Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4627 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 4627 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 21/02/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 2710/2021 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa, per procura speciale allegata alla comparsa di costituzione di nuovo procuratore, dall’Avv. COGNOME elettivamente domiciliata presso il suo indirizzo di posta elettronica certificata
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege
IRPEF ACCERTAMENTO
dall’Avv ocatura Generale dello Stato presso la quale è domiciliata in ROMA, INDIRIZZO
-controricorrenti -avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 1812/16/2020, depositata il 25 agosto 2020; udita la relazione svolta dal consigliere dott. NOME COGNOME nella pubblica udienza del 5 febbraio 2025; sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME il quale ha chiesto il rigetto del ricorso; e l’Avvocato sentiti l’ Avvocato NOME COGNOME per la ricorrente dello Stato NOME COGNOME per la controricorrente.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la pronunzia in epigrafe, con la quale, per quanto in questa sede ancora di interesse, è stata confermata la decisione resa dalla Commissione tributaria provinciale di Milano in contenzioso radicato dalla stessa ricorrente avverso l’avviso di intimazione emesso dall’Amministrazione ai fini Irpef per l’anno 2009, oltre sanzioni e interessi, in relazione a quattro cartelle esattoriali iscritte a ruolo.
Con la sentenza impugnata, la C.T.R. della Lombardia ha anzitutto escluso la sussistenza dei lamentati vizi formali dell’avviso di intimazione, osservando che il tasso di interesse in materia tributaria è «noto e conoscibile» e che, in ogni caso, i presupposti di diritto sono evidenziati nelle cartelle esattoriali; inoltre, l’avviso recava informazioni sufficienti per poter individuare l’organo al quale rivolgere richieste per chiarimenti, mentre la mancata indicazione dell’autorità giurisdizionale
competente, dei termini e delle modalità per proporre impugnazione non viene sanzionata con l’invalidità dell’atto.
Ancora, e quanto all’eccepita perdita di efficacia dell’avviso per decorso del termine di cui all’art. 50 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, i giudici regionali hanno osservato che l’avviso di intimazione assolve a una funzione «meramente ingiuntiva del pagamento delle somme dovute ed interruttiva della prescrizione» e che, ove sia decorso il termine previsto dal terzo comma della norma citata senza che sia stata avviata l’esecuzione forzata da parte del concessionario, si rende necessaria la notifica di un nuovo avviso.
Quanto, poi, al fatto che i giudici di primo grado avevano utilizzato per la decisione produzioni effettuate da ADER -Agenzia delle Entrate Riscossione dopo la perenzione del termine previsto dall’art. 32 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, hanno sottolineato la natura meramente ordinatoria di quest’ultimo, soggiungendo che, in ogni caso, tali produzioni erano state nuovamente effettuate da ADER in sede di appello nel rispetto dell’art. 58 del decreto citato .
Il ricorso si articola in cinque motivi.
L’ADER – Agenzia delle Entrate Riscossione ha resistito con controricorso.
La contribuente ha depositato memoria in prossimità dell’udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione degli artt. 24 della Costituzione, 50 del d.P.R. n. 602/1973 e 3 della l. 22 luglio 2000 n. 212.
La sentenza impugnata è sottoposta a censura nella parte in cui non ha ritenuto che l’avviso di intimazione fosse divenuto
efficace per effetto del decorso del termine di centottanta giorni dalla sua notificazione senza che il concessionario per la riscossione avesse intrapreso alcuna azione esecutiva.
Secondo la ricorrente, la necessaria applicazione di tale termine dovrebbe farsi discendere, in via analogica, dalla disciplina dettata dall’art. 50 del d.P.R. n. 602/1973 (nel testo all’epoca vigente) in relazione all’intimazione di pagamento; diversamente opinando, infatti, il debitore resterebbe assoggettato sine die alla pretesa erariale, in contrasto con i principi -più volte affermati anche dalla giurisprudenza costituzionale -posti a garanzia del contribuente sottoposto ad azione esecutiva da parte del fisco.
Con il secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 23 e 32 del d.lgs. n. 546/1992, la ricorrente si duole del fatto che la C.T.R. abbia preso in considerazione le produzioni dell’ADER, quantunque le stesse fossero state effettuate senza che la predetta si fosse costituita in appello nei sessanta giorni successivi alla notificazione del ricorso, e ben oltre il termine di venti giorni prima dell’udienza di discussione.
Il terzo motivo denunzia violazione degli artt. 7 della l. n. 212/2000, 42 del d.P.R. n. 600/1973, 7 della l. n. 241/1990 e 20 del d.P.R. n. 602/1973.
Ad avviso della ricorrente, la C.T.R. avrebbe errato nel ritenere legittimo l’avviso di intimazione quantunque privo del conteggio specifico degli interessi sulle somme portate, e perciò sprovvisto di motivazione in parte qua ; né tale omissione potrebbe ritenersi in qualche misura sanata dal riferimento operato alle cartelle di pagamento prodromiche all’avviso, perché i numeri indicati si riferiscono a cartelle inesistenti.
Inoltre, la C.T.R. avrebbe omesso di valutare l’assenza di ulteriori elementi «previsti nel rispetto del principio di garanzia dell’attività amministrativa, della piena informazione e del diritto di difesa», quali l’indicazione dell’autorità presso la qual e era possibile ottenere un riesame dell’atto in autotutela o quella dell’organo giurisdizionale innanzi a cui ricorrere per l’impugnazione, oltre ai relativi termini e modalità.
Con il quarto motivo la ricorrente denunzia «nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1 c. 2 del d.lgs. n. 546/1992 e dell’art. 118, comma 1, disp. att. cod. proc. civ.».
La sentenza d’appello è criticata nella parte in cui non ha esplicitato «le ragioni per le quali non ha inteso conformarsi agli orientamenti consolidati del Supremo Collegio sulle eccezioni puntualmente sollevate dal ricorrente, chissà magari inaugurando un nuovo filone giurisprudenziale».
Infine, con il quinto motivo la ricorrente denunzia la nullità della sentenza impugnata in quanto sorretta da motivazione meramente apparente.
Assume, al riguardo, che la C.T.R. avrebbe omesso di motivare le ragioni per le quali non erano stati accolti tutti i motivi di gravame, atteso peraltro che «tutti i punti dell’appello (e del ricorso introduttivo) erano da ritenersi nella loro totalità acquisiti in base al principio di non contestazione».
6. Il primo motivo è innanzitutto inammissibile per carenza di interesse.
L’art. 50 del d.P.R. n. 602/1973 stabilisce, al comma secondo, che l’ espropriazione da parte del concessionario, ove non iniziata entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento, dev ‘ essere preceduta dalla notifica di un avviso che contiene
l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro cinque giorni; il successivo terzo comma stabilisce, poi, che l’avviso di intimazione perde efficacia trascorso un anno dalla data della notifica.
L’intimazione , pertanto, non costituisce il titolo della pretesa di pagamento, ma ha piuttosto la funzione di riattivare il procedimento di riscossione del credito tributario, assolvendo al duplice obiettivo di interrompere la prescrizione del credito e di notiziare il debitore della prospettata volontà di recupero delle somme da parte dell’Erario.
In questo quadro, pertanto, il decorso del termine di cui al terzo comma dell’art. 50 è circostanza che spiega effetto in relazione all’eventuale azione esecutiva successivamente intrapresa dal concessionario per la riscossione (non più sorretta da un legittimo presupposto), ma certamente non incide sull’intrinseca validità dell’avviso di intimazione.
In altri termini, la contribuente non ha ragione giuridica per dolersi, in questa sede, della possibile sopravvenuta efficacia di azioni esecutive, estranee all’oggetto del giudizio ; né soccorre, sul punto, l’invocata sentenza n. 22398/2020 di questa Corte, riferita alla ben diversa ipotesi di iscrizione ipotecaria.
7. Il secondo mezzo è infondato.
Come, infatti, ha correttamente rilevato la sentenza impugnata, l’eventuale mancato rispetto del termine previsto dall’art. 23 del d.lgs. n. 546/1992 per la costituzione in giudizio della parte resistente comporta esclusivamente la decadenza dalla facoltà di proporre eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio e di fare istanza per la chiamata di terzi, sicché permane il diritto dello stesso resistente di negare i fatti costitutivi dell’avversa pretesa, di contestare l’applicabilità delle
norme di diritto invocate e di produrre documenti ai sensi degli artt. 24 e 32 del detto decreto (in tal senso, ex plurimis , Cass. n. 2585/2019, anche con riferimento alla costituzione tardiva dell’appellato) .
8. Anche il terzo motivo è privo di fondamento.
Il già citato art. 50, comma terzo, del d.P.R. n. 602/1973 prescrive che l’avviso di intimazione sia « redatto in conformità al modello approvato con decreto del Ministero delle finanze».
Siffatta connotazione di tale atto è significativa del suo contenuto vincolato; non occorre, pertanto, che esso contenga una motivazione che si differenzi da quanto indicato nel modello ministeriale, essendo sufficiente, a tal fine, il riferimento alla cartella di pagamento in precedenza notificata (v. Cass. n. 10692/2024, Cass. n. 28689/2018; nello stesso senso, peraltro, la motivazione di Cass. n. 2260/2022, che la ricorrente assume invece conforme alle proprie tesi difensive).
Altro tema, naturalmente, è quello che involge la motivazione degli atti prodromici all’avviso; ma si tratta di questione estranea al perimetro della censura.
Il quarto motivo è inammissibile perché non rivolge alcuna censura alla sentenza impugnata, né indica i punti della stessa sottoposti a critica perché interessati dal profilo di illegittimità dedotto.
Si tratta, dunque, di motivo redatto in modo difforme dal canone di specificità fissato a presidio dell’ammissibilità del ricorso (cfr. Cass. n. 17224/2020; Cass. n. 11603/2018; Cass. n. 19959/2014).
10. Il quinto mezzo, infine, è manifestamente infondato.
La sentenza impugnata appare compiutamente motivata in relazione a tutti i singoli profili di censura rivolti dalla contribuente
alla decisione di primo grado, che risultano esposti nella parte in fatto e successivamente scrutinati nell’esposizione delle ragioni della decisione.
Né, del resto, la ricorrente chiarisce le ragioni per le quali, come ha affermato, i propri «punti dell’appello erano da ritenersi nella loro totalità acquisiti in base al principio di non contestazione».
In conclusione, il ricorso è meritevole di rigetto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in € 3.500,00 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di