Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15994 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15994 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/06/2025
Oggetto: Ici
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2829/2022 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata dall’Avv . NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME ;
-ricorrente –
Contro
Comune di Palosco, in persona del sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME ;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 2249/2021 depositata il 15 giugno 2021;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 31 gennaio 2025 della Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La controversia ha ad oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento relativo all’I mu dovuta per l’anno 201 5 (n. 601/17) con cui era stato rettificato, in aumento, il valore venale di alcune aree edificabili, emesso dal Comune di Palosco (d’ora in poi controricorrente) nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, ( d’ora in poi ricorrente).
La CTP ha rigettato il ricorso e la CTR ha confermato la decisione di primo grado sulla base delle seguenti ragioni:
-le delibere comunali non devono essere allegate agli avvisi di accertamento, in quanto si presumono conoscibili, essendo soggette a pubblicità legale;
-le delibere per cui è causa non sono state impugnate e non sono stati offerti elementi fondati per una loro disapplicazione;
-la perizia di parte è sommaria e non offre elementi concreti per disattendere il valore determinato dal comune;
-con riferimento all’immobile della società , non vi è prova di una diminuzione del valore, ma, anzi, considerata la loro ubicazione potrebbe esservi un aumento di valore che, comunque, il comune non ha preso in considerazione.
La ricorrente propone ricorso, fondato su quattro motivi e deposita memoria, il comune controricorrente si è costituito proponendo controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente prospetta, in relazione all’art. 360, nn. 4 e 5, c.p.c., la nullità della sentenza per erroneità e carenza di motivazione con riguardo alla violazione o falsa applicazione dell’art. 52 del d.lgs. n. 446 del 1997. Denuncia che
la sentenza impugnata non ha risposto alla questione sollevata con il ricorso introduttivo circa l’assenza di motivazione nelle deliberazioni comunali sui i criteri utilizzati per giungere alla determinazione dei valori delle aree oggetto del giudizio. La ricorrente sostiene che, secondo il giudice di secondo grado, i valori determinati dall’amministrazione comunale debbano essere necessariamente applicati e che, stante la mancata impugnazione di tali provvedimenti, la ricorrente non abbia alcun potere di contestare l’ammontare determinato con l’avviso di accertamento.
L’ulteriore carenza di motivazione viene individuata nella mancata risposta alle censure sollevate dalla ricorrente sullo stimato considerevole aumento di valore delle aree in oggetto (da 50 a 125 € al mq).
Con il secondo motivo la ricorrente prospetta, in relazione all’art. 360, nn. 4 e 5, c.p.c., la nullità della sentenza per erroneità e carenza di motivazione con riguardo alla violazione o falsa applicazione dell’art. 52 del d.lgs. n. 446 del 1997. Contesta l’erronea applicazione dei principi di diritto sottesi alla norma invocata, per avere la sentenza ritenuto dovuta la pretesa, in quanto derivante dall’applicazione della delibera e del regolamento . A tal fine aggiunge anche che l’avviso di accertamento non era motivato.
A volere prescindere da alcuni profili di inammissibilità, i primi due motivi sono infondati, per le ragioni di seguito esposte.
Il Collegio intende ribadire che in tema di Ici , l’avviso d’accertamento che fa riferimento alla delibera della giunta comunale contenente la determinazione dei valori minimi delle aree edificabili, comprensiva di quella oggetto di imposizione, deve ritenersi sufficientemente motivato in quanto richiamante
un atto di contenuto generale avente valore presuntivo e da ritenersi conosciuto (o conoscibile) dal contribuente, spettando a quest’ultimo l’onere di fornire elementi oggettivi (eventualmente anche a mezzo perizia di parte) sul minor valore dell’area edif icabile rispetto a quello accertato dall’ufficio (Cass., Sez. 6 5, n. 16620/2017, Rv. 644804 – 01).
Occorre , inoltre, richiamare l’altro consolidato principio , per cui in tema di ICI, le delibere con le quali il Consiglio comunale, ex art. 52 del d.lgs. n. 446 del 1997, determina periodicamente e per zone omogenee i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili hanno la finalità di limitare il potere di accertamento dell’ente territoriale qualora l’imposta sia versata sulla base di un valore non inferiore a quello indicato in dette delibere che, pertanto, sono fonti di presunzione analoghe al cd. Redditometro. Tali presunzioni ammettono la prova contraria, con l’ulteriore conseguenza che, se il giudice ritiene dimostrato che ad un’area edificabile non può essere attribuito il valore individuato dal Comune, può disattenderlo e procedere ad un’autonoma stima utilizzando i parametri di legge (Cass., Sez. 5, n. 17248/2019, Rv. 654691 – 01).
La pronuncia impugnata, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, non ha ritenuto che il valore determinato sulla base dei criteri indicati dalla delibera o dal regolamento comunale potesse essere confutato solo con l’impugnativa d i tali provvedimenti. Si legge, viceversa, in proposito, dopo l’affermazione per cui le delibere non devono essere allegate all’avviso di accertamento : «Tali delibere, tra cui vanno ricomprese quelle emesse dalla giunta comunale, non sono state impugnate e non sono stati offerti elementi fondati per una loro disapplicazione, sia pure incidenter tantum ».
È da smentire, dunque, la doglianza per la quale il giudice di secondo grado non ha tenuto conto del suo potere di disapplicazione. Di contro, sono state ritenute del tutto insufficienti le deduzioni di illegittimità della motivazione della delibera, ai fini della loro disapplicazione.
In punto di prova della fondatezza della pretesa impositiva si osserva, poi, che l’indicazione espressa della delibera comunale determina l’inversione dell’onere probatorio, con la conseguenza che è a carico del contribuente la prova dell’inesattezza del valore individuato dall’ente impositore.
Nella specie, comunque, la sentenza ha proceduto alla verifica della correttezza del valore come accertato dall’odierno controricorrente e ha ritenuto, aderendo alle conclusioni cui era pervenuto il giudice di primo grado, che la perizia di parte non fosse sufficiente a confutare quell’accertamento.
Sull’efficacia prob atoria della consulenza di parte si rinvia alla motivazione sugli ultimi due motivi di impugnazione.
È, in ogni caso, infondata la doglianza secondo cui la delibera del controricorrente non contiene elementi da cui comprendere la ragione dell’accertato maggior valore dell’immobile .
Dalla delibera, invece, (all. 2 fascicolo ricorrente) si evince nelle premesse che: il calcolo ai fini della determinazione del valore delle aree fabbricabili per il pagamento dell’Ici nell’anno 2009 è stato effettuato sugli indici fissati dal d.lgs. n. 504 del 1992; la verifica del valore di mercato è stata effettuata attraverso la consultazione di operatori tecnici e immobiliari presenti sul territorio e la verifica dell’edificabilità media consentita dal piano regolatore generale.
Nella parte decisoria, poi, rimanda a una tabella, che è stata anch’essa allegata, da prendere a riferimento per il calcolo
dell’imposta. Da tale tabella, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, si evincono agevolmente i criteri utilizzati ai fini della determinazione del valore Ici.
Corre, infine, l’obbligo di ricordar e che, in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l’obbligo motivazionale dell’accertamento deve ritenersi adempiuto tutte le volte in cui il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestare efficacemente l’ an ed il quantum dell’imposta. In particolare, il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (Cass., Sez. 5, n. 26431/2017, Rv. 646218 – 01).
Il collegio ritiene, inoltre, richiamare il recente arresto che ha precisato che il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi e oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa per delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva, ma dovendosi escludere, comunque, la sufficienza della motivazione dell’atto impositivo dal fatto di una
compiuta difesa del contribuente in giudizio (Cass., Sez. , n. 26336 /2024, Rv. 672669 – 01).
In tal senso si ritiene che nel caso di specie, il minimo richiesto per la sufficienza del requisito motivazionale sia stato ampiamente raggiunto con l’indicazione delle delibere comunali nell’avviso di accertamento , che la ricorrente ha, infatti, avuto modo di contestare sotto l’aspetto del loro contenuto .
Sotto un altro profilo si osserva che i motivi, sono stati elaborati nell’ambito dell’indistinto paradigma della nullità della sentenza e dell’omessa motivazione. L a mancata distinzione all’interno degli stessi delle violazioni riconducibili all’uno o all’altro strumento di impugnazione evidenzia, come sopra accennato, anche un profilo di inammissibilità degli stessi.
La doglianza circa la carenza di motivazione è, in ogni caso, infondata, in quanto la stessa è presente e, per essa, si rimanda a quanto sinteticamente della stessa è stato riportato nella parte in fatto.
Con il terzo motivo la ricorrente prospetta, in relazione all’art. 360, nn. 4 e 5, c.p.c., la nullità della sentenza per erroneità e carenza di motivazione sulla censura riguardante l ‘ erroneità e contraddittorietà della motivazione della sentenza di primo grado.
Il motivo è infondato, in quanto la doglianza non espressamente esaminata, deve essere ritenuta assorbita, sulla base del recepimento da parte dei giudici del gravame delle ragioni espresse nella sentenza di primo grado.
Con il quarto motivo la ricorrente prospetta, in relazione all’art. 360, nn. 4 e 5, c.p.c., la nullità della sentenza per erroneità e carenza di motivazione che non avrebbe considerato gli esiti della perizia dalla stessa prodotta.
Con il quinto motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, nn. 4 e 5, c.p.c., la nullità della sentenza per erroneità e carenza di motivazione per quanto attiene agli incrementi di valore succedutisi negli anni, ai fini dell’imponibile Imu .
I motivi sono infondati e, stante la loro stretta connessione, in quanto riguardano la determinazione del valore delle aree edificabili e le prove addotte, possono essere trattati congiuntamente.
Preliminarmente il Collegio intende ribadire il principio di legittimità, ormai consolidato, secondo cui nel giudizio di impugnazione di avvisi di accertamento, il giudice del merito non è tenuto a dare conto del fatto di aver valutato analiticamente tutte le risultanze processuali, né a confutare ogni singola argomentazione prospettata dalle parti, essendo sufficiente che egli, dopo averli vagliati nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’ iter logico seguito, implicitamente disattendendo gli argomenti morfologicamente incompatibili con la decisione adottata, come nel caso di mere allegazioni difensive quali sono le osservazioni contenute nella perizia stragiudiziale (Cass., Sez. 5, n. 16650/2011, Rv. 619080 -01, Sez. 5, n. 3104/2021, Rv. 660644 -02).
Con tale motivo il ricorrente cerca di indurre il Collegio ad una rivisitazione degli elementi probatori non consentita in sede di legittimità. Nel giudizio di cassazione è precluso l’accertamento dei fatti ovvero la loro valutazione a fini istruttori, tanto più a seguito della modifica dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., operata dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. in l. n. 134 del 2012, che consente il sindacato sulla motivazione limitatamente alla rilevazione dell’omesso esame di un “fatto”
decisivo e discusso dalle parti’ (Cass. n. 21439 del 2015, Rv. 637497 – 01).
La valutazione degli elementi probatori è attività istituzionalmente riservata al giudice di merito, non sindacabile in cassazione se non sotto il profilo della congruità della motivazione del relativo apprezzamento (Cass., Sez. 2, n. 23286 del 2005, Rv. 585444 -01, Sez. 6-5, n. 1414 del 2015, Rv. 634358 -01).
Con riferimento all’attività istruttoria , la sentenza impugnata ha scelto tra le diverse prove addotte dalle parti quale fosse più attendibile e ha ritenuto la perizia di parte insufficiente per confutare quanto accertato dal controricorrente sulla base dei criteri presuntivi indicati nelle delibere adottate dallo stesso.
Né, del resto, a fronte delle medesime conclusioni sulla scarsa valenza probatoria della consulenza tecnica di parte, cui sono pervenuti entrambi i giudici di merito, la ricorrente, in sede di ricorso ha chiarito, quali fossero gli elementi, anche ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 504 del 1992, che sono stati sottovalutati o eventualmente non presi in considerazione nella determinazione del valore effettuata da ll’odierno controricorrente.
Deve, pertanto essere esclusa l’omessa o carente motivazione lamentata con il motivo di impugnazione, in quanto la sentenza ha fornito, sia pure in termini estremamente sintetici, adeguata motivazione.
La mancata condivisione della valutazione degli esiti istruttori non può costituire motivo di impugnazione in questa sede, in quanto finalizzato ad una rivisitazione del quadro probatorio, pena il riconoscimento di un terzo grado di giudizio di merito, non contemplato nel nostro ordinamento.
Da quanto esposto segue il rigetto del ricorso. Le spese del giudizio seguono il principio della soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo. Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo , del d.P.R. n. 115 del
unificato dell’art. 13, comma 1quater 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a pagare in favore del controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida nell’importo di € 4.500,00 per compensi, oltre € 200,00 per esborsi, rimborso forfettario nella misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso il 31 gennaio 2025.