Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 27688 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 27688 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/10/2024
Delega di firma – sentenza Corte Costituzionale n. 37/2015 – rilevanza – esclusione
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22673/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata in Roma al INDIRIZZO nello studio dell’AVV_NOTAIO;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO, elettivamente domiciliata in Roma alla INDIRIZZO, presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, n. 1924/2016, depositata in data 1° marzo 2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 1° ottobre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che:
L’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE emetteva un avviso di accertamento per maggiore imposta, a fini Ires, Iva e Irap, per l’anno 2008, nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, per avere contabilizzato fatture per operazioni inesistenti emesse nei confronti della ditta RAGIONE_SOCIALE (risultata inesistente a seguito di indagini eseguite dalla Procura della Repubblica), ammortizzate in cinque anni e, per quanto qui rilevi, con deduzione, per l’anno 2008, di Euro 40.000,00.
La contribuente impugnava l’avviso innanzi alla CTP di Napoli, che dichiarava inammissibile il ricorso.
La società proponeva gravame innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Campania.
La CTR rigetta va l’appello sul presupposto che la prova contraria fornita dalla ricorrente (pagamento RAGIONE_SOCIALE fatture con bonifici bancari) non potesse essere idonea a dimostrare l’effettività RAGIONE_SOCIALE operazioni compiute.
Avverso la decisione della Commissione Tributaria Regionale ha proposto ricorso per cassazione la società, affidandosi ad un unico motivo. L ‘Ufficio ha resistito con controricorso.
È stata, quindi, fissata l’adunanza camerale per il 1° ottobre 2024.
Considerato che:
Con l’unico strumento di impugnazione la contribuente deduce la «violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 n. 3 cpc). Carenza di poteri di firma del ‘Dirigente’ che ha sottoscritto l’atto Violazione o falsa applicazione in relazione all’art. 42, comma 1 e 3, DPR 600/1973 e all’art. 7 L. 212/2000; inesistenza giuridica e/o nullità dell’atto impositivo per carenza del potere dirigenziale del delegante o di chi ha sottoscritto l’avviso di accertamento in mancanza della sua qualifica di dirigente -Violazione o falsa applicazione degli artt. 66, 67 e 68 del D.Lgs. n. 300/1999 e degli artt. 1 e 4 del D.Lgs. n. 165/2001 -Violazione o falsa applicazione dell’art. 21 septies L. n 241/90 e dell’art. 21 octies
L. n. 241/90 -Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cc anche in relazione all’art. 25 Cost ».
Premette, in punto di fatto, che dopo il deposito del ricorso in appello è intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale n. 37/2015 con cui è stato dichiarato incostituzionale l’articolo 8, comma 24, del d.l. 16/2012, che consentiva alle RAGIONE_SOCIALE di coprire le posizioni dirigenziali, in attesa dei concorsi, con il ricorso a contratti individuali con i funzionari interni.
Nella specie sia il sottoscrittore dell’atto (NOME COGNOME) sia il suo delegante (NOME COGNOME) erano, quindi, privi del potere di rappresentare ed impegnare l’ente, poiché ‘incaricati di funzioni dirigenziali’ e non ‘dirigenti’ a seguito di concorso pubblico.
L’art. 42 del d.P.R. n. 600/1973 prevede la nullità dell’avviso di accertamento « se non reca la sottoscrizione del capo dell’ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva dal medesimo delegato » (pag. 7 del ricorso). Tale nullità può essere rilevata d’ufficio, in ogni stato e grado.
Nella specie l’atto fu sottoscritto da chi era stato nominato dirigente in virtù di una norma dichiarata incostituzionale nel 2015.
Il motivo è infondato.
Va premesso che la doglianza, pur essendo stata proposta per la prima volta solo in cassazione, è ammissibile, atteso che la pronuncia della Corte Costituzionale sulla quale si fonda (n. 37/2015) è intervenuta pochi giorni prima dell’udienza pubblica innanzi alla CTR, per cui non può farsi applicazione, nella specie, della giurisprudenza di legittimità ( ex multis Cass. 13/01/2016, n. 381) a mente della quale il vizio de quo non è rilevabile d’ufficio , né può essere rilevato per la prima volta nel giudizio di cassazione, ma va eccepito dalla parte (principio applicabile quando la doglianza possa tempestivamente essere avanzata nel primo grado di lite, non già quando essa si fondi su una pronuncia di incostituzionalità sopravvenuta o su uno ius superveniens ).
Nel merito, la censura non è fondata.
3.1. Questa Corte ha avuto modo di affrontare la questione della sorte degli atti tributari sottoscritti da soggetti -capi di ufficio o delegati -la cui qualifica dirigenziale sia risultata conseguita illegittimamente per effetto della sopravvenuta sentenza della Corte Costituzionale n. 37/2015.
L’art. 42, comma 1, d.P.R. n. 600/1973 si limita a prevedere che gli avvisi, con cui sono portati a conoscenza dei contribuenti gli accertamenti in rettifica e gli accertamenti d’ufficio, sono sottoscritti dal ‘capo dell’ufficio’ o ‘da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato’, senza richiedere che il capo dell’ufficio abbia a r ivestire anche una qualifica dirigenziale.
La norma, contestualmente prevedendo l’ipotesi di nullità, individua nel capo dell’ufficio, per il solo fatto di essere stato nominato tale, l’agente capace di manifestare la volontà dell’amministrazione finanziaria negli atti a rilevanza esterna. In tal modo identifica quale debba essere in definitiva la professionalità per legge idonea a emettere atti suscettibili di produrre i previsti effetti nella sfera giuridica del destinatario.
3.2. Si è, poi, sottolineato (Cass. 09/11/2015, n. 22810) che un argomento logico-letterale è innegabilmente rilevante per la soluzione del problema in esame: « se, in base alla norma di cui all’art. 42, 1° comma, l’atto impositivo può essere sottoscritto anche da un ‘altro’ impiegato della carriera direttiva delegato dal capo dell’ufficio, e se tale ‘altro’ impiegato può essere un funzionario di area direttiva no n dirigenziale (appunto l’impiegato ex nono livello), per proprietà transitiva è logico desumere che la medesima qualifica di semplice impiegato della carriera direttiva vale ad identificare, in base alla stessa norma di legge, la posizione del capo dell’ufficio delegante; posizione in tal misura necessaria, ma anche sufficiente ai fini specifici della validità degli atti.
La conclusione è in simile prospettiva direttamente evincibile dal testo dell’art. 42, 1° comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, in cui l’utilizzo dell’espressione ‘altro’ non può essere privata di significato
al fine di individuare il precetto sottostante. Essa vale a stabilire che la legge consente che anche il capo dell’ufficio sia, al pari del delegato, e al fine di legittimamente sottoscrivere gli avvisi di accertamento, un semplice impiegato della carriera direttiva.
Né la norma si presta a un’interpretazione diversa da quella letterale » atteso che l’espressione ‘impiegato della carriera direttiva’ fu coniata in un contesto ordinamentale che già conosceva le qualifiche funzionali della dirigenza pubblica.
3.3. Infine, non può sostenersi che l’appartenenza al ruolo dirigenziale sarebbe stata prevista per implicito dal regolamento interno di amministrazione dell’RAGIONE_SOCIALE, approvato con la delibera del comitato direttivo n. 4 del 22/04/2000 (e richiamato anche dalla ricorrente), poiché tale regolamento esaurisce i propri effetti nell’ambito del rapporto di impiego (o di servizio) tra il suddetto funzionario e l’amministrazione.
Così come non rileva in senso contrario o correttivo o integrativo dell’art. 42 cit. il d.lgs. n. 165/2001 (anch’esso richiamato dalla ricorrente), che, agli artt. 17 e ss., ha ridefinito l’ambito RAGIONE_SOCIALE competenze e RAGIONE_SOCIALE funzioni della cd. carriera dirigenziale, trattandosi di ‘norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze RAGIONE_SOCIALE amministrazioni pubbliche’ e, dunque, di norme di rango paritario rispetto all’art. 42, ma non interferenti col regime di validità degli atti costituenti estrinsecazione della funzione amministrativa di dettaglio (Cass. n. 22810/2015 cit.). L’autonoma valenza riconosciuta all’art. 42 cit. trova conforto, ai fini specifici, nella costante affermazione giurisprudenziale secondo cui « va esclusa, in materia tributaria, l’applicazione del principio desumibile dall’art. 21 -octies della l. n. 241/1990 , secondo il quale è in sé invalido l’atto amministrativo emanato in violazione di una norma di legge. Sicché la nullità, di cui è dato discutere nella presente sede, è soltanto quella rigidamente circoscritta dai limiti dell’art. 42 citato, rispetto alla quale non assume rilievo l’eventuale illegittimità del
conferimento d’incarico (finanche temporaneo) al capo dell’ufficio siccome avvenuto in dipendenza di una norma regolamentare illegittima o, per quanto rileva, di una norma di legge dichiarata incostituzionale » (ancora Cass. n. 22810/2015 cit.).
3.4. Quanto esposto in ordine alla corretta esegesi dell’art. 42 del d.P.R. n. 600/1973 costituisce del resto un corollario del principio generale che presidia l’attività amministrativa di accertamento fiscale, rispondente a peculiari esigenze di stabilità e di continuità.
La ratio della norma de qua appare intesa a circoscrivere, per quanto possibile, le fasi di interruzione dell’azione amministrativa di accertamento, coincidenti, per esempio, con la durata di espletamento di concorsi per l’attribuzione di qualifiche dirigenziali, tenuto conto del fatto che, in ambito fiscale come in altri ambiti di rilevanza essenziale per l’ordinamento, la celerità dell’azione amministrativa coincide con l’efficienza, ed è presidiata da altrettante norme costituzionali (artt. 53 e 97 Cost.).
Poiché allora il terzo comma dell’art. 42 postula l’esistenza del vizio invalidante in relazione al non essere l’atto fiscale proveniente da chi abbia titolo per agire in nome e per conto dell’amministrazione, e poiché colui che vanta, in base al primo comma della norma, questo titolo è il funzionario di carriere direttiva che sia stato messo a capo dell’ufficio ovvero che sia stato da questi appositamente delegato, non anche il funzionario avente qualifica dirigenziale, la conseguenza è che rimane irrilevante, ai fini specifici, la sopravvenuta decisione n. 37 del 2015 della Corte Costituzionale.
La decisione, invero, non può incidere sulla validità degli atti tributari perché diverso è il suo oggetto.
La sentenza riguarda il solo aspetto attinente all’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16/2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 44/2012, dichiarato illegittimo per il fatto di consentire alle amministrazioni finanziarie l’attribuzione di incarichi dirigenziali a propri funzionari fino all’espletamento RAGIONE_SOCIALE procedure concor suali, da completare entro il 31 dicembre 2013, con salvezza degli incarichi
già conferiti, norma che (unitamente alle disposizioni di proroga) è stata ritenuta in violazione degli artt. 3, 51 e 97 Cost., per aver contribuito all’indefinito protrarsi nel tempo di assegnazioni asseritamente temporanee di mansioni superiori, senza copertura dei posti dirigenziali vacanti da parte dei vincitori di una procedura concorsuale aperta e pubblica.
Tuttavia, i due aspetti -quello della dirigenza e quello della validità degli atti anteriormente sottoscritti da impiegati della carriera direttiva, preposti agli uffici finanziari o delegati -non sono, per quanto esposto, in modo alcuno confondibili, non essendo previsto che gli avvisi di accertamento promanino, per essere imputabili all’amministrazione finanziaria, da soggetti aventi qualifiche dirigenziali. Cosicché non è utile ai fini specifici insistere oltre, circa la portata retroattiva ordinariamente ascrivibile alla citata declaratoria di incostituzionalità, per il semplice fatto che quella declaratoria resta irrilevante quanto alla soluzione del problema in esame.
La richiamata pronuncia n. 37 del 2015 riguarda il profilo involto dalla norma consentanea all’attribuzione degli incarichi dirigenziali senza concorso. Dunque, non supera, sul piano effettuale, i confini del rapporto interno (di impiego o di servizio) tra l’amministrazione e il personale direttivo, e non attinge la sorte degli atti, rispetto ai quali rileva in modo autosufficiente (solo) l’art. 42 del d.P.R. n. 600/1973, in rapporto alla disciplina del quale devesi stabilire se la volontà dell’ente sia sta ta validamente manifestata dal soggetto che, indipendentemente dalla qualifica dirigenziale, legittimamente rivestiva la funzione da esso articolo considerata.
Pertanto, possono essere ribaditi i seguenti principi di diritto: « in ordine agli avvisi di accertamento in rettifica e agli accertamenti d’ufficio, il d.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, impone sotto pena di nullità che l’atto sia sottoscritto dal ‘capo dell’ufficio’ o ‘da altro impiegato della carriera direttiva da lui del egato’, senza richiedere che il capo dell’ufficio o il funzionario delegato abbia a rivestire anche
una qualifica dirigenziale; ciò ancorché una simile qualifica sia eventualmente richiesta da altre disposizioni »; « essendo la materia tributaria governata dal principio di tassatività RAGIONE_SOCIALE cause di nullità degli atti RAGIONE_SOCIALE, e non occorrendo, ai meri fini della validità di tali atti, che i funzionari (delegati o deleganti) possiedano qualifiche dirigenziali, ne consegue che la sorte degli atti impositivi formati anteriormente alla sentenza n. 37 del 2015 della Corte Costituzionale, sottoscritti da soggetti al momento rivestenti funzioni di capo dell’ufficio, ovvero da funzionari della carriera direttiva appositamente delegati, e dunque da soggetti idonei ai sensi dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, non è condizionata dalla validità o meno della qualifica dirigenziale attribuita per effetto della censurata disposizione di cui all’art. 8, 24° comma, del d.l. n. 16/2012 ».
In definitiva, deve ribadirsi (cfr. Cass. 26/02/2020, n. 5177) l’irrilevanza della pronuncia della Corte Costituzionale n. 37/2015 sulla validità degli atti sottoscritti da soggetti -capi di ufficio o delegati -la cui qualifica dirigenziale sia risultata conseguita illegittimamente.
Per tutto quanto esposto il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate, come da dispositivo.
Sussistono, infine, i presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la società ricorrente al pagamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , RAGIONE_SOCIALE spese processuali che si liquidano in euro 4.100,00, oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 1° ottobre 2024.