Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9087 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9087 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 29958/2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE nella persona del legale rappresentante pro tempore , e COGNOME in proprio e quale socio della società in nome collettivo, rappresentati e difesi, giusta procura speciale in calce al ricorso per cassazione, dall’Avv. NOME COGNOME con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME, in Roma, INDIRIZZO.
Indirizzo PEC: EMAIL
–
ricorrenti –
contro
Agenzia delle Entrate e Agenzia delle Entrate-Riscossione, nelle persone dei rispettivi Direttori pro tempore, rappresentate e difese
dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
– controricorrenti e ricorrenti in via incidentale – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della PUGLIA, n. 1078/2019, depositata in data 9 aprile 2019, non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale, decidendo in sede di rinvio disposto da questa Corte con ordinanza n. 18442 del 20 settembre 2016, ha rigettato l’appello proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE di Massaro RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato il ricorso avente ad oggetto la cartella di pagamento n. NUMERO_CARTA emessa a seguito di controllo automatizzato ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600 de 1973 e art. 54 bis del d.P.R. n. 633 del 1972, per mancato versamento dell’Iva relativa all’anno d’imposta 2008.
I giudici di secondo grado hanno affermato che le imposte iscritte a ruolo, il cui pagamento era stato richiesto con la cartella impugnata, erano attinenti ad imposte dichiarate e non versate e che detti omessi versamenti erano emersi in sede di controllo mediante procedure automatizzate, con la conseguenza che le imposte evase corrispondevano a quelle indicate in sede di autoliquidazione dalla stessa società contribuente e non versate; non sussistendo incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione non vi era l’obbligo di integrare il contraddittorio né, comunque, di invitare il contribuente per fornire chiarimenti ai sensi de ll’art. 6, comma 5, della legge n. 212 del 2000; comunque, la riduzione delle sanzioni, nell’ipotesi di mancata comunicazione di irregolarità, era subordinata al rispetto del termine
di trenta giorni entro il quale la società avrebbe potuto rappresentare eventuali errori e, comunque, sanare la propria posizione fiscale; l’eventuale omessa preventiva notificazione della comunicazione di irregolarità non comportava la nullità della cartella in quanto l’avviso bonario non costituiva un atto prodromico indispensabile ai fini dell’emissione della cartella, la quale doveva ritenersi legittima, anche qualora l’Ufficio non aveva preventivamente inviato l’avviso bonario e non produceva effetti negativi per il destinatario; il c.d. avviso bonario, non rientrava nel novero degli atti autonomamente impugnabili di cui all’art. 19 del decreto legislativo n. 546 del 1992; non poteva, dunque, essere applicata una sanzione di nullità non espressamente prevista, dalla specifica norma di riferimento; erano infondate le doglianze di controparte circa la notifica della comunicazione di irregolarità da ritenersi, ritualmente notificata; non era possibile lamentare, inoltre, la violazione dell’art. 7 della legge n. 212 del 2000 per la mancata allegazione dello stesso avviso bonario e del ruolo in quanto, come previsto alla stessa norma, la cartella di pagamento riportava «la motivazione della pretesa tributaria» e, comunque, il contenuto degli atti di cui si pretendeva l’allegazione; la conformità della cartella di pagamento al modello ministeriale, valeva a confermare la pretestuosità ed infondatezza delle ulteriori doglianze del contribuente che investivano la cartella sotto il profilo della legittimità del calcolo delle imposte, degli interessi e delle sanzioni; per l’effetto, non poteva essere revocata in dubbio neanche la legittimità del metodo di calcolo delle imposte, delle sanzioni e degli interessi, frutto di una minuziosa regolamentazione normativa, né quella degli altri elementi dell’atto impugnato.
La società RAGIONE_SOCIALE di Massaro RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a sette motivi.
L’Agenzia delle Entrate e l’Agenzia delle Entrate -Riscossione resistono con controricorso e ricorso incidentale fondato su un unico motivo.
CONSIDERATO CHE
In via preliminare va rilevata l’inammissibilità del ricorso per cassazione proposto da COGNOME, in proprio e quale socio della società «RAGIONE_SOCIALE, in quanto la legittimazione a proporre l’impugnazione, o a resistere ad essa, spetta solo a chi abbia assunto la veste di parte nel giudizio di merito, secondo quanto risulta dalla decisione impugnata, tenendo conto sia della motivazione che del dispositivo, a prescindere dalla sua correttezza e corrispondenza alle risultanze processuali, nonché alla titolarità del rapporto sostanziale, purché sia quella ritenuta dal giudice nella sentenza della cui impugnazione si tratta (Cass., 20 luglio 2020, n. 15356; Cass. 30 maggio 2017, n. 13584) e risultando dagli atti che già la Commissione tributaria regionale, con la sentenza n. 2628/15/2014, depositata il 16 dicembre 2014, aveva dichiarato inammissibile l’appello proposto dai s oci COGNOME NOME e COGNOME Margherita (pagg. 6 e 7 del ricorso per cassazione) e tale statuizione è passata in giudicato essendo stato oggetto di discussione e non essendo stata impugnata dinanzi la Corte di cassazione (cfr. Cass., 12 maggio 2021, n. 12568).
Il primo motivo deduce , in relazione all’ art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ.. Il Giudice di appello aveva ritenuto ritualmente notificata la comunicazione di irregolarità presupposta alla cartella di pagamento impugnata, senza fornire alcuna spiegazione in ordine al percorso logico-giuridico adottato per giungere a tale conclusione.
3. Il secondo motivo deduce, in relazione all’art. 360, comma primo, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.. La sentenza impugnata aveva errato nel ritenere la documentazione prodotta in giudizio dall’Agenzia delle Entrate come facente piena prova della «rituale» notifica dell’avviso bonario, sulla quale mancava un apprezzamento critico anche minimo.
4. I motivi, che devono essere trattati insieme perché connessi, sono inammissibili, perché non si confrontano con il contenuto del provvedimento impugnato, nella parte in cui ha ritenuto che non sussistendo incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione non vi era l’obbligo di integrare il contraddittorio e che l’eventuale omessa preventiva notificazione della comunicazione di irregolarità non comportava la nullità della cartella in quanto l’avviso bonario non costituiva un atto prodromico indispensabile ai fini dell’emissione della cartella, la quale doveva ritenersi legittima, anche qualora l’Ufficio non aveva preventivamente inviato l’avviso bonario e non produceva effetti negativi per il destinatario.
4.1 Il primo motivo è pure inammissibile in quanto censura l’affermazione «ritualmente notificata» che non costituisce una « ratio decidendi » della decisione e che non spiega alcuna influenza sul dispositivo della stessa. I giudici di secondo grado hanno, infatti, chiaramente affermato che, nella vicenda in esame, le imposte iscritte a ruolo, il cui pagamento era stato richiesto con la cartella impugnata, erano attinenti ad imposte dichiarate e non versate e che detti omessi versamenti erano emersi in sede di controllo mediante procedure automatizzate, con la conseguenza che le imposte evase corrispondevano a quelle indicate in sede di autoliquidazione dalla stessa società contribuente e non versate; di conseguenza, non sussistendo incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione non vi era l’obbligo di integrare il contraddittorio, né vi era
l’obbligo di invitare il contribuente per fornire i chiarimenti previsto dall’art. 6, comma 5, della legge n. 212 del 2000.
4.2 Ed invero, in sede di giudizio di legittimità è inammissibile il motivo di ricorso che censuri un’argomentazione della sentenza impugnata svolta «ad abundantiam», in quanto la stessa, non costituendo una «ratio decidendi» della decisione, non spiega alcuna influenza sul dispositivo della stessa e, pertanto, essendo improduttiva di effetti giuridici, la sua impugnazione è priva di interesse (Cass., 8 giugno 2022, n. 18429; Cass., 10 aprile 2018, n. 8755).
4.3 La motivazione, dunque, è esistente e sufficiente ad evidenziare il percorso argomentativo della pronuncia giudiziale e funzionale alla sua comprensione e alla sua eventuale verifica in sede di impugnazione (Cass., 5 luglio 2022, n. 21302; Cass., 1 marzo 2022, n. 6758). Non sussiste nemmeno una contraddittorietà della motivazione resa, in quanto i giudici di secondo grado hanno detto, all’evidenza, che non era necessaria la notifica della comunicazione di irregolarità, che in ogni caso risultava ritualmente notificata, affermazione questa, per quanto già detto, del tutto estranea alla effettiva ragione del decidere espressa dalla Commissione tributaria regionale.
4.4 E’ pure inammissibile il profilo di censura di nullità della sentenza per la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in quanto, in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito -come sostanzialmente dedotto nella specie – ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi
di prova soggetti invece a valutazione (Cass., 17 gennaio 2019, n. 1229).
Il terzo motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ.. Il giudice di appello aveva omesso di motivare sulle ragioni per la quali aveva ritenuto che l’iscrizione a ruolo contenuta nella cartella impugnata, nonostante attenesse ad un recupero di un credito Iva, fosse priva di elementi di «incertezza» su aspetti rilevanti della dichiarazione e riguardasse «imposte dichiarate e non versate».
5.1 Il motivo è inammissibile perché censura l’accertamento in fatto operato dalla Commissione tributaria regionale sulla insussistenza di situazioni di incertezza su aspetti rilevanti della dichiarazione ed è anche infondato in quanto i giudici di secondo grado hanno affermato che le imposte iscritte a ruolo, il cui pagamento era stato richiesto con la cartella impugnata, erano attinenti ad imposte dichiarate e non versate e che detti omessi versamenti erano emersi in sede di controllo mediante procedure automatizzate, con la conseguenza che le imposte evase corrispondevano a quelle indicate in sede di autoliquidazione dalla stessa società contribuente e non versate (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata); dunque, la cartella di pagamento era relativa ai versamenti di Iva che la società aveva dichiarato di avere effettuato e che, tuttavia, in sede di controllo automatizzato, non erano stati rilevati ed emerge, in tutta evidenza, che a seguito del mancato versamento degli importi Iva, l’Ufficio aveva provveduto a rideterminare l’importo dell’Iva a credito e dell’Iva a debito, in quanto trattandosi di un omesso versamento di imposta non spettava il credito Iva che la società aveva utilizzato in compensazione (cfr. il contenuto della cartella di pagamento, per come trascritto a pag. 35 del ricorso per cassazione).
5.2 Risulta, pertanto, evidente che la decisione impugnata assolve in misura adeguata al requisito di contenuto richiesto dalle disposizioni di
legge di cui il ricorso lamenta la violazione, attesa l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, sufficiente ad evidenziare il percorso argomentativo della pronuncia giudiziale, funzionale alla sua comprensione e alla sua eventuale verifica in sede di impugnazione.
6. Il quarto motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ.. La sentenza impugnata non si era pronunciata sulla domanda formulata dalla società rivolta a rilevare l’illegittimità della cartella che, nonostante attenesse ad un disconoscimento di un credito, ovvero contenesse un elemento di incertezza su un aspetto rilevante della dichiarazione, non era stata preceduta da un avviso bonario, come previsto dall’art. 6, comma 5, della legge n. 212 del 2000.
6.1 Senza prescindere da un profilo di inammissibilità della censura in esame formulata ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ., già formulata con il terzo motivo, ma ai sensi dell’art. 132 cod. proc. civ. ( che, com’è noto, sono vizi tra di loro eterogenei, in quanto se il giudice omette del tutto di pronunciarsi su una domanda od un’eccezione, ricorrerà un vizio di nullità della sentenza per error in procedendo , censurabile in cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.; se, invece, il giudice si pronuncia sulla domanda o sull’eccezione, ma senza prendere in esame una o più delle questioni giuridiche sottoposte al suo esame nell’ambito di quella domanda o di quell’eccezione, ricorrerà un vizio di motivazione, censurabile in Cassazione ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., Cass., 22 maggio 2019, n. 13743; Cass., 11 maggio 2012, n. 7268), il motivo è infondato, in quanto la Commissione tributaria regionale, lungi da non considerare le deduzioni difensive della società, le ha espressamente valutate e, alle pagine 2 e 3 della sentenza impugnata, dopo avere evidenziato che l’appellante aveva invocato l’art. 115 cod. proc. civ. circa il procedimento di accertamento che prima della riscossione, attesa la natura del recupero in parola, avrebbe consentito la corretta
valutazione del disconoscimento del credito Iva operato, ha chiarito espressamente che « oggetto di iscrizione a ruolo, oltre alle sanzioni e agli interessi sono quei versamenti Iva che la società ha dichiarato di aver effettuato che, dalle operazioni di controllo automatizzato, non sono stati rilevati » e ha, poi, specificato era dato incontroverso che la società non avesse effettuato i versamenti dovuti, con l’ovvia conseguenza che il credito Iva che era stato utilizzato in compensazione, in presenza di un omesso versamento di imposta, non poteva più essere riconosciuto.
Il quinto motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 6, comma 5, della legge n. 212 del 2000, 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, 54 bis del d.P.R. n. 633 del 1972, 53 Costituzione, 13, comma primo, del decreto legislativo n. 471 del 1997 e 2 del decreto legislativo n. 462 del 1997. Il giudice di appello aveva ritenuto legittima la cartella impugnata, nonostante la stessa non fosse stata preceduta dall’avviso bonario presupposto, in quanto la cartella di pagamento aveva ad oggetto, oltre che pretese imposte dichiarate e non versate, anche un disconoscimento di un credito Iva, recuperato dall’Ufficio con la procedura automatizzata.
7.1 In disparte la dedotta nullità della sentenza con il n. 3 dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., la censura, che prospetta i medesimi profili di doglianza, già esposti con i precedenti motivi, è inammissibile e infondato per le considerazioni già svolte, dovendosi, inoltre, ricordare che:
-) questa Corte, con riferimento alla liquidazione «cartolare» di cui all’art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, ha precisato che la notifica della cartella di pagamento a seguito di controllo automatizzato è legittima anche se non è stata emessa la comunicazione preventiva prevista dal terzo comma dell’art. 36 bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ogni qual volta la pretesa derivi dal mancato versamento di
somme esposte in dichiarazione dallo stesso contribuente ovvero da una divergenza tra le somme dichiarate e quelle effettivamente versate. Infatti, la comunicazione preventiva all’iscrizione a ruolo è necessaria solo quando vengano rilevati degli errori nella dichiarazione, mentre in caso di riscontrata regolarità dichiarativa non vi è alcun obbligo di preventiva informazione se il contribuente ha poi omesso di versare gli importi dichiarati, o, con riferimento all ‘art. 6, comma 5, della legge n. 212 del 2000, se non «sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione » (cfr. Cass., 25 maggio 2012, n. 8342; Cass., 4 luglio 2014, n. 13311; Cass., 17 dicembre 2019, n. 33344);
-) nel caso di comunicazione dell’esito della liquidazione (c.d. comunicazione di irregolarità) prevista dal terzo comma dell’art. 36 bis d.P.R. n. 600/73 « quando dai controlli automatici eseguiti emerge un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione ovvero dai controlli eseguiti dall’ufficio, ai sensi del comma 2-bis, emerge un’imposta o una maggiore imposta », il relativo obbligo imposto all’amministrazione non è sanzionato da alcuna nullità; si tratta infatti, come è stato osservato, di una forma blanda di partecipazione del contribuente nel procedimento, inidonea a generare un vincolo procedimentale in termini di obbligatoria attivazione del contraddittorio endoprocedimentale. Tanto si giustifica in considerazione del maggiore grado di attendibilità delle irregolarità riscontrabili, cui non può che corrispondere una conseguente irrilevanza della violazione di tale disciplina partecipativa ai fini della validità del consequenziale provvedimento di iscrizione a ruolo. Nei procedimenti ordinari di liquidazione dei tributi dovuti in base alle dichiarazioni, in considerazione dell’elevato grado di attendibilità delle irregolarità riscontrabili, lo svolgimento di un effettivo contraddittorio fra ufficio e contribuente, ad avviso del legislatore, non rappresenta una fase indispensabile del procedimento, essendo sempre possibile
per il contribuente far valere eventuali doglianze in punto di illegittimità della pretesa impositiva in sede di impugnazione del consequenziale provvedimento di iscrizione a ruolo ( cfr. Cass., 17 dicembre 2019, n. 33344):
-) con riferimento, poi, al contraddittorio endoprocedimentale imposto dall’art. 6, comma 5, della legge n. 212 del 2000 (obbligo bensì sanzionato, a differenza del primo, con la nullità in caso di inadempimento) è utile ribadire che, secondo orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità esso non è imposto « in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo, ai sensi del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-bis, ma soltanto “qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”, situazione, quest’ultima, che non ricorre necessariamente nei casi soggetti alla disposizione appena indicata, la quale implica un controllo di tipo documentale sui dati contabili direttamente riportati in dichiarazione, senza margini di tipo interpretativo; del resto, se il legislatore avesse voluto imporre il contraddittorio preventivo in tutti i casi di iscrizione a ruolo derivante dalla liquidazione dei tributi risultanti dalla dichiarazione, non avrebbe posto la condizione di cui al citato inciso » (Cass., 21 novembre 2017, n. 27716; Cass., 10 giugno 2015, n. 12023; Cass., 8 luglio 2014, n. 15584).
8. Il sesto motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3 della legge n. 241 del 1990 e 7 della legge n. 212 del 2000, non avendo il giudice di appello concluso per l’illegittimità della cartella impugnata alla luce dell’evidente carenza motivazionale della stessa in relazione all’iscrizione a ruolo e non essendo stato spiegato in maniera chiara la pretesa impositiva dedotta e le ragioni del recuper o operato dall’Ufficio, nonché il calcolo degli interessi.
8.1 Il motivo è infondato, dovendosi richiamare, in proposito, le Sezioni Unite di questa Corte che, di recente, hanno affermato che la cartella di pagamento, allorché segua l’adozione di un atto fiscale che abbia già determinato il «quantum» del debito di imposta e gli interessi relativi al tributo, è congruamente motivata – con riguardo al calcolo degli interessi nel frattempo maturati – attraverso il semplice richiamo dell’atto precedente e la quantificazione dell’importo per gli ulteriori accessori, indicazione che soddisfa l’obbligo di motivazione prescritto dall’art. 7 della legge n. 212 del 2000 e dall’art. 3 della legge n. 241 del 1990 (cfr. Cass., Sez. U., 14 luglio 2022, n. 22281).
8.2 Dunque, sebbene in via generale la cartella esattoriale, che non segua uno specifico atto impositivo già notificato al contribuente, ma costituisca il primo ed unico atto con il quale l’ente impositore esercita la pretesa tributaria, debba essere motivata alla stregua di un atto propriamente impositivo, tale obbligo di motivazione deve essere differenziato a seconda del contenuto prescritto per ciascuno tipo di atto, sicché, nel caso in cui la cartella di pagamento sia stata emessa in seguito a liquidazione effettuata in base alle dichiarazioni rese dal contribuente ai sensi degli artt. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 bis del d.P.R. n. 633 del 1972, l’obbligo di motivazione può essere assolto mediante il mero richiamo a tali dichiarazioni perché, essendo il contribuente già a conoscenza delle medesime, non è necessario che siano indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa (cfr. anche Cass., 17 dicembre 2019, n. 33344; Cass., 20 settembre 2017, n. 21804).
Il settimo motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in quanto il giudice di appello aveva omesso di pronunciarsi sullo specifico motivo di impugnazione con il quale la società aveva rilevato la nullità della cartella impugnata per inesistenza insanabile della sua notifica.
9.1 Il profilo processuale della censura deve ritenersi infondato, posto che, pur vero che la Commissione tributaria regionale non si è espressamente pronunciata sull’eccezione, devoluta in appello, in oggetto, risulta tuttavia chiaro che si tratta di un rigetto implicito. Può pertanto al riguardo limitarsi a dare seguito al principio di diritto che « Non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo » (cfr. Cass., 18 giugno 2018, n. 15936; Cass., 6 dicembre 2017, n. 29191).
9.2 Anche di recente, questa Corte ha affermato che « Non ricorre il vizio di mancata pronuncia su una eccezione di merito sollevata in appello qualora essa, anche se non espressamente esaminata, risulti incompatibile con la statuizione di accoglimento della pretesa dell’attore, deponendo per l’implicita pronunzia di rigetto dell’eccezione medesima, sicché il relativo mancato esame può farsi valere non già quale omessa pronunzia, e, dunque, violazione di una norma sul procedimento (art. 112 c.p.c.), bensì come violazione di legge e difetto di motivazione, in modo da portare il controllo di legittimità sulla conformità a legge della decisione implicita e sulla decisività del punto non preso in considerazione » (cfr. Cass., 12 aprile 2022, n. 11717; Cass., 6 novembre 2020, n. 24953).
9.3 Nel caso di specie, appare evidente che la Commissione tributaria regionale, esaminando nel merito i motivi di opposizione del contribuente, abbia implicitamente rigettato l’eccezione preliminare di nullità della notifica della cartella di pagamento.
9.4 In ultimo, è utile ricordare che « In tema di notifica della cartella di pagamento, l’inesistenza è configurabile, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto quale notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale, nella categoria della nullità,
sanabile con efficacia “ex tunc” per raggiungimento dello scopo » (Cass., 28 ottobre 2016, n. 21865; Cass., Sez. U., 20 luglio 2016, n. 14916).
10. L’unico motivo del r icorso incidentale, che lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 21 del decreto legislativo n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., in quanto i giudici di secondo grado avevano omesso di dichiarare l’inammissibilità del ricorso in riassunzione promosso dal socio, in proprio oltre che nella qualità di amministratore unico della società RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, deve ritenersi assorbito in ragione del rigetto del ricorso principale, dovendosi richiamare la giurisprudenza di questa Corte secondo cui « Il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni pregiudiziali di rito, ivi comprese quelle attinenti alla giurisdizione, o preliminari di merito, ha natura di ricorso condizionato e deve essere esaminato con priorità solo se le questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, rilevabili d’ufficio, non siano state oggetto di decisione esplicita o implicita da parte del giudice di merito» (Cass., 12 agosto 2022, n. 24750).
11. Per le ragioni di cui sopra, va rigettato il ricorso principale, con assorbimento del ricorso incidentale e la società ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, sostenute dalle Agenzie controricorrenti e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara il difetto di legittimazione attiva di COGNOME rigetta il ricorso principale, con assorbimento del ricorso incidentale, e condanna la società ricorrente e COGNOME al pagamento, in favore delle Agenzie controricorrenti, delle spese del
giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente e di RAGIONE_SOCIALE, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 12 febbraio 2025.