Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14283 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14283 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1998/2016 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO al quale è rappresentato e difeso in virtù di procura speciale in calce al ricorso,
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO dal quale è rappresentata e difesa in virtù di mandato in calce al controricorso,
-controricorrente –
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore protempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura generale dello Stato che la rappresenta e difende,
-resistente –
CARTELLA DI PAGAMENTO -IRPEF 2005.
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 5092/20/2015, depositata il 30 settembre 2015; udita la relazione della causa svolta nell’adunanza in camera di consiglio del 23 gennaio 2024 dal consigliere AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
– Rilevato che:
In data 27 luglio 2010 la concessionaria per la riscossione RAGIONE_SOCIALE (successivamente RAGIONE_SOCIALE, ora RAGIONE_SOCIALE) notificava a COGNOME NOME cartella di pagamento n. 071-2010-01671805-14, con la quale gli intimava i l pagamento della somma di € 15.699,05 (oltre diritti di notifica) per omesso/tardivo versamento dell’IRPEF con riferimento alla tassazione dell’indennità di fine rapporto del RAGIONE_SOCIALE, del RAGIONE_SOCIALE integrativo di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE, relativamente al suo rapporto di lavoro alle dipendenze della RAGIONE_SOCIALE, conclusosi in data 17 marzo 2005.
Il contribuente COGNOME NOME impugnava la suddetta cartella dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma la quale, con sentenza n. 3792/51/2014, depositata il 27 febbraio 2014, rigettava il ricorso.
Interposto gravame dal contribuente, la Commissione tributaria regionale del Lazio, con sentenza n. 5092/20/2015, pronunciata l’8 giugno 2015 e depositata in segreteria il 30 settembre 2015, rigettava l’appello con condanna al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese di giudizio.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE, sulla base di otto motivi.
RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
LRAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE si è costituita al solo fine di partecipare all’udienza di discussione, ai sensi dell’art. 370, primo comma, cod. proc. civ.
La discussione del ricorso è stata fissata dinanzi a questa sezione per l’adunanza in camera di consiglio del 23 gennaio 2024, ai sensi degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1 cod. proc. civ.
– Considerato che:
Il ricorso in esame, come si è detto, è affidato a otto motivi.
1.1. Con il primo motivo si eccepisce nullità della sentenza e del procedimento, in relazione all’ art. 360, primo comma, num. 4), cod. proc. civ., ovvero, in subordine, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 5), cod. proc. civ.
Deduce, in particolare, il ricorrente che, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, con l’atto di appello egli non si era limitato a riproporre le stesse argomentazioni a sostegno del ricorso in primo grado, ma aveva formulato una serie di obiezioni alla sentenza della C.T.P., sulle quali la C.T.R. non aveva comunque dato riscontro, in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.; tale condotta, peraltro, integrava in subordine il vizio di omesso esame di un fatto decisivo ai fini del giudizio, con particolare riferimento alla censura secondo la quale la mancanza dell’invio della comunicazione di irregolarità avrebbe dovuto comportare
l’annullamento e/o la declaratoria di illegittimità della cartella impugnato, in quanto, nel caso di specie, il controllo automatizzato ex art. 36bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, aveva inciso su aspetti rilevanti della dichiarazione, non trattandosi di un mero mancato versamento dell’imposta.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente eccepisce l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 5), cod. proc. civ.
Deduce, in particolare, il contribuente che il giudice d’appello aveva omesso di considerare il fatto che il caso in esame riguardasse una irregolarità riferita ad un aspetto rilevante per la dichiarazione (una maggiorazione dell’imposta dovuta), che quind i necessitava dell’invio della comunicazione di irregolarità.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso NOME NOME eccepisce violazione e falsa applicazione degli artt. 36bis del d.P.R. n. 600/1973 e 6, comma 5, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (statuto del contribuente), in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ.
Deduce, in particolare, il ricorrente che erroneamente la C.T.R. aveva ritenuto, nel caso di specie, che l’invio della comunicazione preventiva si rendesse necessaria solo nelle ipotesi di interesse su aspetti rilevanti per la dichiarazione, in quanto tale comunicazione era dovuta in tutti i casi in cui dai controllo automatici emergeva un risultato diverso rispetto a quello indicato in dichiarazione, e quindi un’imposta o una maggiore imposta.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso si eccepisce nullità della sentenza e del procedimento, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4), cod. proc. civ., nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 20 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, e dell ‘art. 2948, num. 4), cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ.
Rileva, in particolare, il ricorrente che la RAGIONE_SOCIALE.T.R. aveva omesso di pronunciarsi sull’eccezione di prescrizione del tributo, nonché sull’eccezione di decadenza e prescrizione RAGIONE_SOCIALE sanzioni, e, in ogni caso, la mancata pronuncia su tali eccezioni aveva violato le citate disposizioni sostanziali.
1.5. Con il quinto motivo di ricorso il contribuente eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 35 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, e dell’art. 64 del d.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ., nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 5), cod. proc. civ.
Deduce, in particolare, che, trattandosi di dichiarazione presentata dal sostituto d’imposta, il sostituito è coobbligato in solido con il sostituto, e tale responsabilità solidale del sostituito trova applicazione soltanto dopo che vi sia stata l’iscrizione a ruolo del sostituto, e quindi esclusivamente in fase di riscossione dell’imposta, e comun que soltanto nel caso in cui le ritenute non siano state né effettuate né versate, mentre, nel caso di specie, nessuna azione di recupero era stata effettuata d all’RAGIONE_SOCIALE nei confronti dei sostituti d’imposta del ricorrente.
1.6. Con il sesto motivo di ricorso si eccepisce nullità della sentenza e del procedimento, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4), cod. proc. civ., nonché, in subordine, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto d i discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 5), cod. proc. civ.
Deduce, in particolare, il ricorrente che la C.T.R. aveva omesso di pronunciarsi sul motivo di appello riguardante l’eccepita violazione dell’art. 12 del d.P.R. n. 602/1973, con riferimento alla mancanza di sottoscrizione del ruolo e della cartella, essendo, peraltro, tale sottoscrizione sempre dovuta affinché il ruolo possa diventare esecutivo, e costituendo essa un elemento imprescindibile per la validità e paternità dell’atto.
1.7. Con il settimo motivo di ricorso il ricorrente eccepisce violazione e falsa applicazione del l’art. 7 del d.P.R. n. 602/1973 e dell’art. 7 della legge n. 212/2000, nonché degli artt. 3 e 21 -septies della legge 7 agosto 1990, n. 241, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ.
Deduce, in particolare, che, in base alle norme suindicate, era necessaria la sottoscrizione del ruolo e della relativa cartella, con conseguente illegittimità della cartella stessa mancante della predetta sottoscrizione.
1.8. Con l’ottavo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 26 del d.P.R. n. 602/1973 e dell’art. 156 cod. proc. civ.
Osserva, in particolare, il ricorrente che la cartella di pagamento impugnata era stata notificata direttamente dall’agente della riscossione, e tale notificazione deve essere ritenuta del tutto inesistente, e quindi non sanabile, e non
semplicemente nulla, in quanto effettuata senza l’intermediazione di soggetti abilitati.
Così delineati i motivi di ricorso, la Corte osserva quanto segue.
2.1. Il primo motivo è in parte infondato, ed in parte inammissibile.
Il ricorrente censura, infatti, la sentenza impugnata innanzitutto per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere, la C.T.R., erroneamente ritenuto che il motivo di appello riguardante l’eccezione sollevata in primo grado -di nullità della cartella di pagamento impugnata per mancato invio della comunicazione di irregolarità (c.d. avviso bonario) consistesse in una mera riproposizione RAGIONE_SOCIALE prospettazioni in primo grado, e quindi per avere omesso di pronunciarsi su tale motivo.
Orbene, deve evidenziarsi che effettivamente il motivo di appello in questione non costituiva una mera riproposizione del primo motivo di ricorso in primo grado, in quanto con quest’ultimo il contribuente deduceva l’illegittimità della cartella di pagamento per mancato invio della comunicazione di irregolarità, mentre con il motivo di appello lo stesso contribuente evidenziava che, nella fattispecie in esame, si era in presenza di una modificazione di aspetti rilevanti della dichiarazione (in quanto l’Ufficio aveva applicato un’aliquota maggiore rispetto a quella applicata dai sostituti d’imposta), e quindi sviluppava più ampiamente il primo motivo di ricorso in primo grado, censurando la sentenza della C.T.P. proprio nella parte in cui aveva ritenuto che, nel caso di specie, non fosse necessario l’invio della comunicazione di irregolarità, non essendovi incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione.
Ciò nonostante, tuttavia, deve evidenziarsi che la C.T.R. ha comunque preso in esame e giustificato il rigetto del motivo in questione, essendosi la corte territoriale riportata, in primis , alla motivazione della sentenza di primo grado (dove è esplicitamente indicato che, nell’ipotesi in oggetto, non sia rav visabile l’ipotesi di incertezza su aspetti rilevanti della dichiarazione, e quindi non era necessario l’invio della comunicazione di irregolarità), ed avendo, comunque, specificamente motivato sul punto, laddove si dice che «deve pertanto confermarsi l’indirizzo interpretativo, secondo il quale l’invio della comunicazione si rende necessario solo in ipotesi di interesse su aspetti rilevanti della dichiarazione, non ravvisabile nel caso di specie, ove non è stata preclusa la possibilità di esercitare il diritto di difesa, come specificato nella sentenza impugnata».
Questa Corte, poi, con orientamento condiviso, ha affermato che la sentenza d’appello può essere motivata per relationem, purché il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, RAGIONE_SOCIALE ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità RAGIONE_SOCIALE questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicché dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente (cfr. Cass., 5 agosto 2019, n. 20883; Cass., 5 novembre 2018, n. 28139; Cass., 3 febbraio 2021, n. 2397; Cass., 2 agosto 2022, n. 23997, in motivazione).
A tal proposito, va evidenziato che la sentenza d’appello può essere motivata per relationem , purché il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, RAGIONE_SOCIALE ragioni della conferma
in relazione ai motivi di impugnazione, ovvero (come nel caso di specie) della identità RAGIONE_SOCIALE questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicché dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la corte territoriale si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame.
Non è quindi ravvisabile alcuna nullità della sentenza di appello per omessa pronuncia e mancata corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato ex art. 112 cod. proc. civ., avendo i giudici d’appello specificamente esaminato il motivo di gravame in questione.
Il motivo è invece inammissibile con riferimento all’eccepito omesso esame di un fatto decisivo ai fini del giudizio, in riferimento all’art. 360, primo comma, num. 5), cod. proc. civ. Sul punto, va rilevato che, sussistendo un’ipotesi di c.d. ‘doppia conforme’ (avendo, la C.T.R., confermato la sentenza di primo grado che ha rigettato il ricorso proposto dal contribuente avverso la cartella di pagamento impugnata), il motivo è già per questo inammissibile, ai sensi dell’art. 348 -ter , quarto comma, cod. proc. civ., vigente ratione temporis .
In ogni caso, con il richiamo all’art. 360, primo comma, num. 5), cod. proc. civ., il ricorrente censura sempre l’omesso esame RAGIONE_SOCIALE censure mosse alla sentenza di primo grado, relativamente alla questione del mancato invio della comunicazione di irregolarità.
Orbene, deve rilevarsi che l’ articolo 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ, nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dall ‘art. 54, comma 1, lett. b ), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. dalla legge 11 agosto 2012, n. 134, prevede l’omesso esame come riferito ad un fatto decisivo per il giudizio, ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a questioni o argomentazioni, il cui esame sarebbe stato omesso dal giudice di secondo grado (in tal senso, da ultimo, Cass. 18 agosto 2023, n. 24826; Cass. 26 gennaio 2022, n. 2268).
Trattasi, pertanto, di un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nel cui paradigma non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass. 6 settembre 2019, n. 22397; Cass. 18 ottobre 2018, n. 26305).
2.2. Anche il secondo motivo è inammissibile.
Tale motivo viene infatti anch’esso rubricato come ‘omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti’, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 5), cod. proc. civ., ma in realtà all’interno di esso non viene indicato alcuno specifico fatto storico, principale o secondario, che non sarebbe stato esaminato dalla corte territoriale, in quanto il ricorrente censura la sentenza impugnata unicamente con riferimento alla parte in cui ha ritenuto che la fattispecie in esame non riguardasse aspetti rilevanti della dichiarazione.
Non essendovi, quindi, alcun fatto storico specifico il cui esame è stato omesso dalla C.T.R., il motivo in questione è da ritenersi inammissibile.
Peraltro, quand’anche si volesse far rientrare il motivo nell’ipotesi di violazione e falsa applicazione dell’art. 36 -bis d.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ., con riferimento alla ricorrenza di un’ipotesi di ‘errore su aspetto rilevante della dichiarazione’, che renderebbe necessario l’invio della comunicazione di irregolarità, il motivo è comunque inammissibile.
L a situazione riguardante ‘aspetti rilevanti della dichiarazione’ si verifica nei casi di rettifica dei dati contabili riportati in dichiarazione (Cass. 24.1.2018, n. 1711; Cass. 21.11.2017, n. 27716). Nel caso di specie, per stessa ammissione del ricorrente, non vi è una modifica dei dati contabili contenuti nella dichiarazione, ma l’Ufficio ha determinato una maggiore imposta ritenendo errata l’aliquota applicata dalla RAI e dall’RAGIONE_SOCIALE nelle dichiarazioni quali sostitut i d’imposta (trattasi di giornali sta RAGIONE_SOCIALE), e quindi ha operato un mero ricalcolo dell’imposta sulla base degli stessi dati contabili dichiarati dal sostituto d’imposta . La RAGIONE_SOCIALE ha quindi deciso la controversia sulla base di principi di diritto conformi alla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale la comunicazione preventiva all’iscrizione a ruolo è necessaria solo quando vengano rilevati degli errori nella dichiarazione, mentre in caso di riscontrata regolarità dichiarativa non vi è alcun obbligo di preventiva informazione se il contribuente ha poi omesso di versare gli importi dichiarati, o, con riferimento all’art. 6, comma 5, della legge n. 212 del 2000, se non
sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione (cfr. Cass. 17 dicembre 2019, n. 33344; Cass. 9 gennaio 2019, n. 376; Cass. 17 febbraio 2015, n. 3154; Cass. 3 gennaio 2014, n. 42; Cass. 23 luglio 2010, n. 17396). Conseguentemente, il motivo è da considerare inammissibile ai sensi dell’art. 360 -bis , num. 1), cod. proc. civ.
2.3. Il terzo motivo è infondato.
Ed invero, sostiene il ricorrente che la comunicazione di irregolarità prevista dall’art. 36 -bis , comma 3, del d.P.R. n. 600/1973, sia dovuta in tutti i casi in cui dai controlli automatici eseguiti emerga un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione, ovvero dai controlli eseguiti dall’Ufficio emerga un’imposta o una maggiore imposta dovuta.
La giurisprudenza di questa Corte, tuttavia, come già evidenziato, è pacifica nel senso di ritenere che tale obbligo di contraddittorio preventivo, previsto dall’art. 6, comma 5, della l. n. 212/2000, e dall’art. 36 -bis , comma 3, del d.P.R. n. 600/1973, ricorra soltanto qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, situazione che si verifica quando la liquidazione automatizzata non si limiti a rilevare meri errori materiali e richieda rettifiche preventive dei dati contenuti nella dichiarazione, nel qual caso la sua omissione, a seconda che sussistano o meni incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, può costituire una mera irregolarità, non incidente sulla validità della cartella di pagamento, oppure può comportare la nullità ex art. 6, comma 5, cit. (Cass. 24 gennaio 2018, n. 1711; Cass. 9 gennaio 2019, n. 375; Cass. 2 ottobre 2023, n. 27724).
Nel caso di specie, è pacifico che i dati contenuti nelle dichiarazioni dei sostituti d’imposta (RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE) non siano stati oggetto di contestazione o rettifica, avendo l’Ufficio proceduto unicamente a riliquidare le imposte dovute sulla base dei dati suddetti, come indicati nelle stesse dichiarazioni, ragion per cui non ricorre un’ipotesi di rettifica su ‘aspetti rilevanti’ di tali dichiarazioni, che avrebbe reso necessario l’invio della preventiva comunicazione di irregolarità.
2.4. Infondato deve ritenersi anche il quarto motivo di ricorso.
Il ricorrente censura la sentenza impugnata, per non essersi pronunciata sull’eccezione di prescrizione del tributo, riproposta con l’atto di appello, nonché sull’eccezione di decadenza e prescrizione della sanzione.
Sul punto, va tuttavia rilevato che, per costante giurisprudenza di questa Corte, è configurabile la decisione implicita di una questione (connessa a una prospettata tesi difensiva) o di un’eccezione di nullità (ritualmente sollevata o rilevabile d’ufficio) quando queste risultino superate e travolte, benché non espressamente trattate, dalla incompatibile soluzione di un’altra questione, il cui solo esame presupponga e comporti, come necessario antecedente logico-giuridico, la loro irrilevanza o infondatezza; ne consegue che la reiezione implicita di una tesi difensiva o di una eccezione è censurabile mediante ricorso per cassazione non per omessa pronunzia (e, dunque, per la violazione di una norma sul procedimento), bensì come violazione di legge e come difetto di motivazione, sempreché la soluzione implicitamente data dal giudice di merito si riveli erronea e censurabile oltre che utilmente
censurata, in modo tale, cioè, da portare il controllo di legittimità sulla decisione inespressa e sulla sua decisività (in questo senso, da ultimo, Cass. 8 maggio 2023, n. 12131).
Orbene, ciò posto, la C.T.R., nell’esaminare e rigettare gli altri motivi di appello, ha, all’evidenza, implicitamente rigettato i motivi riguardanti l’eccepita prescrizione del credito tributario, nonché i motivi riguardanti l’eccepita decadenza e prescri zione RAGIONE_SOCIALE sanzioni, trattandosi di questione preliminare rispetto a quelle riguardante la validità della cartella di pagamento.
Va osservato, peraltro, che la decisione implicita di rigetto di tali eccezioni appare comunque corretta.
Ed invero, per quel che riguarda la pretesa tributaria, trattandosi di imposte sul reddito RAGIONE_SOCIALE persone fisiche la prescrizione ha durata decennale (Cass. 11 dicembre 2019, n. 32308), e quindi al momento della notificazione della cartella di pagamento (27 luglio 2010) il relativo credito (IRPEF 2005) certamente non era prescritto.
Per quel che riguarda, invece, il profilo attinente alle sanzioni, appaiono rispettati i termini di decadenza e prescrizione previsti dall’art. 20 del d.lgs. n. 472/1997.
Ed invero, con riferimento al profilo decadenziale, ai sensi del comma 1 del citato art. 20 cit., «l’atto di contestazione di cui all’articolo 16, ovvero l’atto di irrogazione, devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è avvenuta la violazione o nel diverso termine previsto per l’accertamento dei singoli tributi».
Nel caso di specie, in assenza di un atto di contestazione la cartella di pagamento deve considerarsi come ‘atto di irrogazione’, la cui notificazione quindi è sicuramente
tempestiva, essendo stata notificata nel luglio 2010 per una violazione relativa all’anno 2005.
Per quel che riguarda, invece, il profilo della prescrizione, ai sensi dell’art. 20, comma 3, d.lgs. n. 472/1997 il diritto alla sua riscossione si prescrive in cinque anni, e neanche esso può ritenersi maturato, posto che, come già detto, la cartella di pagamento (nella quale sono ricomprese le sanzioni) è stata notificata nel luglio 2010, mentre la violazione si è perfezionata con il mancato pagamento dell’IRPEF, avvenuto nel 2006 per redditi dell’anno 2005.
2.5. Anche il quinto motivo è infondato.
L’art. 35 del d.PR. n. 602/1973, in tema di sostituto d’imposta, con riferimento alle imposte sui redditi prevede che «quando il sostituto viene iscritto a ruolo per imposte, soprattasse e interessi relativi a redditi sui quali non ha effettuato né le ritenute a titolo di imposta né i relativi versamenti, il sostituito è coobbligato in solido».
Dal tenore letterale della disposizioni in oggetto si evince chiaramente che il sostituito d’imposta è obbligato in solido con il sostituto per il versamento dei tributi oggetto di accertamento, con la conseguenza che «il mancato adempimento dell’obbligazione posta a carico del sostituto di versamento della ritenuta, in uno con la mancata effettuazione della medesima, giustifica l’attribuzione al soggetto passivo d’imposta, ossia al sostituito, dell’obbligo solidale di provvedere al suo pagamento, con conseguente esposizione dello stesso al potere di accertamento dell’Amministrazione finanziaria e a tutti i conseguenti oneri» (Cass. 31 marzo 2021, n. 8903).
A tal proposito, è stato affermato che tale responsabilità non sussista, allorquando il sostituto d’imposta abbia operato le ritenute, senza versarle, mentre allorquando -come nel caso di specie -non siano proprio effettuate le ritenute (totalmente o parzialmente), ricorre tale responsabilità solidale, che è espressamente condizionata proprio alla circostanza che non siano state effettuate le ritenute (Cass., sez. U., 12 aprile 2019, n. 10378).
Ne consegue che l’agente della riscossione era pienamente legittimato ad emettere la cartella direttamente nei confronti del contribuente sostituito.
2.6. Il sesto ed il settimo motivo (quest’ultimo, in realtà, qualificato sempre come motivo n. 6) possono essere esaminati congiuntamente, in quanto strettamente connessi, e sono inammissibili.
Il ricorrente eccepisce, innanzitutto, che la C.T.R. avrebbe omesso di pronunciarsi sulla censura riguardante la nullità o illegittimità della cartella per mancanza di sottoscrizione, in violazione dell’art. 12, comma 4 del d.PR. n. 602/1973.
Deve tuttavia rilevarsi che la corte regionale, in realtà, ha comunque motivato sul punto, affermando che «si tratta di doglianza priva di consistenza riproduttiva di deduzioni confutate in prime cure», e così, sostanzialmente, riportandosi per relationem alla sentenza di primo grado.
La censura in esame, in ogni caso, ove prospettata come violazione e falsa applicazione di legge, è da considerare inammissibile sempre ai sensi dell’art. 360 -bis , num. 1), cod. proc. civ.
Il ricorrente, infatti, eccepisce, in questa sede, la violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 4, del d.P.R. n. 602/1973, e quindi l’illegittimità per mancata sottoscrizione sia del ruolo che della cartella di pagamento.
Orbene, per quanto concerne la eccepita nullità del ruolo per difetto di sottoscrizione, deve osservarsi che la sottoscrizione del ruolo rappresenta un atto interno dell’Amministrazione che se ne avvale, e la sua eventuale assenza non determina automaticamente l’invalidità dell’iscrizione a ruolo; d’altro canto, il legislatore, per il difetto di sottoscrizione del ruolo, non ha previsto la sanzione della nullità.
Questa Corte, con ordinanza 3 ottobre 2016, n. 19761, ha infatti statuito che il difetto di sottoscrizione del ruolo da parte del capo dell’Ufficio non si riflette in alcun modo sulla validità dell’iscrizione a ruolo del tributo, poiché « … si tratta di atto interno e privo di autonomo rilievo esterno» (v. anche Cass. 22 gennaio 2018, n. 1545; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26053; Cass. 27 marzo 2015, n. 6199). A sostegno di tale tesi, va evidenziato come l’art. 12 d.P.R. n. 602/1973, che disciplina il contenuto e la formazione dei ruoli, non preveda una sanzione specifica di nullità nel caso di mancata sottoscrizione.
Per quel che riguarda, invece, la eccepita nullità della cartella di pagamento impugnata per mancanza di sottoscrizione, anche tale motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 -bis , num. 1), cod. proc. civ.
Ed invero, «l’omessa sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto, la cui esistenza non dipende tanto dall’apposizione del sigillo o dei timbro o di una sottoscrizione
leggibile, quanto dal fatto che tale elemento sia inequivocabilmente riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo, tanto più che, a norma del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 25, la cartella, quale documento per la riscossione degli importi contenuti nei ruoli, deve essere predisposta secondo il modello approvato con decreto del Ministero competente, che non prevede la sottoscrizione dell’esattore, ma solo la sua intestazione e l’indicazione della causale, tramite apposito numero di codice» (in tal senso Cass. 16 ottobre 2015, n. 20984; v. anche Cass. 4 dicembre 2019, n. 31605; Cass. 3 novembre 2017, n. 26142; Cass. 5 dicembre 2014, n. 25773).
La censura in esame è altresì inammissibile ove riferita all’art. 360, primo comma, num. 5), cod. proc. civ., sia perché assolutamente generica, non essendo indicato il fatto decisivo ai fini del giudizio il cui esame sarebbe stato omesso da parte della corte territoriale, sia perché si è in presenza di una ‘doppia conforme’ ex art. 348 -ter , quarto comma, cod. proc. civ. (nel testo vigente ratione temporis ).
2.7. Anche l’ottavo motivo, infine, è infondato.
Come affermato da questa Corte, in tema di riscossione RAGIONE_SOCIALE imposte, la notifica della cartella esattoriale può avvenire anche mediante invio diretto, da parte del concessionario, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, in quanto la seconda parte del l’art. 26, comma 1, del d.P.R. n. 602/1973, prevede una modalità di notifica, integralmente affidata al concessionario stesso ed all’ufficiale postale, alternativa rispetto a quella della prima parte della medesima disposizione e di competenza esclusiva dei soggetti ivi indicati. In tal caso,
la notifica si perfeziona con la ricezione del destinatario, alla data risultante dall’avviso di ricevimento, senza necessità di un’apposita relata, visto che è l’ufficiale postale a garantirne, nel menzionato avviso, l’esecuzione effettuata su istanza del soggetto legittimato e l’effettiva coincidenza tra destinatario e consegnatario della cartella, e si applicano le norme concernenti il servizio postale ordinario, e non quelle della legge 20 novembre 1982, n. 890 (tra le altre Cass. 21 aprile 2022, n. 12706; 23 novembre 2021, n. 36125; Cass. 16 ottobre 2015, n. 20984; Cass. 19 marzo 2014, n. 6395).
A norma del d.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, infatti, la notificazione può essere eseguita “anche mediante invio” diretto dell’atto mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, nel qual caso la notifica si perfeziona con la ricezione da parte de destinatario, alla data risultante dall’avviso di ricevimento, senza necessità di redigere un’apposita relata di notifica. L’accertamento circa la coincidenza tra la persona cui la cartella è destinata e quella cui è consegnata è, difatti, di competenza esclusiva dell’ufficiale postale, che vi provvede con un atto (l’avviso di ricevimento della raccomandata) assistito dall’efficacia probatoria di cui all’art. 2700 cod. civ., avendo natura di atto pubblico (Cass. 27 maggio 2011, n. 11708). E, non a caso, il citato art. 26, al comma 5, dispone che il concessionario è obbligato a conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o l’avviso di ricevimento, in ragione della forma di notificazione prescelta, al fine di esibirla su richiesta del contribuente o dell’Amministrazione. In tale ultima ipotesi, pertanto, è l’avviso
di ricevimento a garantire l’esatta individuazione del destinatario dell’atto, tenendo luogo della notifica di cui alla prima parte del citato art. 26, ed a fare fede della sua spedizione da parte del soggetto legittimato, che in tal caso è direttamente il concessionario, agente della riscossione.
Deve quindi escludersi l’invocata violazione di legge, in quanto la C.T.R. ha correttamente applicato l’art. 26 d.P.R. n. 602/1973, ritenendo valida la notifica della cartella di pagamento, il che esclude anche la sussistenza di qualsivoglia ipotesi di inesistenza e di nullità di tale notifica.
3. Consegue il rigetto integrale del ricorso.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza del ricorrente nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE , secondo la liquidazione di cui al dispositivo.
Nulla per le spese nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE, non avendo questa svolto difese.
Ricorrono i presupposti processuali per dichiarare il ricorrente tenuto al pagamento di una somma pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quate r, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente alla rifusione, in favore della RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE spese del presente giudizio, che si liquidano in € 3.600,00 per compensi ed € 200,00 per esborsi , oltre 15% per rimborso spese generali, C.A.P. ed I.V.A.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, da parte della ricorrente, di una somma pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto,
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2024.