Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20396 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20396 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: LIBERATI NOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25423/2023 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE GEOVA RAGIONE_SOCIALE COGNOME, rappresentata e difesa da ll’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO);
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO della SICILIA n. 4060/2023, depositata il 08/05/2023. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/02/2025 dal
Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle Entrate ha notificato alla parte contribuente, oggi ricorrente, un avviso di rettifica del valore dichiarato, relativamente all’acquisto di un terreno edificabile avvenuto con atto pubblico del 28.04.2010, con il quale si accertava il maggior valore di
€ 84.000,00, rispetto al prezzo di vendita dichiarato in atti di €. 56.000,00.
Avverso tale provvedimento, la contribuente, proponendo impugnazione innanzi alla CTP, ha dedotto: la nullità dell’atto impugnato per inesistenza della notifica; la nullità insanabile per mancata sottoscrizione dell’atto da parte del Direttore Provinciale; violazione dell’art. 52 D.P.R. n. 131/1986 per carente motivazione; illegittimità dell’atto impugnato per violazione dell’art. 51 comma 3 D.P.R. n. 131/1986 ed errate valutazioni nel criterio di stima utilizzato; infondatezza della rettifica per errata valorizzazione ed individuazione della caratteristica edificatoria del terreno negoziato.
La Commissione Tributaria Provinciale di Catania, con sentenza n. 6257/2018, ha respinto il ricorso, valutando infondate le eccezioni relative alla notifica ed al difetto di sottoscrizione dell’atto, e convenendo con l’accertata destinazione edificatoria del terreno e con la stima operata dall’ufficio erariale.
La contribuente ha proposto appello, riproponendo i motivi e le eccezioni formulate nel primo grado di giudizio e chiedendone la riforma.
La Corte di giustizia tributaria di secondo grado ha respinto l’appello, ritenendo che la sentenza di primo grado fosse adeguatamente motivata e che l’avviso di liquidazione fosse stato emesso in modo corretto. Ha inoltre ritenuto che l’Ufficio avesse correttamente applicato i valori OMI, con una riduzione del 15% come correttivo, tenendo conto della natura vincolistica dell’area e considerato insufficienti le prove fornite dall’Associazione a sostegno della propria tesi, confermando la congruità della stima operata dall’Ufficio.
Avverso la suddetta sentenza la associazione contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui ha resistito con controricorso l’Agenzia delle Entrate .
Successivamente la parte contribuente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
In via pregiudiziale va disattesa l ‘ eccezione di violazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo formulata con la memoria integrativa depositata da parte ricorrente.
1.1. In primo luogo va rilevato come questa Corte abbia ripetutamente affermato che la memoria depositata da parte ricorrente può assolvere alla (sola) funzione di illustrare e chiarire le ragioni già compiutamente svolte col ricorso, ovvero di confutare le tesi avversarie, ma non può specificare od integrare od ampliare il contenuto delle originarie argomentazioni che non siano state adeguatamente prospettate o sviluppate con il detto atto introduttivo e, tanto meno, dedurre nuove eccezioni o sollevare nuove questioni di dibattito (v. Cass. Sez. U., 15 maggio 2006, n. 11097 cui adde, ex plurimis , Cass., 6 luglio 2022, n. 21355; Cass., 21 gennaio 2021, n. 1177; Cass., 27 agosto 2020, n. 17893; Cass., 28 novembre 2018, n. 30760; Cass., 23 agosto 2011, n. 17603; Cass., 28 agosto 2007, n. 18195).
Si tratta, pertanto, di un argomento eccentrico che non è mai stato ritualmente introdotto in giudizio (o almeno la parte non ne ha dato conto nel suo ricorso) e che non risulta trattato nemmeno nel ricorso per cassazione.
1.2. In ogni caso, la parte ricorrente non argomenta quale norma sarebbe in questione nella fattispecie, né spiega perché dovrebbe venire in rilievo, nel caso di specie, la Convenzione EDU, atteso che si verte in materia fiscale, che è in linea generale sottratta dalla nozione di diritti civili (cfr. Corte EDU, COGNOME c Italia ).
1.3. Si citano inoltre talune decisioni della Corte di Strasburgo, ma senza spiegare comprensibilmente quale rilievo possano avere nel caso di specie.
Va infatti ricordato che -in ragione del fatto che le decisioni della Corte EDU insistono su sistemi giuridici molto diversi tra loro, sia di civil law che di common law -tale Corte si pronuncia seguendo un approccio sostanzialmente casistico, ancorato cioè alla fattispecie concreta, più che risolvere il singolo caso con affermazione di principi di carattere generale.
1.4. I questa prospettiva, parte ricorrente si preoccupa di fare specifico riferimento ad alcuni casi che ritiene, evidentemente, di peculiare rilievo per la fattispecie.
1.5. In particolare, parte ricorrente menziona, innanzitutto, i casi COGNOME e COGNOME (COGNOME AD vs. Bulgaria , n. 3991/03, § 53, 22 Gennaio 2009; COGNOME vs. Polonia , n. 31443/96, § 147, CEDU 2004 – V).
1.6. Tuttavia, il primo caso si riferisce ad ipotesi in cui vi era stato rispetto tempestivo e completo degli obblighi di dichiarazione IVA da parte della società ricorrente, e la Corte EDU – rilevando che vi era impossibilità di garantire l’adempimento degli obblighi di dichiarazione IVA da parte del suo fornitore e che non vi era frode nel sistema IVA ha ritenuto che il ricorrente non avrebbe dovuto sopportare tutte le conseguenze dell’inadempimento del suo fornitore nell’aver presentato le dichiarazioni IVA in modo tempestivo, declinando altresì l’analisi della violazione dell’art. 14 in tema di discriminazione .
1.7. Con riferimento al secondo caso, la Corte di Strasburgo ha stabilito di essere competente ratione temporis per esaminare il caso, poiché il diritto del ricorrente a una misura compensatoria, riconosciuto dalla legislazione polacca, esisteva sia al momento della ratifica del Protocollo n. 1 (10 ottobre 1994) sia quando il ricorso era stato presentato (12 marzo 1996), nell’ambito di una vicenda, più in generale, inerente le obbligazioni storiche e giuridiche della Polonia riguardo alla compensazione per i beni perduti oltre il fiume Bug dopo la Seconda Guerra Mondiale, che venivano in rilievo (ma che la Corte
ha dichiarato di non dover analizzare). La questione centrale riguardava, in particolare, se lo Stato polacco avesse violato l’Articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione, a causa di azioni o omissioni nell’attuazione del diritto del ricorrente a una compensazione.
1.8. Non è però chiaro quale sia la connessione con la presente fattispecie, rispetto alla quale la memoria integrativa del ricorso non fornisce elementi intellegibili tali da poter comprendere quale sarebbe la ipotesi di violazione della Convenzione in rilievo nel caso in analisi.
1.9. Ancora, parte ricorrente cita la decisione del 7 giugno 2022, con la quale la Corte EDU nel caso ‘ COGNOME RAGIONE_SOCIALE ‘ avrebbe offerto spunti di riflessione in ordine al rapporto esistente tra valutazione delle prove e discriminazione religiosa. Nel caso COGNOME i giudici russi avevano ignorato prove e argomentazioni dei Testimoni di Geova, e, nel recepire le ‘prove’ avversarie a sostegno dell’asserito estremismo della Confessione, si erano attenuti acriticamente alla tesi governativa. La Corte ha rilevato in proposito che, oltre che con la condotta verso una Confessione religiosa e i suoi fedeli, un’Amministrazione, e quindi anche i giudici, possono violare il divieto di discriminazione religiosa mediante un approccio ‘distratto’ di fronte alle prove prodotte in giudizio.
1.10. Tale principio della Corte EDU non è in discussione nel caso di specie, perché la fattispecie citata è del tutto diversa da quella odierna in analisi, avendo in tale sede la Corte di Strasburgo dichiarato illegale la liquidazione del centro amministrativo e di altre 395 entità giuridiche dei Testimoni di Geova in Russia, e il disposto divieto di svolgere le loro attività, con il sequestro di proprietà, cui si era accompagnato anche il divieto di pubblicazioni cartacee e del sito web ufficiale.
1.11. Nel presente ricorso si tratta semplicemente di un avviso di rettifica del valore dichiarato relativamente all’acquisto di un terreno edificabile, avvenuto con atto pubblico del 28.04.2010, con il quale
l’Agenzia ha accertato il maggior valore di € 84.000,00, rispetto al prezzo di vendita dichiarato in atti di €. 56.000,00 , nel quale è difficilmente comprensibile cogliere tratti discriminatori.
1.12. Le deduzioni introdotte con la memorie difensiva appaiono dunque irrilevanti rispetto alla fattispecie, atteso che si tratta di mera operazione di carattere commerciale, di applicazione generale nei confronti di tutti i contribuenti, e del tutto avulsa dal carattere religioso dell’ente interessato .
Con il primo motivo di ricorso, si deduce la nullità della sentenza per difetto di motivazione, e per violazione degli artt. 36 co. 2 n. 4 e 61 D.Lgs. 546/92, dell’art. 132 co. 2 n. 4 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., anche in combinato disposto con gli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c.
2.1. La doglianza è infondata.
2.2. La decisione è motivata adeguatamente, anche con riferimento agli aspetti confermati per relationem in base alla decisione di prime cure.
2.3. Come le Sezioni unite della Corte hanno statuito, la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54, d.l. 22 giugno 2012 n. 83, conv. in l. 7 agosto 2012 n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione; pertanto, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque
rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (Cass. Sez. U., 22 settembre 2014, n. 19881; Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).
2.4. Si è, quindi, ripetutamente precisato che deve ritenersi apparente la motivazione che, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non renda tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’ iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice (Cass. Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232; v., altresì, Cass., 18 settembre 2019, n. 23216; Cass., 23 maggio 2019, n. 13977; Cass., 7 aprile 2017, n. 9105; Cass. Sez. U., 24 marzo 2017, n. 7667; Cass. Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232; Cass. Sez. U., 5 agosto 2016, n. 16599).
2.5. La censura di cui all’art. 112 c.p.c. presuppone che il giudice abbia omesso di pronunciare su di un’eccezione di parte e non è configurabile -quando l’eccezione sia stata esaminata in ragione dell’omessa considerazione di argomenti e deduzioni volte a sostenere quell’eccezione stessa.
In particolare, poi, il vizio di omessa pronuncia da parte del giudice d’appello è configurabile allorché manchi completamente l’esame di una censura mossa al giudice di primo grado, mentre non ricorre nel caso in cui il giudice d’appello fondi la decisione su una costruzione logico-giuridica incompatibile con la domanda o con l’eccezione di parte, nel qual caso può parlarsi di statuizione implicita di rigetto della domanda o eccezione formulata dalla parte (Cass., 11 gennaio 2022, n. 531; Cass., 13 agosto 2018, n. 20718; Cass., 6 dicembre 2017, n. 29191; Cass., 14 gennaio 2015, n. 452; Cass., 25 settembre 2012, n. 16254; Cass., 17 luglio 2007, n. 15882; Cass., 19 maggio 2006, n. 11756).
2.6. Con riguardo al motivo ora in esame è poi del tutto inconferente il riferimento all’eccezione di nullità per difetto di sottoscrizione dell’atto impositivo, atteso che la CTR lo ha specificamente esaminato, e disatteso, rilevando che <>.
2.7. Va rammentato che, nella motivazione della propria decisione, il giudice è libero di attingere il proprio convincimento utilizzando i dati probatori che ritiene rilevanti e (così) concludenti ai fini della definizione della lite contestata, né è tenuto ad analiticamente disattendere tutte le risultanze processuali prospettate dalle parti, essendo sufficiente che egli abbia indicato gli elementi posti a fondamento del decisum dai quali possano desumersi come confutati per implicito quelli non accolti (v. Cass., 5 febbraio 2024, n. 3232; Cass., 4 luglio 2017, n. 16467; Cass., 18 ottobre 2001, n. 12751; Cass., 24 maggio 1999, n. 5045).
2.8. La violazione dell’art. 115 c.p.c. sussiste se il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche se il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass., 25 marzo 2022, n. 9695; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26769; Cass. Sez. U., 5 agosto 2016, n. 16598, in motivazione).
2.9. In definitiva, il motivo di ricorso sottopone alla Corte -sotto il velo della (per vero manifestamente infondata) censura di motivazione apparente -una riedizione di argomenti, e deduzioni, anche di natura probatoria che, per un verso, attingono la selezione, e la valutazione, dei dati probatori posti a fondamento della decisione e che, per il restante, si risolvono in allegazioni che debbono ritenersi disattese in quanto ad ogni modo incompatibili con la soluzione fatta propria dal giudice del gravame.
2.10. La censura non può dunque trovare accoglimento.
Con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente contesta la v iolazione dell’art. 51 co. 3 D.P.R. n. 131/1986 singolarmente considerato e in combinato disposto con l’art. 52 co mmi 2 e 2 bis D.P.R. n. 131/1986, in relazione all’art. 360 c. 1 , n. 3, c.p.c.
3.1. In particolare, l’Associazione ricorrente contesta la legittimità della stima operata dall’Agenzia delle Entrate, sostenendo che, pur avendo previsto nella Relazione di stima un’attualizzazione del valore in base alla natura vincolistica dell’area, non ha poi applicato tale correzione. La sentenza impugnata avrebbe sul punto erroneamente confuso il concetto di correzione del valore con quello di incidenza d’area, creando ulteriore confusione. Non avrebbe rettamente considerato che l’utilizzo dei valori OMI come base per l’accertamento fornisce solo indicazioni di massima, dato che non costituiscono prova del valore venale in comune commercio.
Contesta altresì l’applicazione di un coefficiente di maggiorazione del 30% sui valori OMI, considerandolo arbitrario e privo di motivazione, ritenendo inoltre la percentuale di incidenza d’area applicata immotivata e arbitraria.
3.2. A sostegno della propria tesi, la contribuente ha prodotto in giudizio diverse prove, tra cui: fotografie e una fattura per lavori di livellamento del terreno che dimostrano che il terreno non era in condizioni regolari al momento dell’acquisto e che sono stati necessari
ingenti lavori per renderlo edificabile; la tavola sinottica dei valori OMI del Comune di Catania, la quale evidenzierebbe la notevole differenza di prezzo tra l’edilizia residenziale e quella secondaria “per attività culturali ricreative”, dimostrando che la stima dell’Agenzia si basa su valori non pertinenti al caso specifico; la perizia di parte, la quale analizza la stima dell’Agenzia e la confronta con compravendite di terreni simili nella zona, evidenziando la non correttezza del metodo utilizzato e giungendo ad una valutazione del terreno notevolmente inferiore.
3.3. La censura è inammissibile, in quanto, sotto la forma della violazione di legge ex art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., tende in realtà a provocare una nuova lettura delle risultanze istruttoria, sottoponendo alla Corte un non consentito riesame del merito del giudizio.
3.4. Questa Corte ha ripetutamente rimarcato che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, laddove l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità; il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass., 27 luglio 2023, n. 22938; Cass., 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass., 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass., 11 gennaio 2016, n. 195; Cass., 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass. Sez. U., 5 maggio 2006, n. 10313; Cass., 11 agosto 2004, n. 15499).
3.5. Quanto, invece, alla portata del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 51, comma 3, la Corte ha statuito che detta disposizione espone un triplice ordine di presupposti (equiordinati e) legittimanti l’accertamento del maggior valore di commercio del bene immobile oggetto di compravendita, in quanto l’avviso di rettifica del valore dichiarato, ai fini dell’imposta di registro, può fondarsi, oltre che sul parametro comparativo e su quello del reddito, anche su “altri elementi di valutazione”, tra i quali rientra – oltrechè una stima operata dall’Agenzia del territorio (v. Cass., 26 gennaio 2018, n. 1961; Cass., 10 febbraio 2006, n. 2951) – il riferimento alla destinazione, alla collocazione, alla tipologia, alla superficie, allo stato di conservazione, all’epoca di costruzione dell’immobile oggetto di valutazione (v., ex plurimis , Cass., 18 settembre 2019, n. 23217; Cass., 13 novembre 2018, n. 29413; Cass., 24 febbraio 2006, n. 4221; Cass., 18 settembre 2003, n. 13817; Cass., 8 marzo 2001, n. 3419).
3.6. In tema di motivazione dell’avviso di rettifica, si è, poi, rilevato che, – assolvendo la motivazione dell’atto alla funzione di delimitare l’ambito delle ragioni deducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa e, al contempo, di consentire l’esercizio del diritto di difesa del contribuente, – l’obbligo in questione deve ritenersi adempiuto mediante l’enunciazione del criterio astratto in base al quale la rettifica è stata operata, laddove (solo) nella eventuale fase contenziosa viene in considerazione l’onere dell’Amministrazione di provare l’effettiva sussistenza dei presupposti fattuali per l’applicazione del criterio prescelto, fase, questa, nella quale il contribuente ha la possibilità di contrapporre altri elementi sulla base del medesimo criterio o di altri parametri (v. già Cass. Sez. U., 26 ottobre 1988, n. 5783, cui adde, ex plurimis , Cass., 8 agosto 2022, n. 24449; Cass., 18 settembre 2019, n. 23217; Cass., 26 gennaio 2018, n. 1961; Cass., 6 giugno 2016, n. 11560; Cass., 25 marzo 2011, n. 6914; Cass., 1 dicembre 2006, n. 25624; Cass., 12 maggio 2003, n. 7231; Cass., 19
ottobre 2001, n. 12774; Cass., 8 marzo 2001, n. 3419; Cass., 25 luglio 1997, n. 6958; Cass. Sez. U., 4 gennaio 1993, n. 8; Cass. Sez. U., 21 dicembre 1990, n. 12141); nonché che la motivazione, con le specificazioni che si rendono necessarie in relazione alle esigenze di difesa del contribuente ed alla necessità di delimitare “la materia del contendere”, deve ritenersi assolta (anche) qualora l’atto rinvii “ai dati contenuti in una stima effettuata dall’UTE” (v. Cass., 3 dicembre 2014, n. 25559; Cass., 25 marzo 2011, n. 6928; Cass., 7 novembre 2005, n. 21515).
3.7. Infine, la censura che involge (anche) il difetto di motivazione è inammissibile siccome connotata da una completa anomia di riferimenti al contenuto effettivo dell’atto impositivo, contenuto nemmeno ripercorso in sintesi descrittiva.
3.8. Anche tale censura va dunque respinta.
Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta la nullità della sentenza per omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, nonché la nullità della sentenza per violazione degli artt. 36 co. 2 n. 4 e 61 D.Lgs. 546/92, dell’art. 132 co. 2 n. 4 c.p.c. e dell’art. 118 diposizioni attuative c.p.c., anche in combinato disposto con gli artt. 112 e 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 . e n. 5 c.p.c.
4.1. La Corte di gravame non si sarebbe pronunciata sulla mancata correzione del valore del terreno in base alla sua natura vincolistica, pur prevedendo la relazione di stima dell’UTE un’attualizzazione del valore in base ai vincoli urbanistici, Invece di esaminare tale aspetto cruciale, si sarebbe limitata a ribadire l’applicazione dell’incidenza d’area come “correttivo dei valori OMI”, confondendo i due concetti. Inoltre, non sarebbe stata valutata la CTP, prodotta in secondo grado, che dimostra, attraverso il criterio comparativo, un valore del terreno notevolmente inferiore a quello stimato dall’UTE.
4.2. Il motivo è infondato quanto all’evocazione di una violazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. e la relativa infondatezza emerge dalle sopra esaminate ragioni di rigetto del primo motivo di ricorso.
4.3. Nel resto, la censura ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. non è integrata dalla deduzione di un erroneo apprezzamento delle prove offerte al giudizio in quanto, come statuito dalle Sezioni Unite della Corte, la censura di omesso esame di un fatto decisivo deve concernere un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), così che l’omesso esame di elementi istruttori – e, a maggior ragione, di tesi difensive o argomenti probatori – non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053 cui adde, ex plurimis, Cass., 12 dicembre 2019, n. 32550; Cass., 29 ottobre 2018, n. 27415; Cass., 13 agosto 2018, n. 20721; Cass. Sez. U., 22 settembre 2014, n. 19881).
4.4. Il motivo in esame, pertanto, si risolve in una riedizione di argomenti probatori che sollecita, per l’appunto, una non consentita rivalutazione del merito circa la concludenza degli elementi probatori posti a fondamento della decisione.
Con il quarto motivo di ricorso, si deduce, infine, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 7 c. 5 -bis D.Lgs. 546/92 in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. anche in combinato disposto con l’art. 2697 c.c.: la Corte gravata non avrebbe considerato l’insufficienza e la contraddittorietà della prova fornita dall’amministrazione tributaria, a fronte della produzione prove dettagliate (foto, fatture e descrizioni tecniche) per dimostrare l’infondatezza della stima dell’ente, che non
sono state adeguatamente considerate, a fronte di considerazioni specifiche circa il fatto che il terreno includeva una porzione scoscesa e una buca significativa, richiedendo interventi di livellamento e muri di contenimento, e la porzione destinata a viabilità era già occupata da una strada pubblica e successivamente ceduta gratuitamente al Comune. Si sarebbe dunque invertito l’onere della prova, addebitando alla contribuente la dimostrazione di elementi che dovevano invece essere provati dall’amministraz ione.
5.1. Il motivo è infondato: non si è trattato, difatti, di inversione dell’onere probatorio, ma di valutazione degli elementi di prova dedotti dalla parte.
5.2. Sotto altro profilo, si sta chiedendo invece di rivalutare il fatto: il motivo deduce per buona parte censure che attengono agli accertamenti di fatto (deducendo che non sarebbero stati adeguatamente valutate le pendenze del terreno e la buca significativa e la circostanza che la porzione destinata alla viabilità sarebbe stata già occupata dalla pubblica via e successivamente ceduta al Comune) ed alla valutazione delle prove, come tali non deferibili a questa Corte di legittimità (v. Cass n. 30577/2019 e Cass., 28/05/2024, n. 14843).
5.3. Dunque, non v’è stata violazione dell’art. 2697 c .c., violazione che è prospettabile nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (Cass., 25 marzo 2022, n. 9695; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26769; Cass. Sez. U., 5 agosto 2016, n. 16598, in motivazione).
5.4. La censura va dunque respinta.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso va dunque rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.
8. In conseguenza dell’esito del giudizio ricorrono i presupposti processuali per dichiarare la sussistenza dei presupposti per il pagamento di una somma pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, com ma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 1.600,00 per compensi oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso proposto, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 13/02/2025.