Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18378 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18378 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: LIBERATI NOME
Data pubblicazione: 06/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22597/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO -ricorrente- contro
COGNOME RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dal l’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonché
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dal l’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA di II GRADO della LOMBARDIA n. 1680/2023 depositata il 11/05/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto del 21/12/2017, registrato presso l’Ufficio di M ilano 2 il 28/12/2017 al n. 65516 serie 1T, la società RAGIONE_SOCIALE con sede in Milano (successivamente denominata RAGIONE_SOCIALE, ha ceduto un ramo della propria azienda alla società RAGIONE_SOCIALE
In data 31/10/2019 l’Agenzia delle Entrate ha notificato alla RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE ed alla cessionaria RAGIONE_SOCIALE l’avviso di rettifica e liquidazione Atto n. 2017 1T 065516 000, avente ad oggetto la verifica dei valori dichiarati per i beni e i diritti indicati nel suindicato atto di cessione di ramo d’azienda, con il quale rettificava in aumento il valore del l’azienda venduta nell’ammontare di € 4.075.476,00 e richiedeva il pagamento di maggiori imposte di registro e interessi per € 125.412,44, oltre sanzioni pari a € 117.841,53, e così per totali € 243.253,97.
Nello specifico, l’Agenzia ha rettificato il valore dichiarato in atto dalle parti utilizzando un metodo di valutazione di tipo reddituale ‘a due fasi’, a tal fine attribuendo all’azienda ceduta una presunta redditività di aziende operanti nello stesso settore merceologico e contesto economico-sociale e dei dati risultanti dal programma operativo ‘RADAR’, un software in uso all’Ufficio mediante il quale è possibile individuare il reddito medio conseguito dalle imprese svolgenti la medesima attività economica della società cedente ed omogenee tra loro sulla base di altri indicatori, quali i ricavi complessivi dei soggetti selezionati.
Le due società hanno presentato entrambe istanza di attivazione del procedimento di accertamento con adesione e l’Agenzia comunicava di ritenere valido il valore accertato.
I provvedimenti sono stati dunque impugnati dalle società, e la RAGIONE_SOCIALE Milano ha pronunciato la sentenza n. 2406/3/2021 depositata il 31/05/2021) con la quale ha respinto i ricorsi.
Con separati appelli, ambedue le società (la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE) hanno impugnato la sentenza di primo grado, deducendo: (i) la nullità della stessa per motivazione apparente, essendo impossibile comprendere le ragioni per le quali la stima dell’Agenzia in merito al valore del ramo aziendale era stata ritenuta congrua e motivata; (ii) la nullità della sentenza per mancato esame della questione pregiudiziale rappresentata dalla nullità dell’atto impositivo per carenza assoluta di motivazione in violazione dell’art. 52, co. 2 bis del d.p.r. 26/04/1986, n. 131; (iii) l’erroneità della sentenza per palese errore di fatto commesso dalla C.T.P. di Milano, che avrebbe confuso la relazione di stima ex art. 2645 c.c., redatta in occasione del conferimento del ramo d’azienda da parte di RAGIONE_SOCIALE nella RAGIONE_SOCIALE successivo all’atto di cessione del 21/12/2017, con la relazione di parte per la stima del valore economico del ramo aziendale redatta da RAGIONE_SOCIALE il 23/03/2021; (iv) nullità della sentenza per omesso esame delle specifiche censure rivolte dalla contribuente alla valutazione operata dall’Agenzia; (v) carenza di motivazione ed erroneità della sentenza impugnata per non aver ammesso la C.T.U. richiesta.
In data 05/10/2022, con atto definito di intervento volontario ex art. 105 c.p.c. la società RAGIONE_SOCIALE ha comunicato alla C.G.T. di secondo grado della Lombardia di esser subentrata nella posizione giuridica della società RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE.
La C.G.T. di secondo grado della Lombardia, Sez. n. 6, previa riunione degli appelli separatamente proposti, ha pronunciato la sentenza n. 1680/23, dep. il 11/05/2023, con cui, in totale accoglimento degli stessi, riformava la sentenza di prime cure.
L’Agenzia delle Entrate ha impugnato avanti la Corte di Cassazione la sentenza di gravame, affidandosi a tre motivi di censura.
Si sono costituite ambedue le società contribuenti, come indentificate in epigrafe, con deposito di controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate deduce la nullità della sentenza per motivazione apparente in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e 118 disp. att. c.p.c..
1.1. La CTP, con motivazione del tutto apparente ed apodittica, avrebbe ritenuto condivisibile il criterio di calcolo prospettato dalle appellanti sulla sola scorta di una perizia di parte (senza indicazione alcuna degli elementi fattuali fondanti tale convincimento), sul presupposto della non intellegibilità della rideterminazione effettuata dall’Agenzia, senza disporre una c onsulenza tecnica d’ufficio.
A fronte dell’applicazione di un complesso calcolo rideterminativo, estremamente dettagliato nella motivazione dell’avviso di rettifica e liquidazione, i giudici di seconde cure si sarebbero limitati a ritenere come lo stesso non fosse intellegibile per carenza di ‘ non meglio precisata documentazione ‘ e, pur affermando che non esiste un metodo univoco per la valutazione delle aziende, non avrebbero effettuato l’analisi del metodo adoperato dall’Ufficio e il raffronto con quello proposto dai contribuenti, lamentando una presunta e non meglio precisata scarsa comprensibilità dell’atto .
1.2. Le società controricorrenti hanno dedotto l’inammissibilità della censura, in quanto confezionata con la tecnica del copia incolla di altro atto, per ben 7 pagine del ricorso (da pag. 12 a pag. 18) e, sotto altro profilo, perché estranea alla ratio decidendi della decisione impugnata, che si fonda non tanto su una puntuale critica del metodo valutativo reddituale ‘duale’ utilizzato dall’Agenzia nell’accertamento del preteso maggior valore del ramo aziendale ceduto, quanto sul fatto
che tale criterio sia risultato, in concreto, oscuro e non comprensibile (al contribuente ed agli stessi Giudici tributari) in ragione della mancata produzione degli estremi e dei dati delle imprese asseritamente comparabili.
1.3. Le eccezioni di parte controricorrente sono infondate.
La tecnica utilizzata dal l’Agenzia ricorrente non ha inciso sul tenore delle argomentazioni in maniera tale da renderle incomprensibili perché costituite da mera riproduzione di atti, ma si inserisce, al contrario, in un contesto critico, in cui la riproduzione (parziale) degli atti costituisce parte integrante dell’apparato argomentativo .
Quanto al secondo profilo, la ratio è diversa, avendo il giudice di appello fatto leva -con valutazione di natura fattuale – sulla non intellegibilità dei calcoli.
1.4. Ciò chiarito, deve ritenersi che il motivo di ricorso dell’Agenzia sia infondato nel merito. In sostanza, non è eccepita la correttezza della motivazione del provvedimento, ma la mancanza di motivazione della sentenza che, invece, si ritiene adeguatamente fornita.
Il giudice del gravame afferma testualmente che ‘ In altri termini, i calcoli operati dall’Ufficio non possono essere in alcun modo verificati non essendo stati allegati né all’atto impositivo notificato alle contribuenti, né in sede di contenzioso giudiziale, i necessari elementi di prova della fondatezza della comparazione, costituenti dati che per relationem integravano la motivazione alla base dell’avviso di liquidazione e rettifica, il quale, pertanto, non risultando sufficientemente intelligibile, deve essere annullato’.
1.5. Viene dunque messa in discussione la intellegibilità del provvedimento sotto il profilo motivatorio, e non viene in discussione una ‘non meglio precisata documentazione’, come dedotto in ricorso, ma una specifica allegazione inerente i criteri di calcolo, che, stante la complessità, risultavano inintellegibili.
La stessa circostanza che la difesa erariale affermi (con riferimento al successivo motivo di ricorso n. 2) di aver chiesto in giudizio l’espletamento di una CTU per verificare la bontà del calcolo (affermazione peraltro contestata da controparte), conferma la ammissione della non chiara né univoca ricostruibilità della pretesa stessa , per come contenuta nell’atto impugnato. Analoghe conclusioni valgono per quanto affermato nel terzo motivo di ricorso in merito alla confessata richiesta di poter fornire documenti integrativi, che il giudice del gravame non avrebbe ammesso.
1.6. Per come prospettata la censura, la stessa non può dunque essere accolta.
Con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente contesta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 32 d.P.R. 600/1973, 7 D.Lgs. 546/1992, 51 e 52 d.P.R. 131/1986 nonché artt. 2697, 2727 e 2729 c.c. e art. 7 L. 212/2000. Limitandosi a recepire in toto le risultanze della perizia di parte, sul presupposto della dichiarata non intellegibilità dell’accertamento dell’Agenzia, senza disporre all’uopo consulenza tecnica d’ufficio ex art. 7 D.Lgs. 546/92, la Corte di gravame avrebbe sostanzialmente invertito l’ onus probandi .
2.1. Tale censura è infondata.
2.2. La stessa parte ricorrente deduce che il giudice di appello avrebbe recepito le risultanze della perizia di parte. Tale assunto è logicamente inconciliabile con la inversione dell’onere probatorio, atteso che, per presupposto, si assume che le prove siano state valutate e sia stata data prevalenza all’una (perizia di parte) piuttosto che alle argomentazioni avverse.
Ciò ancor prima di considerare che, nel processo tributario, l’Agenzia delle Entrate è attore in senso sostanziale, cui spetta di dare piena prova della sussistenza dell’obbligazione tributaria nonché degli
elementi in base ai quali è stata operata la quantificazione della pretesa tributaria.
2.3. La censura è dunque infondata.
Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta la violazione del principio del contraddittorio ai sensi degli artt. 101, 112 e 210 c.p.c. in relazione all’articolo 360, comma 1 n. 4, c.p.c., con conseguente error in procedendo e nullità della sentenza, affetta da omissione di pronuncia sul merito della pretesa tributaria.
3.1. I giudici della Corte di Giustizia Tributaria di II Grado avrebbero basato il loro convincimento sulla mancata produzione di alcuni dati che consideravano essenziali per valutare il metodo adottato dall’Ufficio, mentre l’Agenzia delle Entrate, sia in primo che in secondo grado, si era dichiarata disponibile a fornire qualsiasi elemento il giudice ritenesse necessario ai fini della decisione, invocando l’art. 210 c.p.c., con conseguente error in procedendo che si riflette sulla validità della decisione.
3.2. Il giudice del gravame ha motivato la propria decisione sulla non comprensibilità del provvedimento, sicché la richiesta di produrre documentazione integrativa, evidentemente assente in sede di provvedimentale (ove avrebbe potuto essere allegata), da un lato conferma la bontà delle conclusioni della Corte di gravame in merito alla inadeguatezza motivazionale dell’avviso di liquidazione, dall’altro tende ad introdurre come error in procedendo un’inammissibile pretesa di integrazione motivatoria in sede giudiziaria.
In questo senso la giurisprudenza (Cass. 7/04/2022, n. 11284 (Rv. 664342 – 01)) ha affermato che in tema di imposta di registro (nella fattispecie, su atti giudiziari ma con principio di valenza generale), l’avviso di liquidazione deve contenere ab origine la chiara esposizione delle ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda, con un grado di determinatezza ed intellegibilità che permetta al contribuente l’esercizio non difficoltoso del proprio diritto di difesa, di talché
eventuali lacune non possono essere colmate dall’amministrazione finanziaria con una motivazione postuma, resa nel corso del giudizio di impugnazione.
3.3. La censura non può dunque essere accolta.
In conclusione il ricorso è infondato e va respinto.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.
Non vi è luogo a pronuncia sul raddoppio del contributo unificato, perché il provvedimento con cui il giudice dell’impugnazione disponga, a carico della parte che l’abbia proposta, l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del comma 1 bis del medesimo art. 13, non può aver luogo nei confronti delle Amministrazioni dello Stato, istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass., Sez. U., 25 novembre 2013, n. 26280; Cass., 14 marzo 2014, n. 5955).
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso.
Condanna l’amministrazione ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.800,00 per compensi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 13/05/2025 .