Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 662 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 662 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6369/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , con sede in Solofra (AV), INDIRIZZO, NOME COGNOME e COGNOME, tutti rappresentati e difesi dall’Avvocato NOME COGNOME elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO
-ricorrenti –
Contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato.
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. CAMPANIA -SEZIONE DISTACCATA DI SALERNO n. 7614/12/2016, depositata in data 29 agosto 2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 dicembre 2024 dal Consigliere dott.ssa NOME COGNOME
Avv. Acc. IRPEF, IRES, IVA e IRAP 2007
Rilevato che:
RAGIONE_SOCIALE D’COGNOME NOME e NOME COGNOME, questi ultimi nella qualità di soci della predetta (considerata di ristretta base sociale), proponevano distinti ricorsi avverso gli avvisi di accertamento con i quali l’Agenzia delle Entrate di Avellino aveva accertato maggiori ricavi nei confronti della società e costi non deducibili relativi a compensi agli amministratori per l’anno di imposta 2007. Con tali avvisi l’Ufficio recuperava IVA, IRAP ed IRES, nonché, nei confronti dei soci, l’IRPEF conseguente agli addebiti fatti nei confronti della società; si costituiva anche l’Ufficio, chiedendo la conferma del proprio operato.
La RAGIONE_SOCIALE di Avellino, previa riunione dei ricorsi, con sentenza n. 5/03/2013, depositata il 2 marzo 2013, li accoglieva.
Contro tale sentenza proponeva appello l’Agenzia delle Entrate dinanzi la C.t.r. della Campania; si costituivano anche i contribuenti, chiedendo conferma della sentenza impugnata.
Con sentenza n. 7614/12/2016, depositata in data 29 agosto 2016, la C.t.r. adita accoglieva parzialmente il gravame dell’Ufficio, ritenendo fondato l’originario ricorso solo con riguardo alla determinazione del numero di ‘pelli’ acquistate, con conseguente annullamento degli atti impugnati nella parte in cui avevano recepito i suddetti dati erronei contenuti nel pvc posto a base degli atti medesimi.
Avverso la sentenza della C.t.r. della Campania, i contribuenti hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi e l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 17 dicembre 2024.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Vigente formulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.; Cass., SS.UU., 22/09/2014 n. 19881, «contrasto irriducibile fra
affermazioni inconciliabili» e radicalità del vizio motivazionale; nullità della sentenza per difetto del requisito di cui all’art. 132, n. 4), cod. proc. civ.» i contribuenti lamentano con la censura di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio la parte della sentenza che, dapprima, ritiene infondato il gravame dell’Ufficio con riferimento al mancato difetto di motivazione degli avvisi di accertamento, e che successivamente afferma in modo contraddittorio che gli stessi contengono esplicazioni sufficienti ed idonee a supportare la pretesa impositiva.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, cosi rubricato: «Omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti di cui all’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ.» i contribuenti lamentano l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha mancato di valutare i fatti storici costituiti dall’errore di calcolo e dal correlato errore di trasposizione commessi dai verificatori.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
2.1. In base all’art. 366, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata; ciò comporta l’esatta individuazione del capo di pronuncia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione, restando estranea al giudizio di cassazione qualsiasi doglianza non riguardante il decisum della sentenza gravata. (Cass. 21/07/2020, n. 15517). Infatti, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si traducano in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle
ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un «non motivo», è espressamente sanzionata con l’inammissibilità (Cass. 20/10/2016, n. 21296).
2.2. Questa Corte ha già avuto modo di chiarire che il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa, condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 cod. proc. civ. (Cass. 14/05/2018, n. 11603). Si è, altresì, precisato che l’esposizione cumulativa delle questioni non è consentita ove rimetta al giudice di legittimità il compito dì isolare le singole censure teoricamente proponibili; viceversa, la formulazione del motivo deve permettere di cogliere con chiarezza le doglianze cumulate, sicché queste devono essere prospettate in maniera tale da consentirne l’esame separato, esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi (Cass. 23/10/2018, n. 26790).
2.3. Nel motivo in disamina, la parte ha lamentato vizi di motivazione della sentenza impugnata, ma ha obliterato l’esaustiva indicazione delle circostanze di fatto che potevano condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione, laddove la C.t.r. ha argomentato – con una motivazione della quale è agevole scorgere l’iter logico -giuridico sottostante – come le motivazioni degli avvisi di accertamento contenevano le esplicazioni sufficienti
ed idonee a sorreggere la pretesa impositiva e a fornire ai contribuenti gli elementi necessari per comprendere quanto loro contestato.
2.4. Il motivo è inammissibile anche perché il vizio di cui all’art. 132 n. 4 cod. proc. civ. può essere censurato in sede di legittimità solo nel caso in cui la motivazione è stata totalmente mancante o meramente apparente ovvero manifestatamente contraddittoria ed incomprensibile (Cass. 28/04/2022, n. 13356), mentre la C.t.r. ha dato atto delle ragioni per cui ha ritenuto valide le motivazioni dell’avviso di accertamento.
Invero, il giudizio ha ad oggetto l’impugnazione dell’avviso di accertamento del maggior reddito con cui l’Ufficio, sulla base di un PVC, ha rideterminato il reddito d’impresa per l’anno d’imposta 2007, disconoscendo costi deducibili e rideterminando i ricavi aziendali.
In proposito, l’art. 12, co. 7, legge n. 212/2000 prescrive che ‘nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo il contribuente può comunicare entro 60 giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. l’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza’. Dalla lettura della norma si evince chiaramente che la nullità dell’avviso di accertamento è collegata solo caso di notifica dello stesso prima che trascorrano i 60 giorni previsti, se non si motiva l’urgenza. la mancata espressa valutazione delle osservazioni, presentate dal contribuente dopo il rilascio della copia del processo verbale di constatazione delle operazioni di verifica non inficia la validità dell’atto di accertamento per difetto di motivazione.
2.5. Questa Corte (Cass. 21/02/2023, n. 5425) è granitica nel ritenere che è valido l’avviso di accertamento che non menzioni le
osservazioni del contribuente di cui all’art. 12 della legge 27 luglio 2000, n. 212 atteso che, da un lato, la nullità consegue solo alle irregolarità per le quali sia espressamente prevista dalla legge oppure da cui derivi una lesione di specifici diritti o garanzie tale da impedire la produzione di ogni effetto e, dall’altro lato, l’Amministrazione ha l’obbligo di valutare tali osservazioni, ma non di esplicitare detta valutazione nell’atto impositivo (Cass. 31/03/2017, n. 8378).
La C.t.r. ha fatto buon governo dei principi normativi e giurisprudenziali illustrati e l’espressione, nella motivazione, ‘infondato’ (sia pur corrett a a penna) è un mero refuso, stante che il resto della motivazione (e con essa il dispositivo) evidenzia inequivocabilmente che i giudici di appello intendevano accogliere, ed infatti hanno accolto motivando, parzialmente l’appello.
3. Il secondo motivo, relativo alla denunciata omessa valutazione dei fatti storici costituiti dall’errore di calcolo e dal correlato errore di trasposizione commessi dai verificatori, è inammissibile.
Dopo la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134, l’omessa pronunzia continua a sostanziarsi nella totale carenza di considerazione della domanda e dell’eccezione sottoposta all’esame del giudicante, il quale manchi completamente perfino di adottare un qualsiasi provvedimento, quand’anche solo implicito, di accoglimento o di rigetto, invece indispensabile alla soluzione del caso concreto; al contrario, il vizio motivazionale previsto dal n. 5) dell’art. 360 cod. proc. civ. presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia pur sempre stato da parte del giudice di merito, ma che esso sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico, oppure che si sia tradotto nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni
inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa, invece, qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. 08/10/2014, n. 21257).
3.1. Nella fattispecie in esame, i giudici di appello, invece, hanno dato conto di come: il PVC su cui si fondavano gli avvisi di accertamento conteneva l’elenco analitico di tutte le fatture esaminate dagli accertatori ai fini della ricostruzione del reale valore dei ricavi realizzati; la rideterminazione di quanto effettivamente ricavato era stata effettuata dall’agenzia sulla base delle stesse affermazioni sviluppate durante gli incontri svoltisi, prima dell’emissione degli avvisi, con il legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE; il dato ricavato e relativo al criterio di quantificazione (1 pelle=6 piedi quadri), indicato come dato medio dal legale rappresentante, veniva posto a base della ricostruzione operata dall’ufficio accertatore; successivamente, la C.t.r. procedeva a riconoscere la fondatezza delle argomentazioni svolte sin dal primo grado di giudizio dalla RAGIONE_SOCIALE con riferimento alla errata quantità di pelli indicata nella fattura n. 11 ovvero relativo ai dati contenuti in allegato A al pvc nella parte concernente gli acquisti sotto l’aspetto dell’errato riporto, nella colonna quantità, di due unità di misura diverse con conseguente erroneo riporto dei totali e riduzione della quantità totale degli acquisti. Di poi, i ricavi omessi venivano, dagli agenti verificatori, determinati sulla base delle fatture riscontrate ed applicando alle stesse le percentuali di ricarico e di sfrido fornite dal contribuente in sede di contraddittorio. Non risulta dunque l’omesso esame di alcun fatto, inteso in senso storico-naturalistico, né è sindacabile in questa sede la valutazione dei fatti operata dal giudice di merito.
In definitiva in alcuna violazione è incorsa la C.t.r. nella redazione della sentenza impugnata.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese processuali che si liquidano in € 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis del medesimo art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma il 17 dicembre 2024.