Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24342 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24342 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6158/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliat a in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (ADS80224030587) che l a rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (DBNVTR81L23G942T)
-controricorrente-
avverso SENTENZA della COMM.TRIB.REG. della BASILICATA n. 438/2022 depositata il 09/12/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto notarile in data 3 maggio 2017, NOME COGNOME COGNOME alienava a NOME COGNOME che acquistava per il figlio NOME COGNOME, un terreno edificabile di mq. 22.146 sito in Potenza, alla località INDIRIZZO Calabrese, per il prezzo complessivo di € 95.000,00.
L’Ufficio delle entrate di Potenza, ai sensi dell’art. 52 d.P.R. n. 131/86, rettificava tale valore in € 1.328.460,00, notificando al sig. COGNOME in data 23/5/2019, l’avviso di rettifica e liquidazione n. NUMERO_DOCUMENTO
In particolare, l’Ufficio riteneva il valore dichiarato di € 4.29/mq al di sotto del valore venale anche sulla base del confronto con i valori stabiliti dal Comune di Potenza ai fini IMU con delibera del 12/5/2016 per terreni ricadenti nelle stesse zone, applicando un correttivo onde tener conto delle caratteristiche di mancata urbanizzazione, dei vincoli di rispetto fluviale e della estesa superficie del terreno alienato.
A seguito di impugnazione da parte del contribuente, i giudici di primo grado annullavano l’atto impositivo e la relativa pronunzia veniva confermata dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Basilicata con la sentenza n. 438/02/2022 in data 9 dicembre 2022, non notificata.
L’Agenzia delle entrate propone, sulla base di quattro motivi, ricorso per la cassazione avverso la suddetta sentenza, cui il contribuente resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo l’ufficio deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art.53 del d.lgs. n. 546/1992, per avere i giudici di secondo grado ritenuto il motivo d’appello formulato dall’ufficio ‘generico ed aspecifico’, senza tenere in considerazione che, in virtù del carattere devolutivo pieno
dell’appello, la riproposizione delle stesse argomentazioni avanzate in primo grado assolve l’onere di specificità dei motivi.
Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 36 n. 4 del d.lgs. n. 546/1992 e dell’art. 132 n. 4 del c.p.c., in relazione comma 1, n.4) c.p.c. lamentando che i giudici di appello avevano adottato una motivazione meramente apparente, non enucleando alcuna specifica ratio decidendi , in ordine alle censure sollevate dall’Amministrazione finanziaria, ma limitandosi a riprodurre il contenuto decisorio della sentenza di primo grado e, di fatto, omettendo di pronunciarsi sulle questioni specificamente demandate da parte appellante.
Con il terzo motivo rileva, ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 4, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., con riferimento all’art. 2909 c.c., sotto il profilo della non corretta applicazione delle norme riguardanti l’istruzione probatoria, non avendo, erroneamente, i giudici di appello condiviso la valenza ultraattiva attribuita dall’Uffi cio al giudicato c.d. esterno rappresentato dalla sentenza pronunziata nel separato contenzioso sorto tra l’Ufficio e la parte venditr ice della medesima compravendita, e conclusosi con la sentenza della CTR della Basilicata n. 311/01/2021, totalmente favorevole alle ragioni dell’Ufficio.
Con il quarto motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 52, comma 2 -bis , del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, per avere i giudici territoriali ritenuto l’atto privo di adeguata motivazione in relazione ai criteri di stima del bene, ritenendo che l’argomentazione dell’ufficio, secondo cui la correttezza della rettifica del valore del bene in questione traeva conferma anche dal valore attribuito al medesimo suolo in occasione della successione in forza della quale il terreno era pervenuto al soggetto alienante, rappresentava una inammissibile integrazione postuma dei presupposti posti a base dell’atto impositivo.
I primi due motivi, da esaminare congiuntamente in quanto fra lodo connessi, sono privi di fondamento.
Non è ravvisabile l’eccepita nullità della sentenza in quanto le doglianze sono state, comunque, esaminate nel merito; il riferimento alla genericità dell’atto di appello è un mero inciso (che non costituisce autonoma ratio decidendi ) e i giudici di appello si sono, comunque, pronunziati pienamente sul merito della vicenda e sulla illegittimità dell’atto impositivo sotto il profilo della determinazione del valore del bene.
Del resto, per le Sezioni Unite di questa Corte, la motivazione è solo apparente e la sentenza è nulla, allorquando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguìto dal giudice per la formazione del proprio convincimento, cioè tali da lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U. 19/06/2018, n. 16159 , che menziona Cass. Sez. U. 03/11/2016, n. 22232; conf.: Cass. Sez. U. nn. 22229, 22230, 22231, del 2016. I medesimi concetti giuridici sono espressi da Cass. Sez. U. 24/03/2017, n. 766; Cass. Sez. U. 09/06/2017, n. 14430 ; Cass. Sez. U. 18/04/2018, n. 9557 ). Ancor più di recente, Cass. Sez. U. 27/12/2019, n. 34476, 18/04/2018, n. 9558; Cass. Sez. U. 31/12/2018, n. 33679) ha avuto modo di ribadire che «nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali: tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella
motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione».
Deve ritenersi che la sentenza, nel disattendere le censure relative alla legittimità dell’atto impositivo in ragione della conformità ai parametri normativi di riferimento, raggiunge ampiamente il c.d. ‘minimo costituzionale’, dovendosi, da un lato, leggere le relative statuizioni in combinato disposto con le argomentazioni della pronunzia di primo grado richiamata e, per altro verso, rilevare che tutte le questioni dedotte sono state espressamente o implicitamente disattese in forza di univoche ragioni decisorie. Occorre ribadire che il giudice del merito non deve dar conto di ogni argomento difensivo sviluppato dalla parte, essendo, invece, necessario e sufficiente, in base all’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto e di diritto posti a fondamento della sua decisione, dovendo in tal modo ritenersi disattesi, per implicito, tutti gli argomenti non espressamente esaminati, ma sub valenti rispetto alle ragioni della decisione (cfr., ex multis, Cass., Sez. VI/T, 2 febbraio 2022, n. 3108, che richiama Cass., Sez. II, 25 giugno 2020, n. 12652; Cass., Sez. I, 26 maggio 2016, n. 10937).
Anche il terzo motivo è privo di fondamento.
Va premesso che parte ricorrente, pur richiamando la violazione del disposto di cui all’art. 2909 c.c., rileva che si trattava di un ‘giudicato esterno inter alios ‘ che ‘poteva e doveva essere valutato liberamente dal Giudice’ finendo per dolersi, in sostanza, della erronea valutazione dei dati istruttori da parte del giudice di appello. Sul piano dei principi occorre rilevare che questa Corte ha ribadito ed ulteriormente precisato che in tema di ricorso per cassazione, può essere dedotta la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. qualora il giudice, in contraddizione con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove inesistenti e, cioè, sia
quando la motivazione si basi su mezzi di prova mai acquisiti al giudizio, sia quando da una fonte di prova sia stata tratta un’informazione che è impossibile ricondurre a tale mezzo, ipotesi questa diversa dall’errore nella valutazione dei mezzi di prova – non censurabile in sede di legittimità – che attiene, invece, alla selezione da parte del giudice di merito di una specifica informazione tra quelle astrattamente ricavabili dal mezzo assunto. Il tutto, peraltro, a condizione che il ricorrente assolva al duplice onere di prospettare l’assoluta impossibilità logica di ricavare dagli elementi probatori acquisiti i contenuti informativi individuati dal giudice e di specificare come la sottrazione al giudizio di detti contenuti avrebbe condotto a una decisione diversa, non già in termini di mera probabilità, bensì di assoluta certezza (cfr. Cass, Sez. III, 26 aprile 2022, n. 12971).
Ed ancora, sempre in relazione alla previsione dell’art. 115 cod. proc. civ., è stato chiarito che «per dedurre la sua violazione ‘è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma’, ossia che abbia ‘giudicato o contraddicendo espressamente la regola, dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio’, mentre ‘detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre», trattandosi di attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (v. Cass. n. 11892 del 10/06/2016)’» (così, Cass., Sez. T., 4 giugno 2019, n. 15195 e, nello stesso senso, Cass., Sez. II, 7 gennaio 2019, n. 1229 e Cass., Sez. T, 23 settembre 2019, n. 27983, nonché Cass., Sez. U. civ., 30 settembre 2020, n. 20867, Cass., Sez. VI-I, 23 novembre 2022, n. 34472 ed ancora Cass., Sez. III, 22 marzo 2022, n. 9225,
che richiama Cass., Sez. Un., 5 agosto 2016, n. 16598 e Cass., Sez. VIII, 23 ottobre 2018, n. 26769 del 2018, nonché Cass., Sez. VI/T, 25 gennaio 2022, n. 2242, che richiama pure Cass., Sez. 6^-5, 19 ottobre 2021, n. 28894; Cass., Sez. 6^-5, 28 ottobre 2021, n. 30535).
6.1. Ebbene, nella fattispecie in esame, deve riconoscersi che il Giudice regionale non ha violato le predette disposizioni, in quanto nel pervenire alle proprie conclusioni ha operato, nell’ambito dei poteri di propria competenza, una compiuta valutazione dei complessivi dati istruttori, ritenendo non decisive le statuizioni del precedente richiamato.
Il quarto motivo, relativo alla dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 52, comma 2 bis, del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, appare, per contro, fondato.
Deve rilevarsi che secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte in tema di accertamento tributario, «l’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento di maggior valore mira a delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa ed a consentire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa. Al conseguimento di tali finalità è necessario e sufficiente, pertanto, che l’avviso enunci il criterio astratto in base al quale è stato rilevato il maggior valore, con le specificazioni che si rendano in concreto necessarie per il raggiungimento di detti obiettivi, essendo riservato alla eventuale sede contenziosa l’onere dell’Ufficio di provare nel contraddittorio con il contribuente (e sempre che l’impugnazione giudiziale contenga specifiche e dettagliate allegazioni al riguardo) gli elementi di fatto giustificativi della propria pretesa nel quadro del parametro prescelto e la facoltà del contribuente di dimostrare l’infondatezza della stessa anche in base a criteri non utilizzati per l’accertamento» ( vedi Cass. n. 14426/2017; n. 565/2017; n. 11560/2016; n. 25559/2014; n.
25153/2013; n. 14027/2012 tutte richiamate da Cass. civ. n° 26482/20).
Dal momento che l’avviso di rettifica e liquidazione indicava in modo specifico che la rettifica dell’Ufficio era avvenuta ‘con il criterio del valore venale in comune commercio, sulla scorta della Delibera comunale dell’anno 2016 ai fini dell’imposta IMU ed in considerazione delle percentuali di riduzione …’ diversamente da quanto affermato dalla CGT-2 -la quale ha ritenuto fondata la censura di una postuma integrazione o modifica in sede processuale della motivazione dell’atto impositivo -l’argomentazio ne difensiva fondata sul diverso e ben più cospicuo valore attributo ai suoli già nell’atto di provenienza al venditore dei medesimi non va intesa come fonte di integrazione dell’apparato motivazionale della pretesa tributaria (il cui criterio informatore era già stato esaustivamente esplicitato nell’avviso di rettifica impugnato), bensì come elemento ulteriore reso in giudizio a sostegno dell’incongruenza e della consequenziale inattendibilità del valore dichiarato nel rogito dalle parti, in quanto irragionevolmente e di gran lunga inferiore a quello emerso anni prima della compravendita in occasione dell’acquisto mortis causa dei suoli da parte del venditore.
Da ciò discende l’erroneità della decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto che l’ufficio avesse illegittimamente integrato e modificato le argomentazioni poste a sostegno dell’atto impositivo nel corso del giudizio, dovendo, per contro, i giudici di merito valutare la correttezza del criterio di stima adottato alla luce delle complessive argomentazioni di entrambe le parti, ivi comprese quelle fornite dall’Ufficio e sopra richiamate.
8. In conclusione, in accoglimento del quarto motivo di ricorso, rigettati i primi tre motivi, la sentenza va cassata, con rinvio alla CGT-2 della Basilicata la quale dovrà rivalutare la vicenda in esame sulla scorta dei principi di diritto sopra menzionati, e procedere,
anche, alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, rigetta gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Basilicata, in diversa composizione, cui demanda anche la regolamentazione delle spese di questo grado di giudizio.
Così deciso nella camera di consiglio della Sezione Tributaria, in data