Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20940 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20940 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: LIBERATI NOME
Data pubblicazione: 23/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13338/2020 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
COMUNE MESSINA;
-intimato- avverso SENTENZA della Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione di MESSINA, n. 5266/2019 depositata il 13/09/2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/03/2025 dal
Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
In data 31 agosto 2010 il Comune di Messina ha notificato all’odierna parte ricorrente, l’avviso n. 235/2010 -AA del 02-08-2010 relativo all’imposta sulla pubblicità anno 2009.
Tale avviso è stato impugnato presso la Commissione Tributaria Provinciale di Messina, la quale ha rigettato tutte le doglianze con sentenza n. 380/01/12, depositata il 19/06/2012.
Avverso la predetta sentenza, la ricorrente ha proposto appello, e la CTR di Messina, con la sentenza in epigrafe indicata, lo ha respinto, rilevando che l’avviso di accertamento conteneva gli elementi essenziali richiesti dall’art. 10 del D. Lgs. 15/11/1993, n. 507 (soggetto passivo, caratteristiche e ubicazione dei mezzi pubblicitari, importo dell’imposta e termine per il pagamento); che non era necessario indicare le specifiche modalità di calcolo, essendo l’imposta derivante dai criteri di legge; che le sanzioni erano inferiori al 50% dell’imposta dovuta, in linea con l’art. 23 del D.Lgs. n. 597/1993; che l”imposta si basava sulla disponibilità del mezzo pubblicitario, non sulla sua effettiva utilizzazione, sicché l’ente poteva liquidare il tributo sulla base della dichiarazione presentata dal contribuente, senza necessità di istruttoria per ogni dichiarazione; che l’importo era stato specificato in riferimento ai singoli impianti, basandosi sulla dichiarazione della società che si era rinnovata tacitamente e che l’attività era stata effettuata a seguito di un preventivo accertamento notificato alla società.
Avverso la suddetta sentenza di gravame la parte contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a n. 4 motivi.
La intimata non ha depositato controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il prim o motivo di ricorso, parte ricorrente contesta ‘la violazione dell’art. 360 , comma 1, n. 5 c.p.c. e degli artt. 132, comma 1 n, 4 c.p.c. e 36, comma 2 n. 4 d.lgs. n. 546/1992 e art. 118 disp. att. c.p.c. in relazione all’art 360, comma 1 n. 4 c.p.c. per mancanza di motivazione’.
La Commissione Tributaria Regionale (CTR) non si sarebbe pronunciata sulla censura relativa alla violazione del divieto di
motivazione successiva. In particolare, durante il processo, il Comune avrebbe cambiato più volte la propria versione dei fatti, indicando diverse basi per l’avviso di accertamento (dichiarazioni, risultanze degli archivi comunali, schede di rilevazione) e tale comportamento avrebbe violato il diritto di difesa del contribuente.
1.1. Il motivo è infondato in fatto.
Non si tratta, invero, di integrazione della motivazione, ma di mera difesa in giudizio.
1.2. La decisione della CTR è estremamente chiara nel ritenere che l’avviso fosse adeguatamente motivato , argomentando che ‘dall’esame accertamento oggetto di impugnazione (ritualmente notificato), si riscontrino gli elementi essenziali per l’individuazione dell’oggetto e dei termini della pretesa tributaria; specificatamente: il numero dei mezzi pubblicitari e il tipo utilizzato; la riconducibilità dello stesso alla società ricorrente, recando l’impianto la dicitura della ragione sociale della RAGIONE_SOCIALE; l’esatta ubicazione di ciascun singolo impianto (con l’indicazione delia via o, nel caso di mancanza del numero civico, la descrizione del sito di allocazione); la categoria e la superficie di ciascun impianto, con la conseguente tariffa applicabile per mq.; l’imposta a tale titolo complessivamente dovuta e la normativa applicata’.
Ne consegue che non può dirsi esistente, già in partenza, una motivazione che necessitasse di integrazione. Rispetto alla motivazione provvedimentale, le deduzioni dell’amministrazione hanno costituito perciò una mera azione difensiva e la parte confonde le difese svolte in giudizio dall’Ente impositore che rilevano ai fini del riscontro di fondatezza della pretesa impositiva -con la compiutezza motivazionale dell’atto (che, per l’appunto, la C TR ha specificamente verificato escludendo il vizio di motivazione).
1.3. La censura è quindi infondata.
Con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente contesta ‘la violazione dell’art. 360 , comma 1 n. 5 c.p.c. e degli artt. 132, comma 1 n, 4 c.p.c. e 36, comma 2 n. 4 d.lgs. n. 546/1992 e art. 118 disp. att. c.p.c. in relazione all’art 360, comma 1 n. 4 c.p.c. per mancanza di motivazione’. La CTR ha omesso di pronunciarsi sugli errori di calcolo e sulle duplicazioni.
2.1. Va rilevato che la CTR ha premesso che era stato notificato previamente alla società contribuente un verbale di ‘ accertamento materiale pubblicitario’, che non è stato oggetto di contestazione , cui eran seguiti gli altri avvisi di accertamento, e di cui ne ha condiviso i contenuti. In sostanza si tratta di una censura che attinge il merito dell’accertamento che in realtà c’ è stato.
La doglianza è dunque inammissibile perché ha natura di censura in fatto, senza peraltro nemmeno indicare quale sarebbe il fatto decisivo rilevante ai fini del vizio tipizzato dal n. 5 dell’art. 360 c. 1 c.p.c.
2.2. Il motivo va dunque dichiarato inammissibile.
Con il terzo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000. art. 7 e della L. n. 241 del 1990, art. 3, e del D.Lgs. n. 507 del 1993. art. 10, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.
La motivazione dell’avviso sarebbe insufficiente per la mancanza di indicazioni precise come il numero civico o la distanza chilometrica, rendendo impossibile contestare l’esistenza di un impianto pubblicitario in un luogo specifico. La CTR sarebbe dunque incorsa in violazione di legge nel ritenerlo legittimo.
3.1. Il motivo è inammissibile per violazione del principio di autosufficienza, pur nella versione dell’onere di specificazione modulata in conformità alle indicazioni della sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 (causa COGNOME ed altri c/Italia), secondo i criteri di sinteticità e chiarezza, realizzati dalla trascrizione essenziale degli atti
per la parte d’interesse in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza (cfr. Cass. 04/02/2022 n. 3612; Cass., 28/05/2024, n. 14843).
3.2. La parte, difatti, formula un motivo di ricorso in frontale contrasto con lo specifico accertamento condotto dal giudice del gravame, senza dar conto, nemmeno in estrema sintesi ricostruttiva, del contenuto dell’avviso di accertamento .
Nella fattispecie, invero, il ricorrente avrebbe dovuto indicare quale fosse l’effettivo contenuto dell’avviso di accertamento, al fine di contestarne gli elementi asseritamente mancanti.
La decisione della CTR è difatti estremamente chiara sul punto, come già osservato nel motivo n. 1.
3.3. In mancanza di (più) specifica contestazione, alla luce del verbale di accertamento, il motivo va dunque dichiarato inammissibile.
Con il quarto motivo di ricorso, si lamenta la ‘violazione dell’art. 360. comma 1 n. 5 c.p.c. e degli artt. 132 comma 1 n. 4 c.p.c. e 36, comma 2 n. 4 d.lgs. n. 546/1992 e art. 118 disp. att. c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c.’. In particolare, la sentenza sarebbe viziata da motivazione apparente ed obiettivamente incomprensibile, trattandosi di procedimento svoltosi al solo interno dell’amministrazione a seguito del rilascio della autorizzazione, e senza che fosse ma stata presentata alcuna denuncia della società ricorrente (recante n. 5830/2009-RA), che invece costituirebbe il fondamento della decisione di gravame.
4.1. Anche tale motivo è inammissibile, sotto molteplici profili.
Innanzitutto, non coglie parte della più complessa ratio decidendi , in cui non si fa riferimento a denunce del contribuente, e si
rileva come l’atto impositivo nasca, invece, da un autonomo accertamento di ufficio.
Inoltre, la doglianza si palesa inammissibile anche nella parte in cui rileva errori di primo grado, anziché vizi della decisione di gravame.
Infine, deve rilevarsi che la CTR ha offerto una risposta alla questione della mancanza della denuncia, rilevando che si applichi la regola dell’ultrattività: la pregressa conoscenza dello stato di fatto utile ai fini impositivi resta immutata sino a diversa comunicazione del contribuente.
4.2. La doglianza va quindi dichiarata inammissibile.
In conclusione il ricorso deve essere respinto.
Nulla deve disporsi sulle spese, stante la mancata costituzione della parte intimata.
7 . In conseguenza dell’esito del giudizio ricorrono i presupposti processuali per il pagamento di una somma pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto. Così deciso in Roma, il 26/03/2025.