Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4501 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4501 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/02/2025
Oggetto:
Ici
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5503/2023 R.G. proposto da COGNOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME
-ricorrente –
Contro
Comune di Grottaglie, in persona del sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME;
-controricorrente e ricorrente incidentale – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia, n. 2195/2022 depositata il 9 agosto 2022;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 novembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La controversia ha ad oggetto l’impugnazione di tre avvisi di accertamento (n. 598-7, 606/06, n. 598-7, 607/07, n. 598-7, 608/08) con cui il comune di Grottaglie (d’ora in poi controricorrente) aveva chiesto a NOME COGNOME (d’ora in poi ricorrente), il pagamento dell’Ici relativa agli anni dal 2006 al 2008, dovuta per area fabbricabile.
La CTP ha accolto il ricorso e la CTR ha accolto parzialmente l’appello proposto dal comune, odierno controricorrente sulla base delle seguenti ragioni:
-l ‘estensione e l’edificabilità degli immobili oggetto del giudizio non è stata mai contestata dalla contribuente (appellata e odierna controricorrente), la quale, proponendo il ricorso introduttivo, ha dimostrato di conoscere bene gli atti amministrativi sottesi alla pretesa imposizione;
-la stessa contribuente ha svolto ampie difese anche sulla questione del valore venale dei suoli edificabili, svolgendo quasi una funzione di supplenza dello stesso comune appellante e tale circostanza è stata trascurata dai giudici di primo grado;
-sulla questione della congruità dell’imposta il valore il valore dei suoli oggetto del giudizio viene determinato in € 60,00 al mq , sulla base della stima effettuata dall’UTE , condivisa dalla stessa contribuente, risalente all’anno 1995, in cui veniva delineato il valore di € 25,00 al mq, sul quale va tenuto, poi, conto del tasso medio annuo di inflazione dal 1995 al 2006.
La ricorrente principale propone ricorso, fondato su tre motivi; il controricorrente si costituisce con controricorso proponendo ricorso incidentale fondato su due motivi e deposita memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e
falsa applicazione dell’art. 7 legge n. 212/2000; dell’ art. 3 l. n. 241/1990; artt. 2, 5, 11 d.lgs. n. 504/1992 ; dell’ art. 1, comma 162, l. n. 296/2006. Contesta che il vizio di motivazione degli avvisi impugnati, non può ritenersi sanato dal contenuto degli atti processuali del contribuente.
1.1. Il motivo è infondato per quanto debba essere corretta la motivazione della gravata sentenza.
La sentenza impugnata ha rigettato l’appello dell’odiern a ricorrente anche sul presupposto che la stessa si è comunque adeguatamente difesa e ha dimostrato di ben conoscere l’oggetto della pretesa impositiva. La sentenza, quindi, ha identificato l’obbligo di motivazione anche in relazione alle difese svolte in giudizio.
Per tale profilo, pertanto, va operata la correzione della motivazione in conformità al consolidato principio di legittimità, secondo cui, ai fini della verifica della compiutezza motivazionale dell’atto di imposizione , non rileva che il contribuente si sia difeso anche nel merito, atteso che l’insufficienza motivazionale dell’atto impositivo, che ne giustifica l’annullamento, non può essere sanata, ex art. 156 c.p.c., per raggiungimento dello scopo, in quanto l’atto ha la funzione di garantire una difesa certa anche con riferimento alla delimitazione del thema decidendum ‘ (Cass., Sez. 5, n. 22918/2022, Rv. 665291 – 01; Cass., Sez. 5, n. 21997/2014, Rv. 632767 -01).
La valutazione di compiutezza motivazionale va, però, confermata nel resto in quanto dagli avvisi impugnati, il cui testo è trascritto nel ricorso, risulta l’indicazione dei dati identificativi del bene oggetto di imposizione, la destinazione urbanistica, quindi, la natura edificabile, il valore venale attribuito al mq e il quantum del tributo.
Il Collegio ritiene, nel caso di specie, assolto l’obbligo di motivazione degli avvisi di accertamento.
Come risulta dagli atti di accertamento, la motivazione consiste nell’indicazione degli estremi catastali del bene, del valore unitario preso a parametro, della delibera comunale con cui sono state date le indicazioni per la quantificazione.
E tali elementi sono da ritenere sufficienti per consentire un’adeguata difesa.
Ritiene il Collegio di ribadire il consolidato orientamento di legittimità, secondo cui, in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l’obbligo motivazionale dell’accertamento deve ritenersi adempiuto tutte le volte in cui il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestare efficacemente l’ an ed il quantum dell’imposta. In particolare, il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed o ggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, po i, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (Cass., 24 agosto 2021, n. 23386; Sez. 5, n. 26431/2017, Rv. 646218 -01; Sez. 5, n. 22841/2010, Rv. 614742 – 01; Sez. 5, n. 21571/2004, Rv. 578032 -01).
È stato, altresì, precisato, ancora in tema di ICI, che l’avviso di accertamento non può limitarsi a contenere indicazioni generiche sul valore del terreno, ma, ai sensi dell’art. 7 della l. n. 212 del 2000, deve indicare, a pena di nullità, a quale presupposto la
modifica del valore dell’immobile debba essere ricondotta, con specifico riferimento ai parametri indicati dall’art. 5 del d.lgs. n. 504 del 1992 (Cass., Sez. 5, n. 2555/2019, Rv. 652370 -01; Sez. 5, n. 25709/2016, Rv. 641948 -01; Sez. 6 – 5, n. 12658/2016, Rv. 640073 -01).
Tale orientamento si innesta, invero, sul principio generale che non vi è la necessità di esplicitare nell’avviso di accertamento gli elementi di fatto utilizzati per l’applicazione di essi, in quanto il contribuente, conosciuto il criterio di valutazione adottato, è già in condizione di contestare e documentare l’infondatezza della pretesa erariale, senza poter invocare la violazione, ai sensi dell’art. 52, comma 2-bis, del d.P.R. n. 131 del 1986, del dovere di allegazione delle informazioni previste ove il contenuto essenziale degli atti sia stato riprodotto sull’avviso di accertamento (Cass., Sez. 5, n. 22148/2017, Rv. 645464 -01; Sez. 5, n. 25153/2013, Rv. 628985 -01).
1.2. Nel caso di specie il parametro indicato, ai fini dell’individuazione dell’aliquota applicabile, è la delibera comunale, sia pure indicata per relationem , in applicazione dell’art. 59 del d.lgs. n. 446 del 1997 che attribuisce la potestà regolamentare in materia di imposta comunale sugli immobili. Dall’atto impositivo risultano, dunque, rispettati i criteri interpretativi, elaborati dalla giurisprudenza di legittimità e sopra riportati, sulla sufficienza della motivazione contenuta negli atti
di accertamento.
Altra questione è quella relativa alla prova della fondatezza della pretesa impositiva. In proposito si osserva che l’indicazione espressa della delibera comunale determina l’inversione dell’onere probatorio, con la conseguenza che è a carico del
contribuente la prova dell’inesattezza del valore individuato dall’ente impositore.
In questo senso è stato chiarito da tempo che, in tema di Ici, l’avviso d’accertamento che fa riferimento alla delibera della giunta comunale contenente la determinazione dei valori minimi delle aree edificabili, comprensiva di quella oggetto di imposizione, deve ritenersi sufficientemente motivato, in quanto richiamante un atto di contenuto generale avente valore presuntivo e da ritenersi conosciuto (o conoscibile) dal contribuente, spettando a quest’ultimo l’onere di fornire elementi oggettivi (eventualmente anche a mezzo perizia di parte) sul minor valore dell’area edificabile rispetto a quello accertato dall’ufficio (Cass. Sez. 6 – 5, n. 16620/2017, Rv. 644804 -01).
Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 111, sesto comma, Cost ; degli artt. 112 e 132, quarto comma, c.p.c., dell’art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 118 disp. att. c.p.c. Lamenta l’apparenza della motivazione in ordine al punto decisivo della controversia riguardante la determinazione del valore dei beni al mq.
2.1. Il motivo è infondato.
La motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve ritenersi apparente quando, pur se graficamente esistente, non consenta alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. Tale ipotesi si verifica quando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, ovvero li indichi senza un’effettiva disamina logico -giuridica che lasci trasparire il
percorso argomentativo seguito (Cass. Sez. 6 -5, n. 9105/2017, Rv. 643793 -01, Sez. L, n. 3819/2020, Rv. 656925 -02, Sez. 1, n. 13248/2020, Rv. 658088 – 01).
Nel caso di specie, invece, come riconosciuto dalla stessa ricorrente, la sentenza a proposito della determinazione del valore ha affermato: «A tal fine il valore dei suoli edificabili per gli anni 2006, 2007 e 2008 viene determinato in €.60,00 (sessanta/00) al mq. in funzione preponderante della stima U.T.E., evidenziata a pagina 3 del ricorso introduttivo della controversia e condivisa dalla contribuente, risalente all’anno 1995, in cui veniva delineato il valore di € 25,00 circa al mq. e del tasso medio annuo di inflazione che nel volgere degli anni, dal 1995 al 2006, faceva lievitare, senza ombra di dubbio, a non meno di € 60,00 al mq. il valore dei suoli di cui trattasi ».
Sia pure sinteticamente, il provvedimento impugnato ha indicato la pluralità degli elementi su cui ha fondato il proprio convincimento, esponendo in modo chiaro e logico le ragioni della decisione e la semplice non condivisione di essi da parte della ricorrente non determina la nullità o l’apparenza della motivazione.
Il motivo tende, piuttosto, a rimettere in discussione una valutazione probatoria effettuata dal giudice del merito, preclusa in sede di legittimità.
Come ben noto, è preclusa ogni verifica sull’utilizzo degli elementi probatori effettuata nei gradi di merito, pena il riconoscimento del presente giudizio come il terzo grado di un giudizio di merito, non previsto dal nostro ordinamento.
La ricorrente sembra confondere la concludenza ed affidabilità, delle prove, la cui valutazione è rimessa al giudice del merito, con l’apparenza o l’ assenza di motivazione.
Giova, in ogni caso, ricordare che in tema di scrutinio di legittimità del ragionamento sulle prove adottato del giudice di merito, la valutazione del materiale probatorio – in quanto destinata a risolversi nella scelta di uno (o più) tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di offrire all’osservazione e alla valutazione del giudicante -costituisce espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito ed è estranea ai compiti istituzionali della S.C. (con la conseguenza che, a seguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non è denunciabile col ricorso per cassazione come vizio della decisione di merito), restando totalmente interdetta alle parti la possibilità di discutere, in sede di legittimità, del modo attraverso il quale, nei gradi di merito, sono state compiute le predette valutazioni discrezionali (Cass. Sez. 3, n. 37382/2022, Rv. 666679 -05). complessive risultanze del processo, quelle
Già da tempo in sede di legittimità è stato affermato che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il
profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, ipotesi da escludere nel caso di specie, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (Sez. 5, n. 19547/2017, Rv. 645292 -01, Sez. 6 – 5, n. 29404/2017, Rv. 646976 – 01).
A margine si rileva, poi, un ulteriore profilo di inammissibilità del motivo, legato alla natura del giudizio reso dal giudice tributario. Si afferma da tempo che la valutazione del giudice tributario non è riconducibile ad una decisione della causa secondo la cosiddetta equità sostitutiva, che, consentita nei soli casi previsti dalla legge, attiene al piano delle regole sostanziali utilizzabili in funzione della pronuncia ed attribuisce al giudice il potere di prescindere nella fattispecie dal diritto positivo.
Si tratta, invece, di una valutazione di tipo estimativo in relazione alla quale non è, pertanto, ipotizzabile la violazione dell’art. 113, secondo comma, cod. proc. civ. e, rientrando il suddetto apprezzamento nei generali poteri conferiti al giudice dagli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., la relativa pronuncia, rimessa alla sua prudente discrezionalità, è suscettibile di controllo, in sede di legittimità, soltanto sotto il profilo della carenza od inadeguatezza della corrispondente motivazione (Cass., 3 aprile 2024, n. 8839; Sez. 5, n. 12021/2020, Rv. 657933 – 01; Sez. 65, n. 25707/2015, Rv. 638078 – 01; Cass., Sez. 5, n. 4442/2010, Rv. 611651 – 01; Sez. 5, n. 24520/2005, Rv. 585565 – 01).
Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli att. 2 e 5 del d.lgs. n. 504 del 1992. Pur consapevole di avere denunciato l’assenza di motivazione con il secondo motivo di impugnazione, la ricorrente riconosce che la sentenza ha «toccato questioni che formano la materia del contendere tra le parti». Censura che la sentenza abbia determinato il valore degli immobili per cui è causa, prescindendo da elementi attuali, storici e concreti e, quindi, dall’attualità delle potenzialità edificatorie.
3.1. Il motivo è inammissibile. Ove anche si volesse superare la contraddittorietà dei rilievi in esso contenuti con le censure mosse con il secondo motivo, si ritiene che con tale motivo il ricorrente sottopone al Collegio una rivisitazione degli elementi probatori preclusa in sede di legittimità.
Analogamente a quanto si è affermato con riguardo al secondo motivo (punto 2 della presente ordinanza), nel giudizio di cassazione è precluso, infatti, l’accertamento dei fatti ovvero la loro valutazione a fini istruttori, tanto più a seguito della modifica dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., operata dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. in l. n. 134 del 2012, che consente il sindacato sulla motivazione limitatamente alla rilevazione dell’omesso esame di un “fatto” decisivo e discusso dalle parti’ (Cass. n. 21439 del 2015, Rv. 637497 – 01).
La valutazione degli elementi probatori è attività istituzionalmente riservata al giudice di merito, non sindacabile in cassazione se non sotto il profilo della congruità della motivazione del relativo apprezzamento (Cass., Sez. 2, n. 23286 del 2005, Rv. 585444 -01, Sez. 6-5, n. 1414 del 2015, Rv. 634358 -01).
Nel giudizio di impugnazione di avvisi di accertamento, peraltro, in base ad un condiviso e consolidato orientamento di legittimità, il giudice del merito non è tenuto a dare conto del fatto di aver valutato analiticamente tutte le risultanze processuali, né a confutare ogni singola argomentazione prospettata dalle parti, essendo sufficiente che egli, dopo averli vagliati nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter logico seguito, implicitamente disattendendo gli argomenti morfologicamente incompatibili con la decisione adottata, come nel caso di mere allegazioni difensive quali sono le osservazioni contenute nella perizia stragiudiziale (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 16650 del 29/07/2011, Rv. 619080 -01, Sez. 5, n. 3104/2021, Rv. 660644 -02).
Nel caso in esame la sentenza impugnata ha ritenuto, sulla base di elementi in parte condivisi anche dalla ricorrente, di partire da un valore base di € 25,00 al mq accertato nel 1995 e di rivalutarlo per il periodo fino al 2006 ed è giunta all’individuazione del valore di € 60,00 al mq.
La correttezza di tale liquidazione, per quanto sopra esposto, non è suscettibile di revisione in questa sede, essendo consentito al giudice di legittimità solo un vaglio di circa la logicità e coerenza del percorso motivazionale seguito, elementi che nella specie non difettano.
Con il primo motivo di ricorso incidentale il controricorrente, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., lamenta la nullità della sentenza che non avrebbe chiarito le ragioni per le quali ha ritenuto insufficiente la motivazione degli avvisi impugnati.
4.1. Il motivo è inammissibile per difetto di interesse.
La sentenza impugnata non ha, difatti, dichiarato la nullità degli avvisi per difetto di motivazione e il controricorrente su tale punto della motivazione non è soccombente. Ne consegue, pertanto, sotto tale profilo la sua carenza di interesse.
Secondo un consolidato orientamento della Corte il principio posto dall’art. 100 c.p.c., alla cui stregua per proporre una domanda o per resistere ad essa è necessario avervi interesse, trova applicazione anche al giudizio di impugnazione, in cui l’interesse ad impugnare una data sentenza o un capo di essa va desunto dall’utilità giuridica che dall’eventuale accoglimento del gravame possa derivare alla parte che lo propone e non può consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi sulla decisione adottata e che non spieghi alcuna influenza in relazione alle domande o eccezioni proposte (v., ex plurimis , Cass. Sez. U., n. 12637/2008, Rv. 603219 -01; Sez. 6-5, n. 3991/2020, Rv. 656787 – 01; Cass., Sez. 2, n. 28307/2020, Rv. 659838 01; Cass., Sez. 5, 27 dicembre 2022, n. 37844; Sez. 3, n. 23054/2024, Rv. 672080 -01).
Con il secondo motivo di ricorso incidentale il controricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per avere ignorato «gli atti prodotti in giudizio che individuano il valore venale del terreno». Si assume che la stima UTE utilizzata non è agli atti e si deduce che il giudice del gravame ha omesso di motivare in ordine al valore dell’area, completamente ignorando gli atti prodotti in giudizio (che si ripercorrono nei relativi contenuti).
5.1. Si tratta di censura inammissibile, in quanto devolve alla Corte un indistinto riesame delle emergenze probatorie e, così, rimette al giudice di legittimità la stessa selezione dei dati probatori, al
di fuori dello schema del sindacato di legittimità che involge, come sopra meglio chiarito, solo l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti.
Da quanto esposto consegue il rigetto del ricorso principale e il rigetto del ricorso incidentale.
La soccombenza reciproca giustifica la compensazione delle spese del giudizio.
Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato di cui all’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale. Compensa, tra le parti, le spese del giudizio.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e il ricorso incidentale, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto. Così deciso il 15 novembre 2024.