Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21113 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21113 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: LIBERATI NOME
Data pubblicazione: 24/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1831/2023 R.G. proposto da : COGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO);
-controricorrente-
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, sede di NAPOLI, n. 4710/2022 depositata il 13/06/2022. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle Entrate ha notificato al ricorrente nella qualità di coobbligato, l’Avviso di liquidazione e irrogazione delle sanzioni n .2017/001/LO/000000514/0/005, per l’importo complessivo di euro 37.960,50, per il recupero della imposta di Registro ed accessoria dovuti a seguito di sentenza che ha reso esecutivo un lodo avente numero R.G. 1053/17.
Il ricorrente ha proposto ricorso innanzi alla CTP di Napoli, che, con sentenza n. 7282 del 20/10/2020, depositata il giorno 27/10/2020, ha rigettato il ricorso del ricorrente
Avverso la sentenza di primo grado, il ricorrente ha formulato appello innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, la quale, con la sentenza n. 4710/2022, depositata il giorno 13/06/2022, ha rigettato l’appello , ritenendo valida la sottoscrizione e sufficiente la motivazione, in quanto l’atto sottostante, pur non allegato, era conosciuto dalla parte, in quanto partecipe del giudizio cui era seguita la sentenza che aveva dato esecuzione al lodo arbitrale.
Avverso la suddetta sentenza di gravame il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui ha resistito con controricorso l’Agenzia delle Entrate .
Successivamente parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
In via preliminare va analizzata la questione sollevata dal ricorrente con la memoria ex art. 380. bis .1 c.p.c.
1.1. Con memoria depositata ai sensi dell’art. 380.bis.1 cpc, il contribuente ha infatti rappresentato che l’Agenzia delle Entrate ha notificato l’avviso di liquidazione e irrogazione delle sanzioni anche ai coobbligati: COGNOME NOME; COGNOME NOME, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, i quali hanno proposto ricorso innanzi agli organi di giustizia tributaria e che la Corte di
Giustizia Tributaria di secondo Grado della Campania, sezione 19, con sentenza n. 5250/2024 depositata il 03/09/2024, ha accolto l’appello proposto dal coobbligato, con ampia motivazione, annullando l’atto. Ha indi invocato l’applicazione dell’art. 1306 c. c.
1.2. Va rilevato che il giudicato esterno invocato in memoria riguarda, dunque, la sentenza n. 5250/2024, depositata il 3 settembre 2024, della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania.
1.3. L’avviso di liquidazione del presente giudizio reca i seguenti estremi: n. 2017/001/L0/000000514/0/005 REGISTRO 2017; mentre l’avviso di liquidazione definito nella sentenza sopra citata è il seguente: n. 2017001LO0000005140003 REGISTRO 2017. Si fa riferimento a un <>. Non è dato dunque comprendere se si tratti del medesimo atto e del medesimo lodo.
1.4. Sotto altro profilo, va sottolineato che se non c’è stata notificazione, la sentenza in questione sarebbe passata in giudicato il 3 marzo 2025, in difetto di impugnazione. Tuttavia, non c’è prova alcuna del passaggio in giudicato e, nella memoria, non c’è alcun riferimento al passaggio in giudicato della sentenza.
1.5. Sul punto va rammentato che la parte che invoca l’autorità del giudicato ha l’onere di fornire la prova al riguardo, mediante la produzione della sentenza munita dell’attestazione di cancelleria ex art. 124 disp. att. cod. proc. civ. (v. Cass., 23 luglio 2024, n. 20305; Cass., 2 marzo 2022, n. 6868; Cass., 23 agosto 2018, n. 20974; Cass., 9 marzo 2017, n. 6024; Cass. Sez. U., 14 marzo 2016, n. 4909, in motivazione; Cass., 19 settembre 2013, n. 21469).
1.6. In difetto di tale prova, la eccezione va respinta.
Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della Legge 212/2000, della Legge 241/90, dell’art. 24 della Costituzione, nonché la violazione dell’obbligo di
chiarezza e motivazione dell’atto, in relazione, in relazione all’art.360, comma 1, n. 3 e 4 c.p.c.
2.1. Il motivo è inammissibile e comunque infondato.
2.2. Quanto alla ammissibilità, a fronte degli specifici accertamenti condotti dal giudice del gravame -che ha confermato, sul punto, le conclusioni cui era pervenuta la sentenza (allora) impugnata -il motivo in questione si risolve nella mera riproposizione di argomenti, e deduzioni, difensive che non danno alcun conto -nemmeno in sintesi descrittiva -del contenuto degli atti rilevanti con riferimento al contenuto motivazionale dell’avviso di accertamento, avendo la Corte ripetutamente rimarcato che la censura involgente la congruità della motivazione dell’avviso di accertamento necessariamente richiede che il ricorso per cassazione riporti i passi della motivazione dell’atto che, per l’appunto, si assumano erroneamente interpretati o pretermessi (v. Cass., 13 agosto 2004, n. 15867 cui adde, ex plurimis , Cass., 19 novembre 2019, n. 29992; Cass., 28 giugno 2017, n. 16147; Cass., 19 aprile 2013, n. 9536; Cass., 4 aprile 2013, n. 8312; Cass., 29 maggio 2006, n. 12786).
2.3. Come, poi, la stessa Corte EDU ha già avuto modo di rilevare con la sentenza del 28 ottobre 2021 ( COGNOME ed altri c. Italia ), le condizioni imposte per la redazione del ricorso per cassazione – e in particolare l’applicazione del principio di autosufficienza – perseguono uno scopo legittimo, segnatamente quello di «agevolare la comprensione della causa e delle questioni sollevate nel ricorso e permettere alla Corte di Cassazione di decidere senza doversi basare su altri documenti, affinché quest’ultima possa mantenere il suo ruolo e la sua funzione, che consistono nel garantire in ultimo grado l’applicazione uniforme e l’interpretazione corretta del diritto interno (nomofilachia)» e dunque, in ultima analisi, «la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia» (v., altresì, Cass., 19 aprile 2022, n. 12481; Cass. Sez. U., 18 marzo 2022, n. 8950).
2.4. Sotto altro profilo, il ricorso si palesa parimenti infondato, perché l’avviso di liquidazione emesso ex art. 54, comma 5, del d.P.R. n. 131 del 1986 in relazione a un atto giudiziario deve contenere l’indicazione dell’imponibile, l’aliquota applicata e l’imposta liquidata, ma non deve necessariamente recare, in allegato, la sentenza o il suo contenuto essenziale rispondendo l’obbligo di motivazione di cui all’art. 7 l. 212/2000 (c.d. Statuto del contribuente) all’esigenza di garantire il pieno e immediato esercizio delle facoltà difensive del contribuente, senza costringerlo ad attività di ricerca, e non riguardando perciò atti o documenti da lui conosciuti o conoscibili, sempre che il contenuto delle informazioni fornite garantisca la conoscenza dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa fiscale e si tratti di informazioni facilmente intellegibili (Cass., 3 aprile 2024, n. 8804; Cass., 12 gennaio 2021, n. 239; Cass., 1 luglio 2020, n. 13402).
2.5. La censura va respinta
Con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione degli art. 2697 c.c. , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.: l’avviso di liquidazione dell’imposta di registro è nullo se indica solo gli estremi della sentenza senza allegarla.
3.1. Il motivo è infondato.
3.2. Questa Corte ha già chiarito (Cass. 26/10/2021, n. 30084 (Rv. 662820 – 01)) che in tema di imposta di registro su atti giudiziari, l’obbligo di motivazione dell’avviso di liquidazione, gravante sull’Amministrazione, è assolto con l’indicazione della data e del numero della sentenza civile o del decreto ingiuntivo, senza necessità di allegazione dell’atto, purché sia certo o presumibile che il contribuente ne abbia avuto pregressa conoscenza.
3.3. Nel caso di specie la CTR ha chiaramente rilevato (nella quintultima riga prima del P.Q.M.) che è in questione una sentenza che rende esecutivo un lodo arbitrale, a conclusione di giudizio in cui il ricorrente era parte in giudizio. È dunque certo che ne avesse contezza.
3.4. Sotto il profilo della dedotta violazione dell’onere della prova, la CTR, così come la CTP, non ha poi invertito gli oneri probatori, dando atto che l’Agenzia aveva dato riscontro al legittimo esercizio del potere di delega: la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (Cass., 25 marzo 2022, n. 9695; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26769; Cass. Sez. U., 5 agosto 2016, n. 16598, in motivazione).
3.5. Le ulteriori censure relativa alla mancanza di timbri e irregolarità di firma non sono in linea con la violazione di legge indicata in rubrica e, dunque, si palesano inammissibili.
3.6. La parte, invero, non dà alcun conto di come l’eccezione di nullità fosse stata effettivamente dedotta e se, dunque, involgesse profili di censura diversi da quelli esaminati, e decisi, dal giudice del merito.
3.7. La censura non merita quindi accoglimento.
Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 del c .p.c.; nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c .p.c. e 118 disp.att. c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. La motivazione della CTR non sarebbe idonea a rivelare le ragioni della decisione e non consentirebbe l’identificazione dell’ iter logico seguito per giungere alla conclusione fatta propria nel dispositivo, risolvendosi in espressioni assolutamente generiche e prive di qualsiasi riferimento ai motivi del contendere, tali da non consentire di comprendere la ratio decidendi seguita. Inoltre sarebbe nulla anche ai sensi dell’art.112 del c. p.c., in quanto non vi è corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato.
4.1. Anche il terzo motivo è infondato.
4.2. Come le Sezioni unite della Corte hanno statuito, la riformulazione dell’art. 360, primo comma, c.p.c., disposta dall’art. 54, d.l. 22 giugno 2012 n. 83, conv. in l. 7 agosto 2012 n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione; pertanto, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (Cass. Sez. U., 22 settembre 2014, n. 19881; Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).
4.3. Si è, quindi, ripetutamente precisato che deve ritenersi apparente la motivazione che, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non renda tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’ iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice (Cass. Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232; v., altresì, Cass., 18 settembre 2019, n. 23216; Cass., 23 maggio 2019, n. 13977; Cass., 7 aprile 2017, n. 9105; Cass. Sez. U., 24 marzo 2017, n. 7667; Cass. Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232; Cass. Sez. U., 5 agosto 2016, n. 16599).
4.4. Nella fattispecie la motivazione è certamente esistente e non può ritenersi apparente.
4.5. Quanto al riferimento all’art. 112 c.p.c., come già sopra rilevato, il ricorrente non dà alcun conto, nemmeno nell’esposizione dei fatti di causa, del contenuto delle eccezioni articolate in giudizio, eccezioni rispetto alle quali il giudice del gravame avrebbe omesso di pronunciare, sicché lo stesso, in parte qua , è viziato da inammissibilità.
4.6. Il motivo non merita dunque accoglimento.
Alla luce delle considerazioni sopra esposta, il ricorso va integralmente rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.
In conseguenza dell’esito del giudizio ricorrono i presupposti processuali per il pagamento di una somma pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.500,00 per compensi oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso proposto, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 10/04/2025.