Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 25735 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 25735 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: LIBERATI NOME
Data pubblicazione: 21/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17035/2018 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE CONCESSIONARIO DEL SERVIZIO DI RISCOSSIONE DI GESTIONE DELLE ENTRATE DEL COMUNE DI CASERTA
-intimato- avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, sede di NAPOLI n. 10156/2017 depositata il 29/11/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/09/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
In data 20 luglio 2015 e 10 settembre 2015 la RAGIONE_SOCIALE concessionario del Comune di Caserta, ha notificato al ricorrente gli avvisi di accertamento n. 1121/2015/67, n. 1121/2015/2390, n. 1121/2015/1850 e n. 1121/2015/1204 relativi agli anni 2009, 2010, 2011 e 2012 con i quali veniva contestato il mancato pagamento della TARSU relativamente a due immobili utilizzati, il primo come abitazione, ed il secondo come studio professionale.
Il contribuente ha proposto ricorso avverso detti atti presso la Commissione Tributaria Provinciale di Caserta, la quale con sentenza n. 3043/10/16 del 13 maggio 2016 ha accolto parzialmente il ricorso, annullando gli avvisi di accertamento impugnati limitativamente alla Tarsu dovuta in relazione all’immobile sito in Caserta alla INDIRIZZO Caserta INDIRIZZO
Avverso tale sentenza il contribuente ha proposto appello presso la Commissione Tributaria Regionale di Napoli, la quale, con la sentenza in epigrafe indicata, lo ha respinto.
In particolare, la Commissione ha ritenuto l’avviso di accertamento completo e sufficientemente motivato, escludendo altresì l’obbligo di allegare i testi normativi richiamati e respinto la censura sulla firma a stampa dell’atto, considerandola legittima e conforme alla normativa, in quanto apposta da sistema automatizzato con chiara identificazione del responsabile. Infine, ha dichiarato inammissibili le contestazioni sulle sanzioni e sulla categoria catastale perché mai sollevate nei precedenti gradi di giudizio.
Avverso la suddetta sentenza di gravame il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a n. 6 motivi.
La concessionaria è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, si deduce la nullità per omessa pronuncia su uno dei motivi di appello in violazione dell’art. 112 c.p.c. (in relazione all’art, 360, co. 1, n. 3 c.p.c.). Il contribuente aveva contestato la sentenza di primo grado lamentando l’assenza, negli avvisi di accertamento, di una motivazione che giustificasse l’aumento dell’imposizione fiscale, e che nessuna documentazione a supporto fosse stata prodotta in giudizio. Aveva inoltre precisato che l’ammissione dell’uso promiscuo degli immobili riguardava solo l’anno 2012. Tuttavia, la Commissione Tributaria Regionale non si sarebbe espressa su questo motivo di appello, configurando un’omessa pronuncia.
Con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente contesta la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 57 del D.Lgs. 546/1992 (in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.).
La Commissione Tributaria Regionale ha dichiarato inammissibile, considerandola come “domanda nuova”, la questione relativa all’illegittima applicazione del cumulo materiale delle sanzioni. Il contribuente afferma invece di aver sollevato il tema fin dal primo grado (pag. 2 del ricorso introduttivo), contestando il calcolo delle sanzioni già nel ricorso introduttivo e chiarendo poi, nelle memorie, che si sarebbe dovuto applicare il cumulo giuridico previsto dall’art. 12 del D.Lgs. 472/1997. La questione era stata anche riproposta in appello. Pertanto, sostiene che la CTR abbia errato nel non pronunciarsi sul punto, violando l’art. 112 c.p.c., e che l’applicazione di sanzioni identiche per ogni annualità (160%) costituisca una chiara violazione del principio del cumulo giuridico.
Con il sesto motivo di ricorso, si lamenta la v iolazione dell’art. 12 del D.Lgs. 472/1997 in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c..
L’applicazione della stessa sanzione del 160% in ciascun avviso (pari a € 4.079,64) contrasterebbe con l’art. 12 del D.Lgs. 472/97, che impone il cumulo giuridico in caso di violazioni pluriennali. Non
trattandosi di domanda nuova, la stessa integrerebbe una violazione di legge.
I motivi nn. 1, 2 e 6 possono essere trattati congiuntamente, in quanto strettamente connessi.
Le censure sono infondate.
5.1. Nel ricorso introduttivo di primo grado (pag. 1 in fondo e pag. 2 riga 7 e 8) il tema delle sanzioni viene liquidato con la semplice affermazione ‘In via pregiudiziale occorre lamentare: (…) il non corretto computo delle sanzioni comminate’.
5.2. Tale locuzione non è certamente idonea a costituire motivo di ricorso in grado di giustificare la proposizione della doglianza indicata al motivo n. 2 del ricorso per cassazione (così come anche al successivo n. 6), in quanto del tutto generica e priva, sostanzialmente, di contenuto.
5.3. Corretta è dunque la statuizione del giudice del gravame.
5.4. Si tratta difatti di frase apodittica e di stile, in quanto la locuzione ‘non corretto computo delle sanzioni’ pu ò comprendere diversi aspetti, quali, ad esempio la quantificazione, la mancata applicazione di cumulo o la percentuale applicata , l’elemento soggettivo.
In sostanza, la questione era da considerare -come correttamente avvenuto -in effetti inammissibile rispetto alla genericità del motivo originario.
5.5. I motivi nn. 1, 2 e 6 sono dunque da rigettare.
Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta la violazione dell’art. 7 della legge 27 luglio 2000 n. 212, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c..
Il ricorrente contesta la decisione della CTR che aveva ritenuto sufficientemente motivati gli avvisi di accertamento, pur senza l’allegazione di provvedimenti normativi o regolamentari. Secondo il contribuente, tale posizione è errata, poiché la legge impone che, in
caso di motivazione per relationem , gli atti richiamati debbano essere allegati. In particolare, per i tributi locali, è obbligatorio includere le delibere di approvazione delle tariffe, altrimenti il contribuente non può verificare la correttezza dell’importo richiesto.
6.1. La censura è priva di fondamento.
6.2. La stessa giurisprudenza citata dal ricorrente (Cass. n. 20535/10) ha affermato che l’onere di allegazione non sussiste laddove gli atti siano conoscibili dal ricorrente. In ogni caso è principio pacifico che ‘ In tema di motivazione “per relationem” degli atti d’imposizione tributaria, l’art. 7, comma 1, dello Statuto del contribuente, nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’amministrazione finanziaria ogni documento da esso richiamato in motivazione, si riferisce esclusivamente agli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza ‘ (Cass.n. 29968/19; n. 867/25; n. 6409/25 ed innumerevoli altre).
6.3. Nel caso di specie, le tariffe in questione assumono la natura di atto pubblico. In quanto tali, esse sono soggette a un regime di pubblicità legale e quindi di conoscibilità generale, che ne consente l’accesso da parte di chiunque vi abbia interesse. Ne consegue che il ricorrente non può legittimamente invocare una condizione di ignoranza o di impossibilità di conoscenza, dovuta alla mancata allegazione, giacché, con l’ordinaria diligenza che è ragionevolmente esigibile, avrebbe potuto e dovuto acquisirne consapevolezza. Tale onere di diligenza, infatti, costituisce presupposto minimo richiesto a chi intenda far valere diritti o pretese innanzi all’autorità giudiziaria, impedendo che la mancata conoscenza di atti pubblicamente ex facto disponibili si traduca in una causa di giustificazione.
6.4. La censura va quindi respinta.
Con il quarto motivo di ricorso, si deduce la v iolazione dell’art.3 comma 87 della legge 549/95, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.: la firma autografa può essere sostituita dall’indicazione a
stampa del responsabile, ma affinché ciò sia valido, il nominativo deve risultare da un apposito provvedimento dirigenziale. Tale provvedimento è necessario per permettere al cittadino di verificare l’effettiva responsabilità del soggetto indicato.
7.1. La censura va disattesa.
7.2. La disposizione invocata (tra l’altro erroneamente indicata, venendo in rilievo l’art. 1 comma 87 e non l’art. 3 comma 87 cit.) si riferisce alla sola ipotesi in cui il potere amministrativo venga esercitato direttamente dall’amministrazione, e non al caso in cui il servizio sia affidato a concessionario esterno, posto che in tale ipotesi un funzionario designato dall’amministrazi one non potrebbe mai risultare quale firmatario dell’atto.
7.3. Il motivo va quindi dichiarato inammissibile perché si riferisce a diversa fattispecie, essendo nel caso in esame presente un concessionario alla cui disciplina legale e statutaria di rappresentanza doveva farsi riferimento.
Con il quinto motivo di ricorso, si contesta la vi olazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.
8.1. Il contribuente lamenta l’erronea inclusione dell’immobile di INDIRIZZO nella categoria tariffaria D1 (per studi professionali) per gli anni dal 2009 al 2011. Sostiene che l’utilizzo promiscuo (come studio professionale e abitazione), sia avvenuto solo a partire dal 2012.
Ne deduce la violazione dell’articolo 2697 c.c., che pone l’onere della prova a carico dell’amministrazione accertatrice per dimostrare la fondatezza della pretesa tributaria.
8.2. Anche tale censura non può essere accolta.
8.3. Il principio dell’onere della prova positivizzato nell’art. 2697 c.c., applicabile anche al processo tributario, prescinde dal grado di intrinseca attendibilità delle affermazioni che una parte faccia a suo favore, cosicché, per effetto della struttura dialettica del giudizio, che
pone le parti in identica posizione, occorre necessariamente che la verifica dei fatti posti a fondamento della domanda (o delle eccezioni) passi attraverso il vaglio di elementi diversi dalla mera affermazione che di essi faccia la parte a proprio vantaggio (Cass. 06/10/2022, n. 29063 (Rv. 666094 – 01)).
8.4. Nel caso di specie a fronte dell’accertamento dell’amministrazione, l’onere della prova -valutandosi in termini di eccezione l’argomento insito nell’illegittimità del dato catastale in conseguenza di una asserita diversa destinazione dell’immobile a partire da una certa data -gravava sul contribuente.
Ne consegue che non sussiste la dedotta violazione di legge.
8.5. Il motivo va rigettato.
Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso va complessivamente rigettato.
Nulla sulle spese, stante la mancata costituzione della parte intimata.
In conseguenza dell’esito del giudizio ricorrono i requisiti processuali per dichiarare la sussistenza dei presupposti per il pagamento di una somma pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dov uto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 10/09/2025 .
Il Presidente
NOME COGNOME