Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31630 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 31630 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/12/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 24087/2023 R.G. proposto da: CONCESSIONI RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa unitamente agli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOMECODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonchè
contro
COMUNE DI COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO VENETO n. 465/2023 depositata il 08/05/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il P.G. che ha concluso per l’estinzione del giudizio.
Udito il Comune che ha concluso per il rigetto del ricorso; mentre la società RAGIONE_SOCIALE ha concluso per l’estinzione del giudizio.
FATTI DI CAUSA
1.Con sentenza n. 465/2023, depositata l’8 maggio 2023, la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Veneto ha rigettato l’appello proposto dalla concessionaria RAGIONE_SOCIALE avverso la decisione di prime cure che, a sua volta, aveva respinto l’impugnazione, da parte della società RAGIONE_SOCIALE, dell’avviso di scadenza n. 66/2019 del quattordici dicembre 2018, emesso da RAGIONE_SOCIALE in qualità di Concessionario del Comune di Martellago (VE) del servizio di esazione della Tosap per l’anno 2019; avviso recante l’importo totale pari ad euro 11.530,18, in connessione alla pretesa occupazione del sopra/sottosuolo pubblico comunale per il tramite dei sovrappassi afferenti all’opera viaria c.d. ‘Passante di Mestre’ sul corrispondente suolo comunale in INDIRIZZO, INDIRIZZO, INDIRIZZO –INDIRIZZO, INDIRIZZO; – per quel che qui rileva, il giudice del gravame ha ritenuto che: – va disattesa l’eccezione del giudicato esterno in quanto l’efficacia espansiva dello stesso trova ostacolo in relazione alla interpretazione giuridica della norma tributaria…poiché detta attività, compiuta dal Giudice e contestuale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, non può mai costituire un limite all’esegesi esercitata da altro Giudice..; – il rapporto concessorio,
seppur nella fattispecie prevista dalla legge ( legge n. 244 del 2007, art. 2, comma 290) fonda la riferibilità al Concessionario dell’occupazione rilevante ai fini Tosap salvo che sussista una delle ipotesi di esenzione previste dall’art. 49 del d.lgs. 507/92… >; -per quanto attiene il rilievo riferito all’assenza di sottrazione di spazi all’uso pubblico, la Cassazione ha rilevato che l’occupazione a mezzo di impianti di servizi pubblici è soggetta a Tosap sia che si tratta di spazi sottostanti che soprastanti e che il viadotto autostradale costituisce un impianto ai fini della normativa citata; per quanto attiene alla spettanza o meno dell’esenzione prevista dall’art. 49 lett. a) del citato decreto, ha affermato che l’occupazione deve considerarsi propria dell’ente concessionario e va dunque assoggettata alla tassa in quanto la società concessionaria è l’esecutrice della progettazione e della realizzazione dell’opera pubblica (D.lgs. 12 aprile 2006, n.163, art. 143, comma 1) a fronte del corrispettivo costituito dal diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente tutti i lavori realizzati (art. 143, comma 2) per la durata, di regola, non superiore a trenta anni (art. 143, comma 6); che, è irrilevante il fatto che il viadotto sia di proprietà del demanio e che al termine della concessione, anche la gestione di esso ritorni in capo allo Stato poiché, nel periodo di durata della concessione stessa, il bene, che pure è funzionale all’esercizio di un servizio di pubblica utilità, è gestito in regime di concessione da un ente che agisce in piena autonomia e non quale mero sostituto dello Stato nello sfruttamento dei beni.
RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di quattro motivi. La società concessionaria per la riscossione e l’amministrazione comunale replicano con controricorso.
La ricorrente con le memorie del 25 luglio 2024 ha chiesto la declaratoria di cessazione della materia del contendere, avendo in
questo giudizio opposto l’avviso di scadenza e, successivamente, impugnato con ricorso innanzi alla CTP di Venezia il successivo avviso di accertamento n. 59/22 che ha integralmente sostituito il precedente avviso di scadenza n. 66/2019 del 14122018, provocandone la caducazione d’ufficio.
Il P.G. ha chiesto, nel ribadire le conclusioni scritte, la declaratoria di estinzione del giudizio.
MOTIVI DI DIRITTO
Con il primo motivo si censura la decisione impugnata per violazione dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., là dove ha escluso la rilevanza del giudicato inter partes.
Si assume che la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Treviso n. 58/03/11 del 10/06/2011 è intervenuta tra le parti dell’odierno giudizio (vale a dire RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE) e per i medesimi analoghi fatti che hanno dato origine alla presente causa, statuendo in ordine agli elementi costitutivi della fattispecie che assumono carattere permanente, ragion per cui esso fa stato anche per le annualità di imposta successive nei rapporti tra le medesime parti. In particolare, si ribadisce che, con la decisione summenzionata, la CTP di Treviso ha confermato l’assunto difensivo della società, affermando che: « Nel caso in esame appare evidente che trattasi di occupazione di suolo comunale con opera pubblica, che detta opera è di proprietà dello Stato, che è gestita da un Organismo di diritto pubblico in quanto la RAGIONE_SOCIALE ha come soci unici enti pubblici (ANAS e REGIONE VENETO) ed alla stessa è fatto espresso divieto di vendita delle quote sociali a soggetti privati».
La seconda censura denuncia la violazione dell’art. 39 d. lgs. n. 507/1993, ex art. 360, primo comma, n. 3) c.p.c.; per avere i giudici regionali ritenuto la società legittimata passiva al pagamento della Tosap, ancorchè l’ente avesse eccepito di non
essere proprietaria del ‘INDIRIZZO Mestre’ e nemmeno concessionaria della medesima opera pubblica, dimodoché nessuna eventuale occupazione del suolo pubblico da parte della suddetta infrastruttura potesse essere imputata all’attività svolta dalla stessa; precisando che, prima della costituzione ex lege di CAV e sino ad oggi, il proprietario dell’opera è il Demanio Pubblico dello Stato (Ramo strade) ed il concessionario è e rimane ANAS (sino al 31.12.2032) che ha peraltro realizzato a proprie spese l’opera pubblica in parola; assumendo di essere mera attributaria (tra l’altro ex lege ) delle sole «attività di gestione». Si deduce, a tal proposito, che la costituzione ex lege di CAV (art. 2, commi 289 e 290, l. n. 244/2007) e il relativo rapporto di concessione nascente dalla Convenzione con ANAS del 2009 non ha trasferito alla predetta alcun potere di progettazione, costruzione e realizzazione dell’opera pubblica.
Con il terzo mezzo di ricorso per cassazione, si denuncia ; per avere erroneamente il decidente trascurato di considerare che l’occupazione del suolo comunale era avvenuta mediante un’opera costruita da ANAS, titolare della concessione a costruire, che ne ha sostenuto i costi -avente le caratteristiche di un’opera demaniale appartenente ad ANASStato, opera che non sottrae l’uso dell’area occupata all’uso indiscriminato della collettività, trattandosi per l’appunto di demanio autostradale.
Si obietta che laddove vi sia, occupazione di spazi o aree pubbliche senza destinazione ad attività c.d. mercatali o comunque private, in quanto integralmente deputata a pubblico uso con la medesima
fruizione generalizzata da parte della collettività, non si realizza comunque il fatto materiale contemplato dall’art. 39 che sostanzia il presupposto impositivo del tributo.
Si argomenta che mancherebbe, nel caso in esame, da un lato il godimento esclusivo del suolo da parte di un singolo privato che escluda e sottragga l’uso collettivo e normale dello stesso, dall’altra l’opera stessa è e rimarrà pubblica e volta all’uso generalizzato e insiste su spazi che sono e resteranno sempre destinati a tutti i consociati, senza alcuna limitazione di sorta al loro utilizzo collettivo.
Con il quarto motivo si denuncia la violazione dell’art. 49 d. lgs. n. 507/1993, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3) c.p.c. , per non avere la C.T.R. del Veneto esaminato l’allegazione difensiva secondo la quale, in ragione della titolarità delle partecipazioni – per il 50% detenute da RAGIONE_SOCIALE S.p.aRAGIONE_SOCIALE e per il 50% detenute dalla Regione Veneto a CAV, quest’ultima rientra tra gli enti esenti di cui all’art. 49, lett. a), del d.lgs 507/1993, norma che esonera dal pagamento della tassa «le occupazioni effettuate dallo Stato, dalle regioni, province, comuni e loro consorzi, da enti religiosi per l’esercizio di culti ammessi nello Stato, da enti pubblici di cui all’art. 87, comma 1, lettera c), del T.U.I.R(gli enti pubblici e privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali) ».
Aderendo la ricorrente alla natura di società in house -art. 18 del d. lgs n. 175 del 19 agosto 2016 (T.U.S.P.) -, essa avrebbe natura pubblica assimilabile alle pubbliche amministrazioni, in quanto «le società in house ricevono affidamenti diretti di contratti pubblici dalle amministrazioni che esercitano su di esse il controllo analogo o da ciascuna delle amministrazioni che esercitano su di esse il controllo analogo congiunto solo se non vi sia partecipazione di capitali privati>.
Non vi è ragione di esaminare i motivi di ricorso tenuto conto dell’istanza di estinzione del giudizio presentata dalla società ricorrente a seguito dell’impugnazione dell’avviso di accertamento alla stessa notificato dall’ente impositore.
4.1. Come è noto, la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che all’invito al pagamento, assimilabile all’avviso di scadenza, si devono applicare i principi generali del procedimento tributario di accertamento e di riscossione. In particolare, si è ribadito quanto già espresso da questa Corte (Cass., Sez. 5^, 9 agosto 2007, n. 17526) e quanto pure affermato dalla Corte Costituzionale (Corte Cost., 24 luglio 2009, n. 238), ossia che gli atti con i quali si chiede il pagamento di un tributo, anche quando gli stessi non dovessero rivestire la forma di cui all’art. 19 d.lgs. 546/1992, in quanto attengono ad un’entrata pubblicistica.
4.2.Secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, in tema di contenzioso tributario, l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell’art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 ha natura tassativa, ma non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, ove con gli stessi l’amministrazione finanziaria porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche, siccome è possibile un’interpretazione estensiva delle disposizioni in materia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.), ed in considerazione dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la Legge 28 dicembre 2001 n. 448 (Cass., Sez. 5^, 28 maggio 2014, n. 11929; Cass., n. 13963/2017; Cass., n. 2144/2020; Cass.n. 31259/2021). È stata, in particolare, riconosciuta la facoltà di ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall’ente impositore che, esplicitando concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, portino, comunque, a conoscenza del contribuente una ben individuata
pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento cui è naturaliter preordinata, si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall’art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546: sorge, infatti, in capo al contribuente destinatario, già al momento della ricezione della notizia, l’interesse, ex art. 100 cod. proc. civ., a chiarire, con pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, la sua posizione in ordine alla stessa e, quindi, ad invocare una tutela giurisdizionale, comunque, di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva (e/o dei connessi accessori vantati dall’ente pubblico) (Cass., Sez. Un., 18 febbraio 2014, n. 3773; Cass. n. 11397/2017; Cass., n. 12150/ 2019; Cass., n. 29501/2020; Cass. n. 2144/2020; Cass. n. 31259/2021; Cass., n. 34177/2021). Ne consegue che il contribuente ha la facoltà, non l’onere, d’impugnazione di atti diversi da quelli specificamente indicati nel citato art. 19 (come, per l’appunto, la fattura TIA), il cui mancato esercizio non determina alcuna conseguenza sfavorevole in ordine alla possibilità di contestare la pretesa tributaria in un secondo momento; ciò comporta che la mancata impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente indicato dall’art. 19 citato non determina, in ogni caso, la non impugnabilità (ossia la cristallizzazione) di questa pretesa, che può essere successivamente reiterata in uno degli atti tipici previsti dallo stesso art. 19 (tra le tante: Cass., Sez. Un., 11 maggio 2009, n. 10672; Cas., n. 2616/2015; Cass., n. 12150/ 2019,; Cass., n. 1230/2020; Cass.n. 31259/2021).
4.3.L’inerzia del contribuente rispetto al ricevimento di detti atti non preclude, dunque, l’autonoma impugnazione del successivo atto impositivo per la medesima annualità, non derivandone alcuna “cristallizzazione” della pretesa impositiva, che può essere
contestata in tale sede (Cass., Sez. 5′, 19 agosto 2020, n. 17339; Cass., Sez. 6^-5, 24 maggio 2021, n. 14200).
4.4. Si è osservato in Cass. n. 19049/2024 che: ‘Una volta ammessa l’impugnazione facoltativa degli atti sopra indicati, resta pur sempre necessaria l’impugnazione dell’atto tipico che sia poi adottato, per evitare il consolidamento della pretesa tributaria, tant’è che, una volta emesso tale atto – come precisato da questa Corte – viene meno l’interesse del contribuente ad una decisione che riguardi l’atto impugnato in via facoltativa (cfr. in particolare Cass., Sez. 5, n. 7344 dell’11/05/2012; Cass., nn. 30691 e 30736 del 2021). In effetti, se l’atto tipico viene impugnato, l’unico giudizio che rileva è quello avverso quest’atto, mentre, se non viene impugnato, il ricorso antecedentemente proposto avverso l’atto facoltativamente impugnabile diviene inutile, stante l’avvenuto consolidamento degli effetti proprio dell’atto tipico’.
4.5. Tale eventualità, cioè, l’impugnazione, dapprima, dell’atto impositivo atipico o ad impugnazione facoltativa (nella specie, l’avviso di scadenza) e, poi, dell’atto impositivo tipico o ad impugnazione necessaria (nella specie, l’avviso di accertamento) comporta, comunque, in caso di contemporanea pendenza, che il giudizio relativo all’atto preliminare venga a perdere rilevanza, essendo prevalente (ed assorbente) la cognizione sulla pretesa impositiva (per ogni aspetto dell’an, del quantum e del quomodo ) nel giudizio relativo all’atto principale, anche se l’instaurazione sia successiva in ordine cronologico.
4.6.In effetti, se l’atto tipico viene impugnato, l’unico giudizio che rileva è quello avverso quest’atto, mentre, se non viene impugnato, il ricorso antecedentemente proposto avverso l’atto facoltativamente impugnabile diviene inutile, stante l’avvenuto consolidamento degli effetti propri dell’atto tipico (Cass., Sez. 5^, 29 ottobre 2021, n. 30736).
4.7.Posto, quindi, che l’avviso di accertamento successivamente notificato alla società sostituisce in via definitiva l’avviso di scadenza nella determinazione della pretesa impositiva, che viene reiterata in forma autoritativa tipica, si deve dichiarare la carenza di interesse delle parti in ordine al primo atto impugnato, essendo destinata a concentrarsi la cognizione del giudice tributario sul secondo atto impugnato. Dunque, l’emissione dell’atto susseguente, con la formulazione di una pretesa tributaria nuova rispetto a quella originaria, sostituisce l’atto precedente e ne provoca la caducazione d’ufficio, con la conseguente carenza di interesse delle parti nel giudizio avente ad oggetto il relativo rapporto sostanziale, venendo meno l’interesse a una decisione relativa ad un atto -il prodromico avviso di scadenza – sulla cui base non possono essere più avanzate pretese tributarie di alcun genere, dovendosi avere riguardo unicamente all’atto -l’avviso di accertamento – che lo ha integralmente sostituito (sul punto: Cass., n. 11481/2022; Cass. n.1213/2023; Cass. n.19049/24).
5. In conclusione, l’interesse delle parti alla prosecuzione del giudizio relativo all’avviso di scadenza viene meno con la successiva instaurazione del giudizio relativa all’avviso di accertamento, nel quale si concentra (e si trasferisce) l’esame di ogni questione inerente alla debenza del tributo.
5.1.Ciò giustifica la pronuncia di inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse ad agire (Cass. n. 12743 del 2016; Cass. n. 13923 del 2019).
5.2.Sussistono, inoltre, i presupposti per la compensazione delle spese; infine, trattandosi di una ipotesi di inammissibilità sopravvenuta, non ricorrono le condizioni per imporre al ricorrente il pagamento del c.d. ‘doppio contributo unificato’ ai sensi dell’art. 13 quater d.P.R. n. 115 del 2002 (Cass. n. 31732 del 2018; Cass.
14782 del 2018).
P.Q.M.
La Corte
Dichiara l’inammissibilità del ricorso;
dichiara compensate le spese del giudizio; si dà atto della insussistenza delle condizioni per imporre alla ricorrente il pagamento del c.d. ‘doppio contributo unificato’ ai sensi dell’art. 13 quater d.P.R. n. 115 del 2002.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria della