Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32262 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32262 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20262/2020 R.G. proposto da :
DISTILLERIE RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che l a rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. dell’UMBRIA n. 365/2019 depositata il 12/12/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
1. Dalla sentenza in epigrafe, in punto di fatto, emerge quanto segue:
La contribuente RAGIONE_SOCIALE IN CONCORDATO PREVENTIVO ha interposto tempestivo appello avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Perugia del 25/09/17 che ha rigettato il ricorso avverso l’avviso di accertamento per IRES IRAP e IVA anno 2013.
Nel 2016 la GdF di Perugia eseguiva una verifica fiscale nei confronti della società – produttrice di alcool etilico – per gli anni 2013, 2014 e 2015 e tale controllo si concludeva con pvc in cui i verificatori elevavano rilievi per costi contabilizzati nel 2013 non deducibili in quanto in parte riferiti ad operazioni inesistenti ed in parte ad operazioni non inerenti l’attività d’impresa (acquisto di vino dalla srl Puglia Mosti – fattura ritenuta falsa per euro 154.557; acquisti di alcool neutro documentati da fatture della RAGIONE_SOCIALE ritenute false per euro 164.025; spese di mediazione di euro 74.101 per la RAGIONE_SOCIALE ritenute non inerenti).
Su tali rilievi la società produceva all’Agenzia delle Entrate osservazioni scritte con cui confutava le argomentazioni dei verbalizzanti ma, nonostante tali chiarimenti ed un contraddittorio avvenuto in data 30/8/16, l’ufficio notificava l’atto per cui è causa recependo integralmente i rilievi mossi dai verificatori .
Ora la società appella la decisione ritenuta errata evidenziando carente motivazione della sentenza: ripropone la censura circa i vizi formali dell’avviso che, redatto in formato digitale, era stato sottoscritto anche in modo digitale e nel formato cartaceo notificato recava la dicitura “irmato digitalmente” .
Circa il merito deduce che la sentenza non abbia tenuto alcun conto delle argomentazioni della contribuente sull’esistenza delle operazioni fatturate senza motivare il rigetto limitandosi a riepilogare le presunzioni dell’Agenzia cosicché ribadisce i motivi del ricorso .
La CTR dell’Umbria, con la sentenza in epigrafe, rigettava l’appello, sulla base della seguente motivazione:
In relazione alla censura di vizio di sottoscrizione dell’atto per cui è causa, il collegio osserva che tale motivazione inammissibile perché
tardiva: infatti, come dedotto dall’ufficio nelle sue difese, la società avrebbe dovuto contestare la inidoneità della documentazione prodotta dall’Agenzia (rapporto di verifica di firma dimostrante la correttezza del procedimento, ritenuto incomprensibile e/o indecifrabile e comunque redatto dopo la notifica dell’avviso di accertamento) nel corso del giudizio di primo grado, a tutela del principio del contraddittorio ma, non avendo provveduto in tal senso, vale il principio di non contestazione, con la conseguenza che il comportamento della società (silenzio) ha avuto un effetto vincolante per il giudice, che infatti si è giustamente astenuto dal controllo probatorio del fatto non contestato ed acquisito agli atti del processo, con la necessaria conseguenza che la contestazione a tale documento, mossa soltanto in sede d’appello è inammissibile in quanto costituirebbe un improponibile ampliamento della materia su cui decidere.
Osserva poi il collegio che anche la censura circa la ritenuta nullità dell’atto in quanto non poteva essere emesso in forma digitale, ‘ratione temporis’, stante la vigenza dell’art. 2 comma 6 D.Lgs. 82/05, è inammissibile in quanto proposta per la prima volta in grado d’appello in violazione dell’art. 57 D.Lgs. 546/92.
Nel merito delle contestazioni per cui è causa ed in particolare per il recupero della operazione commerciale di cui alla fattura ricevuta dalla Puglia COGNOME il collego osserva che le argomentazioni dell’appellante tese a dimostrare che la società avesse prodotto molto più vino di quanto dichiarato all’AGEA risultano non provate e sono smentite dalla analitica ricostruzione effettuata dalla GdF di Cerignola-Foggia venendo quindi a creare una presunzione grave, precisa e concordante cui era onere della società fornire prova contraria; anche il documento relativo al pagamento avvenuto in data 21/6/13, comprovato tramite estratto conto bancario, secondo questo collegio, non risulta determinante a contrastare la presunzione sopra citata (operazione inesistente oggettivamente) atteso che la giurisprudenza di cassazione ha un orientamento consolidato sul fatto che spetti al contribuente dare prova dell’effettiva esistenza delle operazioni contestate come inesistenti e che la prova non potrà consistere nella semplice esibizione della fattura o nella dimostrazione della regolare tenuta delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati .
Per quanto poi riguarda il trasporto della merce (ritenuto non veritiero) la società deduce la valenza dei registri di carico-scarico regolarmente vidimati dalla Agenzia delle Dogane e fa riferimento alla dichiarazione di un dipendente che ha reso conforme e favorevole testimonianza; rileva però il collegio che nel processo tributario la prova
testimoniate non è ammessa e che regolarità formale delle scritture, come già detto prima, non dimostra che il loro contenuto sia veritiero in quanto redatte dallo stesso contribuente.
In relazione al secondo motivo inerente il disconoscimento di costi per acquisto di alcool etilico dalla controllante RAGIONE_SOCIALE – che a sua volta aveva acquistato il prodotto dalla società RAGIONE_SOCIALE – il collegio osserva che le indagini svolte dagli accertatori appurato che la controllante RAGIONE_SOCIALE, non avendo svolto alcuna funzione nella fornitura del prodotto se non in fase di fatturazione, stata interposta fittiziamente al fine di trasferire materia imponibile (sovrafatturazione); l’appellante allega documentazione delle due cessioni (da Villapana a COGNOME – da COGNOME a RAGIONE_SOCIALE COGNOME, pagamenti tracciati, trasporto del prodotto, fatture) e deduce il nessun vantaggio fiscale; secondo questo collegio giudicante resta però inspiegabile il motivo per cui la RAGIONE_SOCIALE, non avendo svolto alcun ruolo nella fornitura, possa giustificare l’importo sovrafatturato atteso che la COGNOME era un fornitore abituale della società appellante e non si comprende quindi il fine ed il ruolo per il quale sia intervenuta, per la fornitura, la RAGIONE_SOCIALE che si è limitata a “rivendere” il prodotto alla controllata ad un prezzo maggiorato (sovrafatturazione), ferme restando tutte le usuali condizioni di vendita.
In questo quadro fattuale le argomentazioni della società appellante tese a dimostrare la regolarità formale dell’operazione commerciale non risultano idonee a superare la presunzione dell’ufficio né vale la tesi sull’inesistenza del risparmio fiscale atteso che l’interposizione con sovrafatturazione ha comportato la riduzione del risultato economico fiscale annuale ed ha fatto realizzare un credito di IVA poi usato in compensazione.
Infine per quanto concerne la mediazione svolta dalla RAGIONE_SOCIALE quale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE (fornitore macedone) considerata come costo non inerente, il collegio osserva che la documentazione prodotta dalla società appellante – citata in narrativa non risulta idonea a dimostrare l’inerenza della spesa: sul punto la giurisprudenza di cassazione è univoca nell’attribuire al contribuente l’onere della prova e, nella specie, le fatture ricevute per il servizio erogato a terzi, possono forse assumere la qualifica indiziaria ma abbisognano di ulteriori conferme che, nella specie, non sussistono stante l’assoluta genericità delle prestazioni e quindi difficilmente collegabili solo per la loro esistenza – all’attività d’impresa.
Da ultimo in relazione all’irrogazione delle sanzioni in materia di IVA il collegio ritiene infondata la censura dell’appellante che nel calcolo vede violato il principio di consunzione o di assorbimento: nella specie la società ha posto in essere due comportamenti illeciti commessi in tempi e fasi diversi (a – registrazione della fattura con IVA a credito ex art. 6 comma 6 D.Lgs. 471/97; b – imposta valutata nella dichiarazione annuale ex art. 5 comma 4 e 4 bis D.Lgs. 471/97) con conseguente legittimità delle sanzioni e della loro quantificazione, come sancito anche dai primi giudici la cui decisione merita quindi ampia conferma.
Propone ricorso per cassazione la contribuente con sei motivi; resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso.
3.1. Il difensore della contribuente deposita memoria telematica addì 3 ottobre 2024 onde far constare ‘che nelle more del presente giudizio il Tribunale Civile di Perugia ha dichiarato il fallimento della RAGIONE_SOCIALE con sentenza 14 luglio 2021, n. 52′.
Considerato che:
I primi tre motivi, per sostanziale omogeneità di censure, possono essere enunciati congiuntamente.
Primo motivo, così rubricato: ‘ Nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 57 del D.Lgs. n. 546 del1992 (art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.)’ e così sintetizzato in ricorso: ‘RAGIONE_SOCIALE già durante il primo grado di giudizio, aveva censurato la violazione dell’art. 42 del D.P.R. n. 600/1973 sia perché l’Agenzia delle Entrate non poteva sottoscrivere l’atto con modalità di firma digitali, sia in quanto l’atto era stato redatto in contrasto alle disposizioni proprie del procedimento per la firma digitale degli atti amministrativi previsto dal Codice dell’Amministrazione Digitale. La Commissione Tributaria Provinciale, difatti, si era specificamente espressa sul punto affermando che l’Amministrazione finanziaria era legittimata a firmare digitalmente l’avviso di accertamento’.
Secondo motivo, così rubricato: ‘Nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 115, comma 1, c.p.c. e
dell’art. 57 del D.Lgs. n. 546 del 1992 (art. 360, comma l, n. 4, c.p.c.)’ e così sintetizzato in ricorso: ‘La Commissione Tributaria Regionale dell’Umbria ha errato sia nel sancire l’applicazione del principio di non contestazione circa l’idoneità probatoria dei documenti depositati in primo grado dall’Agenzia delle Entrate per dimostrare che il procedimento di firma digitale fosse stato effettuato correttamente come richiesto dalla società contribuente con il primo motivo di ricorso in primo grado, sia, conseguentemente, nell’affermare che la doglianza della contribuente era stata proposta solo in appello’.
Terzo motivo, così rubricato: ‘Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 42, comma 1, del D.P.R. n. 600 del 1973, dell’art. 3-bis, comma 4-bis e dell’art. 2, comma 6, del D.Lgs. n. 82 del 2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale) vigente ‘ratione temporis’ (ai sensi dell’art. 360, comma l, n. 3, c.p.c.)’ e così sintetizzato in ricorso: ‘I Giudici di seconde cure hanno errato nel non annullare l’avviso di accertamento nonostante esso fosse stato redatto in frontale contrasto alle disposizioni proprie al procedimento di firma digitale degli atti amministrativi previste dal Codice dell’Amministrazione Digitale, nonché in quanto l’Agenzia delle Entrate non poteva sottoscrivere l’atto con modalità digitali’.
4.1. In particolare, secondo la contribuente:
‘se la Commissione di secondo grado avesse esaminato quanto devoluto dalla società contribuente a pagg. 8-13 dell’atto di appello circa il disposto dell’art. 2, comma 6, del D.Lgs. n. 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale), nella forma vigente all’epoca dell’emissione dell’avviso di accertamento, che esplicitamente escludeva dalla propria portata applicativa gli atti dell’Amministrazione finanziaria, avrebbe certamente rilevato la nullità dell’atto a prescindere da qualsivoglia produzione probatoria eseguita dall’Ufficio dal momento che esso, essendo stato notificato prima del 2018, non poteva essere emesso e sottoscritto in forma
digitale attesa la chiara prescrizione del citato art. 2, comma 6, del D.Lgs. n. 82/2005. Ed invero, detta norma disponeva che ‘Le disposizioni del presente Codice non si applicano limitatamente all’esercizio delle attività e funzioni ispettive e di controllo fiscale, di ordine e sicurezza pubblica, difesa e sicurezza nazionale, polizia giudiziaria e polizia economicofinanziaria e consultazioni elettorali’ (cfr. doc. n. 2 allegato all’atto di appello) . In buona sostanza, quindi, alla data di notifica dell’avviso di accertamento avvenuta il giorno 8 novembre 2016 l’Amministrazione finanziaria non era ancora legittimata a servirsi delle modalità di emissione e sottoscrizione digitale degli atti impositivi. Solo, difatti, il D.Lgs. 13 dicembre 2017, n. 217 – vigente dal 27 gennaio 2018 – ha aggiunto il comma 6-bis al citato art. 2 del D.Lgs. n. 82/2005 con cui l’Amministrazione finanziaria è poi stata autorizzata ad emettere e firmare gli atti impositivi a mezzo di strumenti digitali’;
2) ‘i Giudici di seconde cure, qualora avessero esaminato quanto prodotto dall’Agenzia delle Entrate in primo grado in allegato alla memoria illustrativa per l’udienza pubblica al fine di dimostrare la asserita correttezza del procedimento di sottoscrizione digitale, avrebbero certamente rilevato che il documento depositato in giudizio (cfr. doc. n. 1 allegato alla memoria depositata in primo grado dall’Agenzia delle Entrate) non era affatto idoneo a dimostrare la correttezza del procedimento di sottoscrizione dell’atto, essendo esso, in realtà, un documento del tutto incomprensibile che, a ben vedere, nulla dimostrava in tal senso. Ed infatti, come già esplicitato nell’atto di appello (pagg. 813 dell’atto di appello) e qui ricordato (vedi ‘supra’ nota n. 2), esso riporta una serie di codici e diciture del tutto indecifrabili da cui, invero, non era affatto possibile desumere la correttezza del procedimento di sottoscrizione. In particolare, da un’attenta lettura di detto allegato emerge inequivocabilmente la dicitura ‘Informazioni sulla verifica della firma alla data: 06 -062017 …’
(cfr. doc. n. 1 allegato alla memoria ex art. 32 del D.Lgs. n. 546/1992 dell’Agenzia delle Entrate).
Il terzo motivo, da esaminare prioritariamente in funzione del criterio della ragione più liquida, è nel complesso infondato e, pertanto, va disatteso.
5.1. Tale è la prima parte di detto motivo, dianzi esposta ‘sub’ 1.
Essa -oltreché non impugnare, con conseguente esito ‘ex se’ d’inammissibilità, l’affermazione della CTR secondo cui ‘anche la censura circa la ritenuta nullità dell’atto in quanto non poteva essere emesso in forma digitale, ‘ratione temporis’, stante la vigenza dell’art. 2 comma 6 D.Lgs. 82/05, è inammissibile in quanto proposta per la prima volta in grado d’appello in violazione dell’art. 57 D.Lgs. 546/92′ non considera avere questa S.C. già ripetutamente affermato che ‘l’avviso di accertamento firmato digitalmente nel regime di cui all’art. 2, comma 6, D.Lgs. n. 82 del 2005 (‘ratione temporis’ vigente dal 14 settembre 2016 fino al 26 gennaio 2018), non è nullo per difetto di sottoscrizione, posto che l’esclusione dell’utilizzo di strumenti informatici prevista per l’esercizio delle attività e funzioni ispettive fino all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 217 del 2017 riguarda la sola attività di controllo fiscale e non può estendersi agli avvisi di accertamento ed in genere agli atti impositivi’ .
5.2. Analoghe considerazioni valgono per la seconda parte del terzo motivo, dianzi esposta ‘sub’ 2.
Essa -che di per sé non riproduce né comunque descrive, in violazione pertanto dei principi di precisione ed autosufficienza, il rapporto prodotto dall’Agenzia con le controdeduzioni in primo grado, onde render conto della dedotta incomprensibilità del
relativo contenuto -non considera che -secondo la sentenza impugnata -l’avviso ‘nel formato cartaceo notificato recava la dicitura ‘irmato digitalmente”: ora sulla non avversata affermazione contenuta nel controricorso (p. 3) -in totale difetto, invece, di riproduzione dell’avviso in ricorso a termini della quale ‘il frontespizio dell’avviso di accertamento reca l’attestazione di conformità all’originale resa dal funzionario dott. COGNOME COGNOME nella sua qualità di pubblico ufficiale, in aderenza alle disposizioni recate dagli articoli 18 del D.P.R. n. 445/2000 e 23 del CAD’, viene in conto l’insegnamento per cui ‘la notificazione della copia analogica di un atto impositivo è legittima se la sua conformità all’originale informatico è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato, poiché tale attestazione è sufficiente a dimostrare l’avvenuta sottoscrizione dell’atto, conferendogli un valore probatorio equiparato all’originale informatico; viceversa, l’avviso di accertamento, notificato in formato cartaceo, contente la sola indicazione ‘firmato digitalmente’ in corrispondenza del nominativo del funzionario, ma privo dell’attestazione di conformità, è nullo, ai sensi dell’art. 42, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, in quanto privo di sottoscrizione’ . ‘Ergo’: l’avviso di cui si tratta era ritualmente sottoscritto. Dal mancato disconoscimento dell’attestazione di conformità apposta dal funzionario discende l’inammissibilità di qualsivoglia doglianza in punto di apposizione digitale della sottoscrizione, ‘a fortiori’ quanto alle modalità tecnico -informatiche della relativa operazione. Ciò, in definitiva, rende irrilevanti le questioni, oltretutto prettamente meritali e dunque estranee all’ambito cognitivo di questa Suprema Corte quale giudice della sola legittimità delle sentenze impugnate, sul rapporto dell’Agenzia.
Rapporto in riferimento al quale, ad ogni modo, per completezza, valga aggiungere che non coglie nel segno in
contrario la sottolineatura, su cui si appunta la seconda parte del motivo in disamina, della ‘dicitura ‘Informazioni sulla verifica della firma alla data: 06-062017 …”, successiva all’avviso: invero siffatte ‘informazioni sulla verifica della firma’ sono attestate ‘alla data: 06-062017’ nel senso che a tale data è riferibile la verifica informatica delle credenziali con estrazione del rapporto, ragion per cui nessun disallineamento temporale emerge relativamente all’avviso, in guisa da inficiarne la valida sottoscrizione.
5.3. Il rigetto del terzo motivo determina l’assorbimento del primo e del secondo, che, invero, deducono questioni in parte coincidenti ed in parte dipendenti, per l’effetto pregiudicate da quanto sin qui detto.
Quarto motivo, così rubricato: ‘Violazione e/o falsa applicazione degli art. 2727 e 2729 c.c. (art. 360, comma l, n. 3, c.p.c.)’ e così sintetizzato in ricorso: ‘La Commissione Tributaria Regionale dell’Umbria ha errato a sussumere sotto l’egida degli artt. 2727 e 2729 c.c. dei fatti meramente presuntivi ed indiziari privi, però, dei requisiti della gravità della precisione e della concordanza ponendoli, dunque, erroneamente ed illegittimamente alla base della propria decisione’.
6.1. Il motivo analizza i tre rilievi contenuti nell’avviso.
Primo rilievo, mediante il quale l’Ufficio ‘aveva contestato l’inesistenza delle operazioni intrattenute tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE relative alla vendita di un quantitativo di vino bianco avvenuto, appunto, nel 2013′.
‘a Commissione di secondo grado ha attribuito decisiva rilevanza ai seguenti fatti che, secondo l’Agenzia delle Entrate, farebbero presumere l’inesistenza dell’operazione di compravendita: che la RAGIONE_SOCIALE, nel 2013, aveva dichiarato all’Agenzia per le erogazioni in Agricoltura di avere a disposizione un quantitativo di vino bianco inferiore a quello venduto alla Società odierna appellante (376.970 Kg) ; che vi
sarebbe stato un pagamento tardivo da parte della RAGIONE_SOCIALE del vino acquistato dalla RAGIONE_SOCIALE ; che i mezzi con cui sarebbe stata eseguita la consegna del prodotto (indicati nei c.d. D.D.T.-Documenti di trasporto), di proprietà del vettore “RAGIONE_SOCIALE, non sarebbero stati idonei a compiere il trasporto di liquidi “perché provvisti di cassoni e non di cisterne” oppure perché mai utilizzati dal medesimo vettore ‘.
‘In primo luogo , risulta del tutto errato presumere che l’operazione non sia mai avvenuta solamente per il fatto che la RAGIONE_SOCIALE nel 2013 aveva ufficialmente acquistato un quantitativo di vino minore rispetto a quello poi venduto alla odierna ricorrente . ome anche dimostrato in grado di appello (cfr. pagg. 21-23 dell’atto di appello; in primo grado cfr. pagg. 7-11 del ricorso introduttivo) attraverso un semplice calcolo matematico, la ‘RAGIONE_SOCIALE‘, durante la campagna vitivinicola 2012-2013, aveva prodotto molto più vino bianco di quello risultante dalla dichiarazione presentata all’Agenzia per le erogazioni in agricoltura e superiore (di molto) anche a quello venduto alla ‘RAGIONE_SOCIALE‘. Difatti, se si tiene conto del quantitativo di vinaccia che la “RAGIONE_SOCIALE” ha comprato durante la medesima campagna vitivinicola dalla “RAGIONE_SOCIALE” (718.850 Kg) .
‘In secondo luogo, risulta del tutto improprio attribuire rilevanza tardività del pagamento effettuato dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE per la prestazione da essa ricevuta ‘.
‘In terzo luogo e da ultimo, è errato considerare grave, precisa e concordante con le altre presunzioni la circostanza che i mezzi con cui il vino è stato trasportato non sarebbero stati idonei per questo tipo di trasporto. Ed infatti, seppure non pienamente
dimostrativi del trasporto, i registri di carico e scarico prodotti dalla contribuente (cfr. doc. n. 8 del ricorso introduttivo), essendo oggetto di controllo da parte dell’Agenzia delle Dogane (cfr. doc. n. 9 del ricorso introduttivo) avrebbero comunque dovuto insinuare nei Giudici il dubbio che detto trasporto sia effettivamente avvenuto ‘.
Secondo rilievo, ‘attinente l’operazione commerciale di compravendita intercorsa tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE
‘algono le stesse considerazioni già esposte nel precedente punto a)’. ‘Infatti, da un lato, i detti costi sono stati documentalmente provati da tre regolari fatture di acquisto (cfr. doc. n. 12 del ricorso introduttivo) e, dall’altro lato, la società contribuente bene aveva spiegato le ragioni poste alla base dell’operazione effettuata e del motivo per cui era stata coinvolta anche l’altra società del gruppo’. ”’inspiegabilità’ dell’operazione così come considerata dai Giudici, si contrappone al fatto che detta operazione è stata, in realtà, del tutto normale dal punto di vista commerciale. Come visto, infatti, dapprima vi è stato l’acquisto di un grosso quantitativo di alcool da parte della RAGIONE_SOCIALE dalla RAGIONE_SOCIALE in esecuzione di un contratto di compravendita stipulato nell’anno 2013 tra le predette società (cfr. doc. n. 13 del ricorso introduttivo) opportunamente documentato da quattro fatture per la cessione del prodotto emesse tra la data del 30 maggio 2013 e quella del 10 settembre 2013 (cfr. doc. n. 14 del ricorso introduttivo) con indicati i numeri dei D.D.T. con cui è avvenuta la consegna del prodotto alcolico le quali sono state regolarmente pagate dalla ‘RAGIONE_SOCIALE mediante quattro bonifici bancari tra il 31 luglio 2013 ed il 30 novembre 2013, così come risulta dalle relative distinte bancarie (cfr. doc. n. 16 del ricorso di primo grado). Successivamente, poi, vi è stato la compravendita tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE documentata fiscalmente dalle fatture oggetto di contestazione erariale (cfr. doc. n. 12 del ricorso introduttivo) e che trova riscontro, ai fini del pagamento dei relativi corrispettivi, nei bonifici bancari eseguiti dalla ‘RAGIONE_SOCIALE‘ alla ‘RAGIONE_SOCIALE‘ nell’estratto di conto corrente acceso dalla ‘RAGIONE_SOCIALE‘ presso la ‘Banca Etruria’, relativo al secondo semestre dell’anno 2013 (cfr. doc. n. 18 del ricorso introduttivo) ‘.
Terzo rilievo, ‘relativo all’inerenza del costo sostenuto dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE per l’opera di intermediazione da quest’ultima svolta’.
‘ fronte delle contestazioni erariali, anche in questo caso la società aveva puntualmente documentato detta prestazione spiegandone l’inerenza alla propria attività di impresa. In particolare, l’odierna ricorrente aveva prodotto sia una dichiarazione in lingua inglese rilasciata dalla ditta fornitrice alla RAGIONE_SOCIALE dal quale si evinceva chiaramente che all’operazione di compravendita aveva partecipato in qualità di intermediario anche la società RAGIONE_SOCIALE‘ (cfr. doc. n. 25 del ricorso introduttivo), sia una dichiarazione in duplice lingua da parte della RAGIONE_SOCIALE in cui è dato leggere che: ”’. ‘Cosa avrebbe dovuto dimostrare di più la RAGIONE_SOCIALE per scalfire le presunzioni operate dall’Ufficio e, dunque, provare che l’opera di intermediazione della RAGIONE_SOCIALE era effettivamente avvenuta per l’acquisto di una mediazione commerciale afferente l’attività di impresa della contribuente e che detta operazione era stata debitamente pagata?’.
6.2. Il motivo è inammissibile.
Non riproduce e comunque non riassume le precise devoluzioni effettuate ai giudici di merito in primo ed in secondo grado; fa continui riferimenti ad atti e documenti non riprodotti né
quantomeno descritti; propone questioni di puro merito, in violazione di canoni e limiti del giudizio di cassazione quale momento di controllo della mera legalità, ossia legittimità, delle sentenze impugnate.
Quinto motivo, così rubricato ‘Nullità della sentenza o del procedimento per violazione degli artt. 7, D.Lgs. n. 546/1992 e 115 c.p.c. (ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.)’ e così sintetizzato in ricorso: ‘La Commissione di secondo grado non ha valutato la dichiarazione del Sig. NOME COGNOME relativa al trasporto della merce proveniente dalla RAGIONE_SOCIALE in quanto ha ritenuto tale dichiarazione quale ‘testimonianza’ vietata nel processo tributario. Tuttavia, la dichiarazione del Sig. COGNOME non è affatto una testimonianza ma assume la natura di dichiarazione di terzi che, secondo il granitico e recente orientamento di codesta Suprema Corte può avere libero accesso nel processo tributario e deve essere valutata dal Giudice di merito’.
7.1. Il motivo è inammissibile.
Vero è che la CTR è incorsa in errore -con conseguente necessità che ‘in parte qua’ la motivazione della sentenza impugnata sia corretta -nel ritenere la dichiarazione contenente la testimonianza di tale COGNOME Stefano vietata nel processo tributario: invero -secondo la giurisprudenza di legittimità -‘le dichiarazioni extraprocessuale di terzi sono ammissibili ed utilizzabili nel processo tributario -nel rispetto dell’art. 6 CEDU e del principio di parità delle armi di cui all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea -e hanno valore di elementi indiziari, utilizzabili sia dall’Amministrazione, sia dal contribuente’ .
Tuttavia, siffatto errore di per sé non inficia la tenuta logico -giuridica della sentenza impugnata, posto che, rispetto all’acquisto oggetto del primo rilievo, la CTR ha compiuto una valutazione
complessiva del quadro indiziario, affermando che ‘ le argomentazioni dell’appellante tese a dimostrare che la società avesse prodotto molto più vino di quanto dichiarato all’AGEA risultano’, da un lato, ‘non provate’ e, dall’altro, ‘smentite dalla analitica ricostruzione effettuata dalla GdF d CerignolaFoggia’.
Ciò rilevato, confluendo le dichiarazioni del COGNOME nella dinamica della prova indiziaria (stante la giurisprudenza di legittimità appena citata), il motivo non dimostra un’efficacia delle stesse in termini di attitudine a ribaltare gli esiti della valutazione meritale attinta dalla CTR mediante attribuzione di prevalenza all”analitica ricostruzione’ dalla contribuente neppure contestata -della GdF: talché il motivo -per l’effetto, come anticipavasi, inammissibile -non allega e non comprova la decisività dell’indizio pur erroneamente dichiarato inammissibile ‘sub specie’ della ritenuta qualifica di prova testimoniale.
D’altronde – sia consentito di aggiungere – il fatto che il COGNOME – giusta quanto riferito nel motivo – abbia dichiarato di aver ‘assistito’, mentre era intento nelle sue mansioni, ‘all’ingresso nei depositi di numerosi automezzi contenenti ingenti quantitativi di vino della ‘RAGIONE_SOCIALE” non rende evidenza della suddetta attitudine, difettando dell’indicazione degli elementi di fatto in forza dei quali il dichiarante potesse attribuire gli ‘ingenti quantitativi di vino’ alla ‘RAGIONE_SOCIALE‘.
Sesto motivo, così rubricato: ‘Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 6, comma 6, D.Lgs. n. 471/1997 e dell’art. 5, comma 4-bis, del D.Lgs. n. 471/1997 (ai sensi dell’art. 360, comma l, n. 3, c.p.c.)’ e così sintetizzato in ricorso: ‘I Giudici di secondo grado hanno errato nel non applicare il principio di consunzione o assorbimento’.
8.1. Il motivo impinge sulle sanzioni. ‘a RAGIONE_SOCIALE sia in primo grado (cfr. pagg. 39-41 del ricorso
introduttivo) che in grado di appello (cfr. pagg. 58-61 dell’atto di appello) aveva censurato omessa applicazione del principio di consunzione o assorbimento’. ‘ evidente che la sanzione relativa alle violazioni in materia di dichiarazione, di cui all’art. 5, comma 4-bis, D.Lgs. 471/1997, comprenda e contenga necessariamente in sé anche quella inerente alla violazione della ‘Illegittima detrazione dell’imposta’, di cui all’art. 6, comma 6, del D.Lgs. n. 471/1997. Ed infatti, se si ritiene che il contribuente abbia violato più obblighi inerenti alla contestata illegittima operazione di detrazione dell’IVA, tale condotta esplica necessariamente i propri effetti anche ai fini della dichiarazione in quanto implica automaticamente che il contribuente abbia presentato una dichiarazione con imposta inferiore a quella dovuta’.
8.2. Il motivo è infondato.
Invero -in disparte che, di per sé inammissibilmente, non riproduce i motivi devoluti ad entrambi i giudici di merito e neppure l’avviso nella parte sanzionatoria, così impedendo di verificare le contestazioni mosse e le sanzioni irrogate -comunque l’illecito di cui all’art. 5, comma 4-bis, D.Lgs. n. 471 del 1997, che colpisce la presentazione di una dichiarazione con esposizione di un’imposta inferiore a quella dovuta mediante l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, non consuma né ricomprende anche quello di cui all’art. 6, comma 6, del D.Lgs. n. 471 del 1997, che colpisce l’illegittimo computo in detrazione dell’imposta, ragion per cui non può ritenersi che il disvalore del secondo s’annulli in quello del primo in applicazione del meccanismo dell’assorbimento: invero, trattasi di illeciti materialmente e giuridicamente distinti per condotta, struttura, tempi e modi di consumazione e per bene giuridico tutelato; ragion per cui la circostanza che il primo -a tenore del motivo –
dovrebbe ‘implica automaticamente’ il secondo costituisce in realtà una ‘consecutio’ meramente fattuale , priva di alcuna rispondenza ad una necessità logicogiuridica ; tant’è che, in via giust’appunto di fatto , nulla esclude che, a fronte di un’illegittima detrazione, la dichiarazione possa non essere presentata affatto oppure possa esserlo, diversamente, per le più svariate ragioni, con appostazioni corrette.
In definitiva, il ricorso va integralmente rigettato, con le statuizioni consequenziali come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il terzo, quarto, quinto e sesto motivo di ricorso, assorbiti il primo ed il secondo.
Condanna la ricorrente a rifondere all’Agenzia delle entrate le spese di lite, liquidate in euro 8.200, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso a Roma, lì 24 ottobre 2024.