Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2469 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2469 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4586/2017 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende,
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persone del Direttore generale pro tempore, ex lege domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-resistente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LAZIO n. 4348/2016 depositata il 05/07/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/01/2025 dal Co: COGNOME NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
I contribuenti, soci della società RAGIONE_SOCIALE, venivano attinti da un avviso di accertamento redatto sulla scorta di un precedente p.v.c., non notificato unitamente all’atto impositivo oltre che privo della loro sottoscrizione e di cui costoro avevano avuto piena contezza a seguito di accesso agli atti. Segnatamente l’Ufficio riprendeva a tassazione il maggior reddito d’impresa ai fini Irpef e Irap per l’an no d’imposta 2008, oltre a interessi e sanzioni, per complessivi euro 71.578,47.
I contribuenti proponevano distinti ricorsi avanti il Giudice di prossimità che li accoglieva entrambi solo in via parziale. La CTP, decidendo separatamente sui due gravami, aveva riguardo allo schema di bilancio da cui emergeva, a titolo di ricavi, l’impo rto di euro 889.000,00 derivanti dall’acquisizione di risorse finanziarie ottenute con la cessione di un complesso immobiliare e, quali costi, l’importo di euro 910.000,00 versati agli Istituti di credito per il rimborso dei mutui e necessari anche per la cancellazione delle ipoteche. Riteneva pertanto logica la contrapposizione di poste di natura finanziaria afferendo ad un’operazione che aveva avuto effetti sia sul piano delle entrate delle risorse finanziarie sia su quello delle uscite, così censurando l ‘operato dell’Ufficio che aveva invece considerato solo le risorse provenienti dal ricavo della vendita e stralciando invece quelle utilizzate per l’estinzione dei debiti, qualificandole come poste di natura finanziaria e non economica.
Ricorrevano in via principale l’Ufficio e in via incidentale i contribuenti. La CTR, riuniti gli appelli, respingeva i ricorsi promossi dai contribuenti e accoglieva quello principale dell’Ufficio. Segnatamente, riformava le decisioni di primo grado sul presupposto che la CTP avesse messo a raffronto poste di bilancio che avevano natura finanziaria e non economica, come richiesto dall’art. 2425
c.c., precisando come la restituzione dei prestiti non rientrasse in alcuna delle voci del conto economico di cui al citato art. 2425 c.c. Ricorrono per la cassazione della sentenza i contribuenti, ivi svolgendo cinque motivi di ricorso. L’Avvocatura generale dello Stato si costituisce ai sensi dell’art. 370, co. 1, c.p.c. al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.
CONSIDERATO
Vengono proposti cinque motivi di doglianza.
Con il primo motivo la parte ricorrente denunzia la nullità della sentenza per carenza di motivazione ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c. per non aver omesso la commissione l’esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti.
In sintesi, censura la nullità della sentenza per non essersi né la CTP prima, né la CTR dopo, pronunciate sul fatto storico afferente alla mancata notifica e allegazione del PVC, redatto a seguito di un accesso a tavolino e recante in calce la sottoscrizione dei soli funzionari dell’Ufficio, ma non quella del sig. COGNOME con conseguente violazione del diritto al contraddittorio. Riporta nel motivo anche lo stralcio della sentenza di appello ove la CTR dà peraltro atto della presenza del sig. COGNOME al momento della redazione del pvc in oggetto quale circostanza di fatto assunta a presupposto del rigetto del motivo per aver la presenza del contribuente fatto venire meno l’obbligo dell’allegazione del p.v.c. all’avviso di accertamento.
Il motivo è inammissibile e comunque infondato.
È inammissibile perché non coglie la ratio decidendi sottesa al rigetto della domanda dei contribuenti, e fondata sul fatto che costoro avevano avuto integrale conoscenza del p.v.c. essendo quest’ultimo stato redatto alla presenza del sig. COGNOME Ciò oltre al fatto che è la stessa parte ricorrente a riconoscere come l’atto impositivo richiamasse integralmente il pvc, sì dimostrando di conoscerne il contenuto.
In ogni caso il motivo è infondato.
Occorre premette che l’accertamento oggetto del giudizio non trae origine da controlli, ispezioni, verifiche od accessi eseguiti presso la società contribuente, trattandosi (come dichiarato dal ricorrente a pag. 8 del ricorso) di accertamento c.d. “a tavol ino’. La fattispecie in esame è pertanto riconducibile al cd. accertamento “a tavolino”, ossia eseguito senza essere accompagnato da una attività dell’amministrazione finanziaria di accesso nella sfera diretta del contribuente.
Tanto premesso, va ricordato che «l’art. 12, comma 7, dello Statuto del contribuente, invocato anche dalla CTR, si applica ai soli casi di “accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali” del contribuente: l’emissione di un processo verbale di contestazione non è normativamente prevista in caso di accertamento a tavolino come nel caso in esame. Trattasi, peraltro, di principio assolutamente pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che, con la sentenza n. 24823/2015 resa a Sezioni Unite, ha affermato che «le garanzie fissate nella legge n. 212 del 2000, articolo 12 comma 7, trovano applicazione esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali dove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente», così trovando avvallo e conferma anche in recenti arresti (cfr. Cass., V, n. 9725 del 2021; Cass., V, n. 766 del 2020; n. 26354/2021)» (cfr. Cass., V, n. 41369/2021).
Il motivo è parimenti infondato perché, come già ricordato da questa Corte, «il tenore dell’art. 7 della 1. n. 212 del 2000 è stato in parte attenuato dall’art. 1 del d. Lgs. n. 32 del 2001, con il quale ormai da tempo si è stabilito che “se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale”. Quando si fa riferimento al ” contenuto essenziale” dell’atto richiamato che può sostituire l’obbligo
di allegazione, è evidente che tale contenuto deve consentire al contribuente l’esatta comprensione della ragione del prelievo fiscale, atteso che l’obbligo di motivazione dell’atto impositivo deve assicurare il controllo della legittimità dell’imposizione, delimitando chiaramente l’oggetto del processo tributario. Per chiara esplicazione dell’iter logico -giuridico seguito nella formazione dell’atto, si intende un testo che ha il fine di esplicitare il ragionamento dell’Ufficio, e quindi di consentire al contribuente di decidere se difendersi o meno azionando un giudizio; – in sostanza, nel regime introdotto dall’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche “per relationem”, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, e la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento (tra molte, Cass. 23923/2016)» (cfr. Cass., V, n. 21935/2024).
La CTR ha dunque fatto buon governo della disciplina di settore e dei principi sanciti in materia da questa Corte, anche tenuto conto che gli elementi essenziali erano presenti nell’avviso di accertamento come riconosciuto dallo stesso contribuente, sicché non sussiste il vizio di cui si dolgono i contribuenti.
Con il secondo motivo i contribuenti lamentano la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione delle norme di legge ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.
In sintesi, dopo aver ricordato le eccezioni di nullità svolte rispetto all’avviso di accertamento nel corso dei precedenti gradi di merito, denunziano (anche) la nullità della sentenza per non essersi la CTR previamente pronunciata sui ridetti motivi. Affermano infatti che il Collegio d’appello, prima di dirimere la questione di merito, avrebbe dovuto scrutinare le eccezioni di nullità dell’atto impositivo.
Il motivo è inammissibile per assoluta carenza di specificità e autosufficienza.
È invero ius receptum di questa Corte quello per cui il vizio di violazione di legge comporta un’erronea ricognizione della fattispecie astratta disciplinata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo su di essa (Cfr. Cass., VI, n. 19537/2018).
È inoltre noto il principio di autosufficienza del ricorso, che impone che l’atto introduttivo contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa (Cass. civ. Sez. 2, Sent., 20-08-2015, n. 17049; Cass. civ., Sez. 2, n. 7825 del 04/04/2006; Cass. civ., Sez. 6-3, Ord. n. 1926 del 03/02/2015). Tale principio si applica anche nel caso in cui il ricorrente denunzi che il giudice di appello abbia omesso di pronunziare su apposita censura mossa con l’at to di gravame. Ed invero, non essendo tale censura esposta nella sentenza di secondo grado, era onere del ricorrente trascriverla nel ricorso, onde consentire alla Corte, da un lato, di verificare che la questione prospettata non fosse ‘nuova’ e come tale -inammissibile (Cass. n. 2140/2006), dall’altro di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte (Cass. n. 17049/2015).
Orbene, nel secondo motivo parte ricorrente si è limitata a riportare le sole presumibili rubriche dei motivi svolti nei precedenti gradi di merito, omettendo la trascrizione del loro contenuto, di fatto impedendo a questa Corte di operare il necessario raffronto tra il chiesto e il pronunciato.
Peraltro, parte ricorrente sembra per vero dolersi di un presunto difetto di omessa pronuncia sui motivi di appello (non ritrascritti), che però avrebbe dovuto essere «.. fatto valere ai sensi dell’art. 360 n.4 cpc, come ha più volte ribadito questa Corte, affermando che l’omessa pronunzia da parte del giudice di merito integra un difetto di attività che deve essere fatto valere dinanzi alla Corte di cassazione attraverso la deduzione del relativo error in procedendo e della violazione dell’art. 112 cpc, non già con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale o del vizio di motivazione ex art. 360, n. 5 cpc (Cfr. Cass. V, n. 7871 del 18/05/2012, Rv. 622908 – 01; VI -L n. 329/ 2016)» (Cfr. Cass., V, n. 24847/2020).
Il motivo va dunque respinto
Il terzo motivo ha ad oggetto la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4 c.p.c. per omessa motivazione su elementi ed eccezioni contestati dal contribuente in sede di ricorso e di udienza. In particolare, critica la sentenza per aver la CTR omesso di pronunciarsi sull’eccezione svolte dai contribuenti ed avente ad oggetto la mancata applicabilità dell’art. 86 TUIR in ordine alla plusvalenza derivante dalla cessione del complesso immobiliare, così inficiando la legittimità della sentenza dalla cui lettura non sarebbe possibile dedurre il ragionamento logico seguito dal Giudice.
Il motivo è infondato.
Occorre ricordare infatti che «il vizio di omessa pronuncia, causativo della nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle
parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto; non è configurabile la violazione dell’art. 112 c.p.c. ove il giudice di merito non abbia considerato i fatti secondari dedotti dalla parte; in tal caso, può ritenersi integrato il diverso vizio di cui all’art. 360, n. 5 c .p.c. nella misura in cui il giudice abbia omesso di considerare fatti rilevanti ai fini della ricostruzione della ‘quaestio facti’ in funzione dell’esatta qualificazione e sussunzione ‘in iure’ della fattispecie (v. Cass. n. 17698 del 2011; n. 7653 del 2012; 22799 del 2017; n. 28308 del 2017; n. 459 del 2021).» (cfr. Cass., Sez. L., n. 6201/2024).
Occorre inoltre ricordare che «non ricorre vizio di omessa pronuncia su punto decisivo qualora la soluzione negativa di una richiesta di parte sia implicita nella costruzione logico-giuridica della sentenza, incompatibile con la detta domanda (v. Cass., 18/5/1973, n. 1433; Cass., 28/6/1969, n. 2355). Quando cioè la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte comporti necessariamente il rigetto di quest’ultima, anche se manchi una specifica argomentazione in proposito (v. Cass., 21/10/1972, n. 3190; Cass., 17/3/1971, n.748; Cass., 23/6/1967, n. 1537). Secondo risalente insegnamento di questa Corte, al giudice di merito non può invero imputarsi di avere omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacché né l’una né l’altra gli sono richieste, mentre soddisfa l’esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento come nella specie risulti da un esame logico e coerente, non già di tutte le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, bensì solo di quelle ritenute di per sé sole idonee e sufficienti a giustificarlo. In altri termini, non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tu tte
le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse (cfr. Cass. V, 9/3/2011, n. 5583).» (Cass., V, n. 7662/2020).
Nella fattispecie in esame la CTR ha rigettato le tesi difensive dei contribuenti, riformando anche la decisione di primo grado, rendendo una motivazione logica e coerente anche previo richiamo della disciplina applicabile, così assumendo una decisione incompatibile con le eccezioni svolte dai contribuenti che sono state pertanto implicitamente rigettate.
Il motivo è dunque infondato e va disatteso.
Con il quarto motivo i ricorrenti prospettano la nullità della sentenza per carenza di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c. punto 5 per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e lacune nelle argomentazioni.
Segnatamente criticano la sentenza della CTR, di cui non sarebbe possibile ricostruire l’iter logico -giuridico seguito, nella parte in cui riforma il capo della sentenza della CTP relativa alle poste di bilancio di natura finanziaria. Afferma che sarebbe e vidente l’errore della CTR nella interpretazione circa la reale natura delle operazioni eseguite (natura economica e/o finanziaria). Soggiunge che la base imponibile dell’IRAP è costituita dal valore di produzione netta realizzato nel territorio di ciascuna Regione, dove il costo del lavoro e che non rileverebbero i componenti finanziari e straordinari.
Il quarto motivo è inammissibile non rientrando nel paradigma dell’art. 360, co. 1, n. 5 né l’omessa valutazione di deduzioni difensive né l’omessa disamina di questioni o argomentazioni. Infatti «l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., come riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione,
relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nel cui paradigma non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass., Sez. 1^, 14 settembre 2018, n. 26305; Cass., Sez. 6^-1, 6 settembre 2019, n. 22397; Cass., Sez. 5^, 11 maggio 2021, n. 12400; Cass., Sez. 5^, 24 luglio 2021, nn. 21457 e 21458; Cass., Sez. 5^, 20 dicembre 2022, n. 37346; Cass., Sez. 5^, 10 novembre 2023, n. 31327; Cass., Sez. 1^, 29 febbraio 2024, n. 5426) né l’omessa disanim a di questioni o argomentazioni (Cass., Sez. 6^-1, 6 settembre 2019, n. 22397; Cass., Sez. 5^, 20 aprile 2021, n. 10285; Cass., Sez. 5^, 20 dicembre 2022, n. 37346; Cass., Sez. 5^, 10 novembre 2023, n. 31327; Cass., Sez. 1^, 29 febbraio 2024, n. 5426)» (cfr. Cass., V, n. 32047/2024).
Con l’ultimo motivo la parte ricorrente denunzia la nullità della sentenza per aver omesso la valutazione di un fatto essenziale per il giudizio in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4 c.p.c. Ricorda di aver censurato la nullità assoluta dell’avviso di acce rtamento per violazione dell’obbligo di motivazione. Afferma che la CTR avrebbe considerato corretta la natura della somma di euro 889.000,00 senza indicare gli elementi di diritto da cui avrebbe tratto il suo convincimento di considerare detta somma come dei ricavi.
Dopo aver ricordato che cosa è qualificabile come ricavo a termini dell’art. 85 TUIR, afferma che ‘ l compendio immobiliare di una società che gestisce un parco acquatico non possa che annoverarsi tra i cosiddetti beni strumentali dell’attività o meglio beni diversi da quelli indicati nel comma i dell’art. 85 TUIR’, affermano che la CTR, confermando la natura del ricavo, avrebbe aderito alla tesi dell’Ufficio senza fare una valutazione sull’operazione immobiliare compiuta, con conseguente vizio di motivazione della pronuncia.
Anche l’ultimo motivo è inammissibile.
Da un lato, invero, la parte ricorrente invoca l’art. 85 TUIR che tuttavia non risulta essere confluito nel thema decidendum
sottoposto allo scrutinio dei giudici di merito nei precedenti gradi di giudizio; dall’altro la doglianza non coglie la ratio decidendi sottesa al rigetto della domanda dei contribuenti, e fondata sul presupposto che la restituzione dei prestiti non rientra in alcuna delle voci del conto economico di cui al citato art. 2425 c.c.; peraltro, merita osservare che la sentenza non fa menzione di alcun collegamento tra il rimborso del mutuo e il ricavato della cessione, come invece sostenuto in fatto dal contribuente.
Il motivo va dunque disatteso.
In definitiva, il ricorso è infondato e dev’essere rigettato. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese in assenza di attività difensiva sostanziale della controricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 115/2002 la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 21/01/2025.