Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9089 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9089 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 30118/2021 proposto da:
Avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso da se stesso, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO
Indirizzo Pec: EMAIL
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate e Agenzia delle Entrate-Riscossione, nelle persone dei rispettivi Direttori pro tempore, rappresentate e difese dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
– controricorrenti –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della CAMPANIA n. 3340/2021, depositata in data 20 aprile 2021, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello proposto dall’Avv. NOME COGNOME avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso avente ad oggetto la cartella di pagamento notificata in data il 3 maggio 2019, relativa all’omesso e carente versamento di imposte Irpef ed Iva, emessa a seguito di controllo della dichiarazione modello 770S /2016, in relazione all’anno d’imposta 2015.
I giudici di secondo grado hanno affermato che la cartella contestata originava da un controllo ex art. 36 bis effettuato sul Modello Unico e sul modello 770 presentati dallo stesso contribuente, controllo in esito al quale era emerso che le imposte dichiarate come dovute non erano state versate per cui l’Ufficio provvedeva doverosamente ad iscrivere a ruolo quanto dovuto con interessi e sanzioni, né era prevista la comunicazione dell’avviso bonario non sussistendo incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione; non sussisteva il difetto di motivazione della cartella impugnata in quanto l’iscrizione a ruolo effettuata in base all’art. 36 bis riguardava soltanto le imposte dichiarate come dovute dallo stesso contribuente, anche se non spontaneamente versate e il contribuente si trovava già nella condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa tributaria, con l’effetto che l’onere di motivazione risultava validamente assolto attraverso il mero richiamo alla dichiarazione dei redditi; in ordine alle modalità di calcolo degli interessi, l’Amministrazione, procedendo al controllo formale delle
dichiarazioni ed alla tempestività dei versamenti, poteva addebitare gli interessi maturati, il cui computo derivava direttamente dalla legge e non necessitava di alcuna attività discrezionale di accertamento; la cartella di pagamento, inoltre, aveva un contenuto vincolato disposto per legge, rinvenibile nell’art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973, e poiché l’art.11 del d.P.R. n. 602 del 1973 prevedeva che nei ruoli erano iscritte le imposte, le sanzioni e gli interessi, gli interessi richiamati in cartella non erano altro che gli interessi già ex lege iscritti a ruolo e meramente riportati in cartella; infine, nessuna disposizione normativa prescriveva l’indicazione, nella cartella, delle modalità di calcolo degli interessi, modalità normativamente previste ed in quanto tali presuntivamente conosciute dallo stesso debitore.
L’Avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a due motivi e successive memorie.
L’Agenzia delle Entrate e l’Agenzia delle Entrate -Riscossione resistono con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Il primo mezzo deduce, in relazione all’a rt. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 36 bis e/o 36 ter del d.P.R. n. 600 del 1973, nonché dell’art. 54 bis del d.P.R. n. 63 del 1972 e dell’art. 6 della legge n. 212 del 2000 e, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, l’apparente e/o omessa motivazione. Le Commissioni tributarie di merito non avevano trattato la tematica della necessità dei preventivi avvisi bonari con gli stessi approfondimenti della Corte di Cassazione sul presupposto che nel caso in esame il controllo era relativo a situazioni in cui sussistevano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione e che non vi era stato il recapito degli avvisi bonari.
1.1 Il motivo è infondato sia sotto il profilo della violazione di legge, che sotto quello del vizio di motivazione.
1.2 Con specifico riferimento al primo profilo di censura deve precisarsi che il c.d. «controllo automatizzato» in sede di liquidazione dell’imposta, di cui all’art. 36 bis , secondo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, attribuisce all’amministrazione finanziaria, il potere di provvedere, all’esito di un controllo formale effettuato mediante procedure automatizzate, « sulla base dei dati e degli elementi direttamente desumibili dalle dichiarazioni presentate e di quelli in possesso dell’anagrafe tributaria » (analogamente a quanto stabilito dall’omologa disposizione dell’art. 54 bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633) e non prevede lo svolgimento di alcuna attività di ricerca di informazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria, escludendo pertanto la possibilità di una diversa ricostruzione sostanziale dei dati esposti dal contribuente nella dichiarazione, una vera e propria valutazione o stima degli stessi e la risoluzione di questioni giuridiche, fatta salva l’applicazione di norme giuridiche che sia «diretta e immediata» (cfr. sia con riferimento all’art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, che con riferimento all’art. 54 bis del d.P.R. n. 633 del 1972, Cass., 15 settembre 2021, n. 24813; Cass., 19 novembre 2019, n. 29978; Cass., 23 novembre 2018, n. 30391; Cass., 16 novembre 2018, n. 29582;, Cass., 20 febbraio 2017, n. 4360; Cass, 27 aprile 2018, n. 10204; Cass., Sez. U., 8 settembre 2016, n. 17758).
1.3 Viceversa, il controllo formale di cui all’art. 36 ter , secondo comma, lett. b), del d.P.R. n. 600 del 1973, consente all’Ufficio di « escludere in tutto o in parte le detrazioni d’imposta non spettanti in base ai documenti richiesti ai contribuenti » e non limita la conoscenza dell’Amministrazione ai dati ed agli elementi direttamente desumibili dalle dichiarazioni o già in possesso dell’anagrafe tributaria, ma consente una, sia pur ridotta, attività istruttoria (Cass., 18 marzo 2015, n. 5373), disciplinata dal terzo comma e seguita, a pena di nullità, dalla comunicazione dell’esito motivato del controllo, che
assolve ad una funzione di garanzia e realizza la necessaria interlocuzione tra l’Amministrazione finanziaria ed il contribuente prima dell’iscrizione al ruolo, in ciò differenziandosi dalla comunicazione della liquidazione della maggiore imposta ex art. 36 bis dello stesso decreto, che avviene all’esito di un controllo meramente cartolare ed ha il solo scopo di evitare al contribuente la reiterazione di errori e di consentirgli la regolarizzazione di aspetti formali, per cui l’eventuale omissione non incide sull’esercizio del diritto di difesa e non determina alcuna nullità (Cass., 4 luglio 2014, n. 15311, in motivazione, sulla distinzione tra le due fattispecie di controllo), salvo che non sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione controllata (Cass., 21 novembre 2017, n. 27716).
1.4 Questa Corte, poi, con riferimento alla liquidazione «cartolare» di cui all’art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, ha precisato che la notifica della cartella di pagamento a seguito di controllo automatizzato è legittima anche se non è stata emessa la comunicazione preventiva prevista dal terzo comma dell’art. 36 bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ogni qual volta la pretesa derivi dal mancato versamento di somme esposte in dichiarazione dallo stesso contribuente ovvero da una divergenza tra le somme dichiarate e quelle effettivamente versate. Infatti, la comunicazione preventiva all’iscrizione a ruolo è necessaria solo quando vengano rilevati degli errori nella dichiarazione, mentre in caso di riscontrata regolarità dichiarativa non vi è alcun obbligo di preventiva informazione se il contribuente ha poi omesso di versare gli importi dichiarati, o, con riferimento all ‘art. 6, comma 5, della legge n. 212 del 2000, se non «sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione » (cfr. Cass., 25 maggio 2012, n. 8342; Cass., 4 luglio 2014, n. 13311; Cass., 17 dicembre 2019, n. 33344).
1.5 Nel caso, peraltro, di comunicazione dell’esito della liquidazione (c.d. comunicazione di irregolarità) prevista dal terzo comma dell’art.
36 bis d.P.R. n. 600/73 « quando dai controlli automatici eseguiti emerge un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione ovvero dai controlli eseguiti dall’ufficio, ai sensi del comma 2-bis, emerge un’imposta o una maggiore imposta », il relativo obbligo imposto all’amministrazione non è sanzionato da alcuna nullità; si tratta infatti, come è stato osservato, di una forma blanda di partecipazione del contribuente nel procedimento, inidonea a generare un vincolo procedimentale in termini di obbligatoria attivazione del contraddittorio endoprocedimentale. Tanto si giustifica in considerazione del maggiore grado di attendibilità delle irregolarità riscontrabili, cui non può che corrispondere una conseguente irrilevanza della violazione di tale disciplina partecipativa ai fini della validità del consequenziale provvedimento di iscrizione a ruolo. Nei procedimenti ordinari di liquidazione dei tributi dovuti in base alle dichiarazioni, in considerazione dell’elevato grado di attendibilità delle irregolarità riscontrabili, lo svolgimento di un effettivo contraddittorio fra ufficio e contribuente, ad avviso del legislatore, non rappresenta una fase indispensabile dei procedimento, essendo sempre possibile per il contribuente far valere eventuali doglianze in punto di illegittimità della pretesa impositiva in sede di impugnazione del consequenziale provvedimento di iscrizione a ruolo ( cfr. Cass., 17 dicembre 2019, n. 33344).
1.6 Con riferimento, poi, al contraddittorio endoprocedimentale imposto dall’art. 6, comma 5, della legge n. 212 del 2000 (obbligo bensì sanzionato, a differenza del primo, con la nullità in caso di inadempimento) è utile ribadire che, secondo orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità esso non è imposto « in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo, ai sensi del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-bis, ma soltanto “qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”, situazione, quest’ultima, che non ricorre necessariamente nei casi
soggetti alla disposizione appena indicata, la quale implica un controllo di tipo documentale sui dati contabili direttamente riportati in dichiarazione, senza margini di tipo interpretativo; del resto, se il legislatore avesse voluto imporre il contraddittorio preventivo in tutti i casi di iscrizione a ruolo derivante dalla liquidazione dei tributi risultanti dalla dichiarazione, non avrebbe posto la condizione di cui al citato inciso » (Cass., 21 novembre 2017, n. 27716; Cass., 10 giugno 2015, n. 12023; Cass., 8 luglio 2014, n. 15584).
1.7 Nella specie, la Commissione tributaria regionale ha affermato che la cartella contestata originava da un controllo automatizzato ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e che, in esito al controllo del Modello Unico e del Modello 770 presentati dallo stesso contribuente, era emerso che le imposte dichiarate come dovute non erano state versate; inoltre, ha precisato che l’Ufficio doveva invitare il contribuente a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti ai sensi dell’art. 6, comma 5, della legge n. 212 del 2000 soltanto qualora sussistevano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, così sostanzialmente ritenendo, peraltro con un accertamento in fatto non sindacabile in questa sede, che non sussisteva «alcuna incertezza su aspetti rilevanti della dichiarazione» (che, peraltro, il ricorrente non specifica nemmeno in questa sede), essendo stati iscritti a ruolo i soli tributi che lo stesso contribuente aveva riconosciuto dovuti e di cui aveva omesso il pagamento, con la conseguenza che, ai fini della validità della cartella, non era necessaria la preventiva comunicazione del c.d. avviso bonario. Non rileva, dunque, contrariamente a quanto ripetutamente ribadito dal ricorrente, la circostanza che l’Ufficio si sia comunque determinato ad inviare degli avvisi bonari e che questi non siano stati ricevuti dal contribuente, rilevando unicamente le moda lità dell’accertamento operato in concreto dall’Ufficio.
1.8 Non sussiste, inoltre, nemmeno il difetto di motivazione eccepito, perché la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo , quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., 5 luglio 2022, n. 21302; Cass., 1 marzo 2022, n. 6758), mentre, nel caso di specie, la sentenza impugnata è adeguatamente motivata, non essendosi limitata a richiamare la giurisprudenza di legittimità, ma ha anche spiegato le ragioni poste a fondamento della decisione; si tratta, dunque, di una motivazione esistente, correlata alla fattispecie concreta portata alla sua cognizione, e sufficiente ad evidenziare il percorso argomentativo della pronuncia giudiziale e funzionale alla sua comprensione e alla sua eventuale verifica in sede di impugnazione.
2. Il secondo mezzo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione relativamente alla statuizione della sentenza di secondo grado afferente la « nullità della cartella per mancata indicazione del conteggio e modalità di calcolo degli interessi nonché delle aliquote, del periodo di riferimento e dei tassi applicati », ex art. 25, commi 2 e 2 bis del d.P.R. n. 602 del 1973, nonché ex art. 7 della legge n. 212 del 2000. La sentenza impugnata aveva reiterato la solita difesa, propria di una parte della giurisprudenza, soprattutto di merito, secondo cui non era necessario il calcolo degli interessi sia perché il tasso applicato era quello previsto dalla legge e, quindi, doveva ritenersi cognito dal contribuente, sia perché l’importo su cui andava applicato l’interesse doveva essere anch’esso ben noto perché quello legale. Sul presupposto che non si verteva in tema di controllo automatizzato, la necessità di indicare le modalità di calcolo degli interessi rientrava
nell’ambito dell’obbligo di motivazione delle pretese tributarie dello Stato.
2.1 Il motivo è infondato, dovendosi richiamare, in proposito, le Sezioni Unite di questa Corte che, di recente, hanno affermato che la cartella di pagamento, allorché segua l’adozione di un atto fiscale che abbia già determinato il «quantum» del debito di imposta e gli interessi relativi al tributo, è congruamente motivata – con riguardo al calcolo degli interessi nel frattempo maturati – attraverso il semplice richiamo dell’atto precedente e la quantificazione dell’importo per gli ulteriori accessori, indicazione che soddisfa l’obbligo di motivazione prescritto dall’art. 7 della legge n. 212 del 2000 e dall’art. 3 della legge n. 241 del 1990 (cfr. Cass., Sez. U., 14 luglio 2022, n. 22281). Dunque, sebbene in via generale la cartella esattoriale, che non segua uno specifico atto impositivo già notificato al contribuente, ma costituisca il primo ed unico atto con il quale l’ente impositore esercita la pretesa tributaria, debba essere motivata alla stregua di un atto propriamente impositivo, tale obbligo di motivazione deve essere differenziato a seconda del contenuto prescritto per ciascuno tipo di atto, sicché, nel caso in cui la cartella di pagamento sia stata emessa in seguito a liquidazione effettuata in base alle dichiarazioni rese dal contribuente ai sensi degli artt. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 bis del d.P.R. n. 633 del 1972, l’obbligo di motivazione può essere assolto mediante il mero richiamo a tali dichiarazioni perché, essendo il contribuente già a conoscenza delle medesime, non è necessario che siano indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa (cfr. anche Cass., 17 dicembre 2019, n. 33344; Cass., 20 settembre 2017, n. 21804).
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali, sostenute dalle Agenzie controricorrenti e liquidate come in
dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore delle Agenzie controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 12 febbraio 2025.