenta pure che all’art. 10 dell’atto di conferimento era stato evidenziato che i beni immobili conferiti nella RAGIONE_SOCIALE venivano ceduti liberi da pesi e gravami, ad eccezione di due ipoteche esattoriali, e che l’intervenuta cancellazione dell’ipoteca rilasciata a garanzia a seguito del pagamento da parte di RAGIONE_SOCIALE delle somme richieste dall’agente di riscossione , in conformità agli accordi assunti, come emergeva dalla nota del 21 settembre 2012, assumeva rilievo nella valutazione dell’elemento soggettivo e risultava incompatibile con il successivo esercizio dell’azione revocatoria.
4.1. Il motivo è inammissibile sotto tutti i profili denunciati.
4.2. La censura, sotto l’apparente deduzione di vizi di violazione di legge, tende surrettiziamente a richiedere a questa Corte una sostanziale rivalutazione del materiale istruttorio già sottoposto all’esame dei giudici di merito e da questi vagliato, il tutto peraltro secondo una impostazione critica concentrata su temi prettamente fattuali e su ripetuti riferimenti a documenti versati nel giudizio di merito, che la ricorrente si è limitata a richiamare, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro
acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità, in palese violazione dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ. . (Cass., sez. U, n. 34469 del 27/12/2019).
La doglianza, in sostanza, al di là della mera indicazione in rubrica delle singole disposizioni normative pretesamente violate, investe la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenute nella sentenza impugnata, contrapponendovi una diversa ricostruzione della vicenda fattuale, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti, senza attingere in modo puntuale le specifiche argomentazioni poste a sostegno del decisum , e ripropone le tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice d’appello, cosicché essa risulta inammissibile anche ai sensi dell’art. 366, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. (Cass., sez. 1, 24/09/2018, n. 22478).
Occorre, invero, ribadire che il ricorrente per cassazione non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass., sez. 5, n. 32505 del 22/11/2023; Cass., sez. 1, 01/03/2022, n. 6774); con la ulteriore precisazione che la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale
del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione.
A tanto deve pure aggiungersi che la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., può prospettarsi solo quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti, come nella specie, nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (Cass., sez. 2, 21/03/2022, n. 9054; Cass., sez. U, n. 1785 del 2018).
Inoltre, la deduzione della violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non risponde ai criteri indicati dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 20867/2020 e neppure è ravvisabile la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., che è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non laddove, come nel caso in esame, oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.) (Cass., sez. 3 n. 13395 del 29/05/2018; Cass., sez. 6 -3, 31/08/2020, n. 18092).
Alla inammissibilità ed infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore di RAGIONE_SOCIALE -Agenzia delle entrate -Riscossione, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 13.000,00 per onorari, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, pari ad euro 200,00, ed agli accessori di legge. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della Curatela del Fallimento della RAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 16.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, pari ad euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione