Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14799 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14799 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: LIBERATI NOME
Data pubblicazione: 02/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2271/2017 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, rappresentata e difesa ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO -controricorrente- avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, sede di NAPOLI n. 5371/2016 depositata il 09/06/2016. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE esercente l’attività di leasing, ha acquistato dalla società RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE due complessi industriali, l’uno sito in Avellino (AV) e l’altro sito in Canonica d’Adda (BG). Il prezzo della compravendita è stato dichiarato in complessivi € 6.800.000,00 di cui €1.700.000,00 per il complesso industriale sito in Avellino ed € 5.100.000,00 per il complesso industriale sito in Canonica D’Adda.
Con l’avviso di rettifica e liquidazione n.2010 1T001814000, notificato in data 12 luglio 2012, l’Agenzia delle Entrate di Caserta ha rettificato il valore dichiarato in complessivi €11.022.370,00 -attribuendo al complesso industriale sito in Avellino il valore di €3.332.370,00 ed al complesso industriale sito in Canonica D’Adda (BG) il valore comp lessivo di € 7.690.000,00 – sulla base di due specifiche stime, l’una redatta dall’Agenzia del Territorio di Bergamo, l’altra redatta dall’Agenzia del Territorio di Avellino, richiedendo il versamento delle seguenti maggiori imposte: Ipotecaria €63.336,00; Catastale €21.112,00; oltre interessi e sanzioni per un totale di euro 173.730,36.
Avverso il predetto provvedimento sono insorte tanto la società odierna comparente, quanto la RAGIONE_SOCIALE (RG.n. 8096112), e i due ricorsi, previa riunione, sono stati decisi con la pronuncia n. 547/02/2013 della CTP di Caserta, che ha accolto la censura relativa alla violazione della L. 212/2000, art. 12, con assorbimento delle altre.
Avverso la suddetta pronuncia ha formulato appello dinnanzi alla CTR di Napoli l’Agenzia delle Entrate, affidato ad un unico motivo, che riproponendo integralmente le controdeduzioni già svolte in primo grado, ha rilevato che le perizie di stima (per l’accertamento del maggior valore) potevano essere utilizzate trattandosi di atti endoprocedimentali, prodromici alla formazione del provvedimento impositivo e che, diversamente da quanto assunto dal giudice di primo grado, le procedure di verifica in questione non sono paragonabili ad
una verifica fiscale nei locali, in quanto basate su mere relazioni di stima.
Il Giudice di secondo grado, con la sentenza n. 5371/23/2016, depositata il 9 giugno 2016, non notificata, ha parzialmente accolto l’appello proposto dalla Agenzia delle Entrate.
In particolare, la CTR ha ritenuto che l’avviso di rettifica non derivasse da una verifica fiscale, ma da una diversa valutazione del valore degli immobili basata su perizie di stima, ma ha riconosciuto anche che le valutazioni dell’Ufficio presentavano aspetti di non perfetta congruenza, e tenendo conto delle argomentazioni contrapposte, ha rideterminato il valore degli immobili, riducendo del 20% quello fissato dall’Ufficio.
Avverso la suddetta sentenza di gravame la società contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a n. 7 motivi, cui ha resistito con controricorso l’Agenzia delle Entrate .
Successivamente parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa ex art. 380. bis .1. c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
. 1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce l’error in procedendo in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per violazione art. 112 cpc, dell’art. 53 del d.lgs. 546/1992, ed inammissibilità dell’appello proposto dalla amministrazione: l’atto di appello proposto dall’Agenzia era privo dell’indicazione specifica dei motivi di gravame, mancando anche la indicazione delle norme che sarebbero state violate o male interpretate dal giudice di primo grado, e consistendo esso nel mero richiamo alle difese e alle argomentazioni già svolte nel precedente grado di giudizio, invece di censurare la sentenza di primo grado, che era basata sulla violazione dell’art. 12 dello Statuto del Contribuente.
1.1. Il motivo è infondato, ponendosi in contrasto con il principio, più volte ribadito da questa Corte (Cass. 06/06/2018, n. 17971, che
richiama anche Cass., Sez. U., n. 28057/2008; Cass. n. 14908/2014; Cass. n. 16163/2016,), secondo cui «nel processo tributario, ove l’Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire e riproporre in appello le stesse ragioni e argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato, come già dedotto in primo grado, in quanto considerate dalla stessa idonee a sostenere la legittimità dell’avviso di accertamento annullato, è da ritenersi assolto l’onere d’impugnazione specifica previsto dall’art. 53 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, secondo il quale il ricorso in appello deve contenere “i motivi specifici dell’impugnazione” e non già “nuovi motivi”, atteso il carattere devolutivo pieno dell’appello, che è un mezzo di impugnazione non limitato al controllo di vizi specifici della sentenza di primo grado, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito».
1.2. Il ricorso in appello era chiaramente volto a contestare il decisum di prime cure, facendo leva sulle stesse argomentazioni con cui la parte aveva resistito, senza esito, in primo grado.
1.3. La censura va conseguentemente respinta.
Con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente contesta l’error in iudicando in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., stante la violazione art. 12 dello Statuto del contribuente (l. 212/2000). L’art. 12 della l. 27 luglio 2000, n. 212 ricomprende tutte le tipologie di verbali che concludono le operazioni di accesso, verifica o ispezione, incluse le attività di accertamento eseguite mediante gli Uffici dell’Agenzia del Territorio, e riconosce al contribuente il diritto di muovere rilievi e formulare osservazioni in merito al processo verbale di chiusura delle operazioni di verifica da parte degli organi di controllo, senza distinzioni tra le diverse tipologie di accertamento, sicché l’avviso di accertamento emesso prima del decorso del termine dilatorio di 60 giorni è nullo anche in caso di accertamento documentale. In altre parole, è necessario garantire un contraddittorio anticipato che nella specie non è stato garantito.
2.1. Il principio così sostenuto non è calzante con la fattispecie, atteso che, come rettamente sottolineato dal giudice del gravame, ‘ l’avviso di rettifica non era stato emesso all’esito di una verifica fiscale, ma sulla base di una diversa valutazione del valore degli immobili oggetto dei contratti di compravendita, sulla scorta di perizie di stima -perizie di parteeffettuate dall’Ufficio ed allegate all’avviso impugnato’, che costituiscono per definizione atti di natura endoprocedimentale, rispetto ai quali la partecipazione non è prevista. Non si è dunque trattato di accesso ispettivo-contabile nei locali dell’impresa, unica ipotesi astrattament e riconducibile -in assenza di diverse e specifiche previsioni di legge, e stante il carattere non armonizzato UE del tributo in esame: Cass.SU n. 24823/15 -all’obbligo di contraddittorio endoprocedimentale preventivo nei 60 giorni, di cui alla previsione dello Statuto che si assume violata.
2.2. La censura è dunque infondata in fatto, e non coglie la ratio decidendi posta a fondamento del ragionamento della CTR.
Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta l’ error in procedendo in relazione all’art. 360, comma l, n. 4 cpc, per violazione artt. 115, 116, 132 c.p.c. , dell’art. 111 comma 6 cost., e nullità della sentenza per inesistenza della motivazione. La CTR avrebbe espresso valutazioni solo su alcuni elementi contenuti nelle perizie della parte ricorrente in primo grado, ritenendole “opinabili” o “insensate”, ma allo stesso tempo, ha affermato che anche le valutazioni dell’Ufficio risentono di aspetti di rigidità che non tengono conto delle concrete situazioni di fatto. Nonostante ciò, è giunta alla conclusione di rideterminare i valori riducendoli del 20% secondo un apprezzamento di tipo equitativo, ma senza specificare quali siano gli errori compiuti dall’Ufficio, quali siano gli elementi concreti emergenti dalle argomentazioni della contribuente di cui l’Ufficio non avrebbe tenuto conto ed in che misura tale apprezzamento delle posizioni contrapposte sia stato concretamente e correttamente bilanciato con la riduzione percentuale dell’avviso.
3.1. La censura è infondata.
3.2. Nella fattispecie deve rilevarsi che la CTR ha dedicato ampia parte della motivazione (da metà pag. 3 alla fine di pag. 4, esclusi gli ultimi due periodi) proprio alla descrizione degli immobili e delle incongruità riscontrate nelle perizie, sulla cui scorta -con una valutazione non sindacabile in questa sede -ha operato la propria valutazione in merito alla riduzione, affidata a parametri, per definizione, rimessi all’apprezzamento soggettivo nel merito.
3.3. Quanto alla pretesa violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. come tali, deve confermarsi il parimenti consolidato indirizzo di questa Corte, secondo il quale, in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque, secondo i casi, nei limiti consentiti dall’art. 360, co. 1, n. 5) o n. 4) c.p.c. (così nel § 5 di Cass. n. 35666/2021 già cit.); il che, come già rilevato, nella specie non è avvenuto (Cass. 28/05/2024, n. 14840).
3.4. Parte ricorrente confonde, in sostanza, la mera equità con la valutazione discrezionale della prova, che esula dal sindacato di questa Corte di legittimità.
Anche se la CTR utilizza l’espressione ‘equo’ dalla valutazione complessiva delle argomentazioni, si desume difatti chiaramente che si tratta di una valutazione ancorata ai fatti descritti – e non ad un criterio equitativo puro o tantomeno arbitrario – che risultano ben esplicitati e comprensibili. Si è in sostanza trattato di un ragionamento complessivo di descrizione- apprezzamento degli immobili e di solo parziale recepimento dei fattori di deprezzamento dedotti dalla parte.
3.5. Il motivo non può dunque essere accolto.
Con il quarto motivo di ricorso, si deduce l’error in iudicando, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., per omesso esame di fatti decisivi che hanno costituito oggetto di discussione tra le parti.
4.1. Il ricorrente elenca una serie di elementi di valutazione dei compendi immobiliari che erano stati addotti a sostegno della correttezza e congruità del valore dei cespiti, ed in particolare, quanto all’immobile di Canonica D’Adda: la vetustà, lo stato di degrado e le fatiscenti condizioni dell’intero complesso immobiliare già nel 2010; la necessità di intervenire su impianti non conformi alla normativa in materia di sicurezza; l’assoggettamento del complesso alle disposizioni del PAI dell’Autorità di Bacino del Fiume Po e la ricomprensione del complesso nella perimetrazione del Piano Parco Adda Nord; l’incidenza sul prezzo di vendita della crisi di mercato degli insediamenti produttivi; con erroneità dei criteri seguiti dall’Agenzia per la determinazione del valore del compendio immobiliare. Quanto invece all’immobile ubicato in Avellino, non sarebbe stata adeguatamente considerata la condizione in cui versava il complesso produttivo all’epoca dell’acquisto, con necessità di interventi strutturali e adeguamenti radicali, la palese erroneità ed incongruenza del valore unitario/mq indicato nella perizia sommaria dell’Agenzia del Territorio di Avellino.
4.2. Secondo la parte ricorrente, dalla motivazione della sentenza di secondo grado non emerge dunque alcuna valutazione di tali elementi.
4.3. Contrariamente a quanto dedotto, la CTR ha preso posizione su tali elementi, sottolineando che si tratta di indicazioni solo esemplificative, ma indicative della modesta attendibilità e coerenza delle valutazioni operate dall’Agenzia.
4.4. Una risposta dunque vi è stata e non può parlarsi di omessa pronuncia, e neppure di omesso esame di fatti decisivi ai sensi del n. 5 art. 360 cit..
4.5. Del resto, è stato già chiarito da questa Corte, in proposito, che ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. 4 ottobre 2011 n. 20311 (Rv. 619134 – 01)).
Già si è detto, per il resto, sulla circostanza che la corte di II grado abbia esaminato i fatti in questione, del resto neppure comprovatamente decisivi alla luce della globale valutazione del quadro probatorio ed estimativo preso a riferimento dalla Corte regionale.
4.6. Anche tale motivo va quindi respinto.
Con il quinto motivo di ricorso, la società contribuente contesta l’error in iudicando – in relazione all’art. 360, comma l, n. 5 cpc -per essere la motivazione contraddittoria ed incomprensibile. La società contribuente deduce che il Giudice di seconde cure ha rideterminato i valori indicati nell’avviso di rettifica e liquidazione, riducendoli nella misura del 20%, affermando di tenere conto delle contrapposte argomentazioni delle parti, ma che nella stessa sentenza, il Giudice ha ritenuto le valutazioni delle perizie della parte ricorrente “chiaramente viziate dall’interesse di parte” e fondate su “argomentazioni palesemente opinabili”, trattandone solo due “a titolo esemplificativo” e concludendo che si tratta di indicazioni “indicative della modesta attendibilità e coerenza delle valutazioni operate”. Se le valutazioni
addotte dalla contribuente sono di modesta attendibilità e coerenza o chiaramente viziate dall’interesse di parte, consegue che non sarebbe comprensibile la ragione per cui il Giudice abbia rideterminato in misura inferiore del 20% i valori indicati nell’avviso impugnato in primo grado.
5.1. Tale motivo è palesemente infondato, anche in considerazione delle argomentazioni già dedotte con riferimento ai motivi n. 3 e 4.
5.2. Il ragionamento a conclusione del quale la CTR è pervenuta alla propria valutazione presenta per definizione caratteri di valutazione discrezionale nei termini già indicati. La CTR ha esplicato, come già osservato, la situazione di fatto degli immobili e le ragioni per cui l’ha ritenuta, all’esito della valutazione delle prove e con giudizio non sindacabile in questa sede, meritevole di riduzione nella specifica misura individuata alla luce degli elementi istruttori considerati.
5.3. Il motivo va dunque rigettato.
Con il sesto motivo di ri corso, si eccepisce l’error in procedendo e la conseguente nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, comma l, n. 4, per violazione art. 112 c.p.c. , in ragione dell’omessa pronuncia sulla censura inerente alla violazione dell’art. 51 del dpr 131/1986, relativa alla mancata allegazione di parte della perizia di stima. La CTR non si è espressamente pronunciata su tale aspetto, relativo alla dedotta produzione solo parziale della perizia di stima su cui l’Agenzia ha fondato la propria revisione, e che, ad avviso della società contribuente avrebbe dovuto consentire di comprendere con maggior chiarezza l’iter logico seguito , ma la questione può ritenersi rigettata implicitamente.
6.1. La CTR – anche senza affermare espressamente se fosse fondata o meno la eccezione (cioè se vi fosse stata un ‘ allegazione effettivamente parziale) – ha comunque potuto fondare le proprie conclusioni, nel merito, sulla base degli elementi presenti in atti, ritenendo quindi sufficiente a giustificare la determinazione già in base
al l’impianto probatorio conosciuto anche dalla contribuente, sicché l’eventuale carenza di ulteriori elementi di specificazione in favore della tesi dell’Agenzia (derivanti dagli atti endoprocedimentali consistenti nella perizia di stima) non avrebbe portato ad alcun esito diverso della controversia. Il giudice di merito ha ritenuto bastevole alla stima il compendio probatorio in atti.
6.2. Inoltre, va rammentato come sia orientamento di questa Corte che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo della controversia non può essere dedotto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., per la mancata considerazione di una perizia stragiudiziale, in quanto la stessa non ha valore di prova, nemmeno rispetto ai fatti che il consulente asserisce di aver accertato, ma solo di indizio, al pari di ogni documento proveniente da un terzo, il cui apprezzamento è affidato alla valutazione discrezionale del giudice di merito, ma della quale non è obbligato in nessun caso a tenere conto (Cass. 29/01/2025, n. 2052 (Rv. 673788 – 01)).
6.3. La censura non può quindi essere accolta.
Con il settimo motivo di ricorso, la società contribuente ha eccepito, infine, l’error in procedendo, con conseguente nullit à della sentenza, in relazione all’art. 360, comma l, n. 4, per violazione art. 112 c.p.c. , in ragione dell’omessa pronuncia sulla censura inerente alla violazione dell’art. 51 del d.P.R. n. 131/1986.
7.1. La CTR ha omesso di pronunciarsi sulla censura relativa all ‘ applicazione, per la rettifica del valore dell’immobile sito in Canonica D’Adda, del criterio del costo di produzione deprezzato riferito sia al manufatto sia al suolo, prescindendo da ogni comparazione con i valori risultanti da atti pubblici riguardanti compravendite analoghe.
7.2. Nella relazione allegata all’avviso di rettifica si assumeva di non aver potuto determinare il valore dell’immobile a mezzo del criterio comparativo, trattandosi di immobile a destinazione non ordinaria per il quale in considerazione delle dimensioni del complesso non esistono
dati di mercato utili ai fini dell’impiego del procedimento comparativo di mercato o di procedimenti finanziari previsti dall’estimo. Tuttavia, il criterio di stima del costo di riproduzione deprezzato è, ad avviso della società ricorrente, da ritenersi residuale ed applicabile esclusivamente nell’ipotesi di mancanza di elementi di comparazione nel triennio antecedente la vendita, mentre le condizioni attuali del mercato immobiliare consentirebbero di ritenere valide anche le comparazioni con compravendite similari effettuate successivamente alla redazione dell’atto, argomento su cui non si era espressa l’amministrazione.
7.3. La omissione della motivazione da parte della CTR sul punto è del tutto irrilevante. La parte contribuente si limita ad una affermazione generica, senza citare alcun elemento probatorio eventualmente portato a sostegno della propria tesi, ed idoneo a ribaltare la decisione (menzionando ad esempio specifiche compravendite assimilabili che sarebbero successivamente occorse, così da poterle porle in comparazione).
7.3. Sotto questo profilo, dunque, la doglianza è del tutto inidonea a contrastare la decisione, richiamandosi qui quanto già osservato nella disamina dei precedenti motivi di ricorso attinenti al medesimo profilo sostanziale di censura.
7.4. Anche tale ultimo motivo va dunque respinto.
In conclusione, il ricorso è infondato e va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.
In conseguenza dell’esito del giudizio , ricorrono i presupposti processuali per dichiarare la sussistenza dei presupposti per il pagamento di una somma pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000,00 per compensi oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dov uto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 14/05/2025 .