Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18297 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18297 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: LIBERATI NOME
Data pubblicazione: 04/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3507/2017 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da NOME (CODICE_FISCALE
: ll’avvocato
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO
-controricorrente-
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, sede di MILANO n. 4334/2016 depositata il 21/07/2016. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle Entrate ha notificato alla società contribuente l’avviso di liquidazione n. l O/IT/002283/000/P002, poi annullato in autotutela, con cui ha richiesto il pagamento di € 481.775,73 a titolo di imposta di registro, ipotecaria e catastale, avendo proceduto a rideterminare il valore del ramo d’azienda ceduto nummo uno .
Successivamente, in data 5 ottobre 2012, la stessa Agenzia delle Entrate – dopo aver preso atto dell’assenza di immobili, come segnalato dalla contribuente in sede di istanza di autotutela – ha emesso un nuovo avviso di liquidazione dell’imposta di registro, contraddistinto sempre dal n. IOIIT/002283/000/P002, per complessivi euro 291 .304,30, provvedendo alla liquidazione dell”imposta di registro dovuta pari al 3% sull’imponibile di euro 9.715.210,23 ai sensi dell’art. 2 Tariffa Parte Prima allegata al D.P.R. 131/1986, considerato che in sede di registrazione era stata versata l’imposta di registro nella sola misura fissa.
A seguito di ricorso della contribuente, con sentenza n. 6112/40/2015, la Commissione Provinciale di Milano ha accolto il ricorso della Società contribuente.
Avverso la suddetta decisione, ha proposto appello l’Agenzia delle Entrate, e la Commissione Tributaria Regionale di Milano con sentenza n. 4334/2016 depositata il 21/07/2016, ha accolto l’appello riformando la sentenza impugnata e dichiarando legittimo l’avviso di liquidazione in esame, con condanna alle spese di giudizio. In particolare, la CTR ha rilevato che l’Ufficio si era limitato a liquidare l’imposta sulla base dei dati forniti dalle parti al momento della registrazione, senza operare valutazioni sui beni, e che tale procedura non richiede l’obbligo di contraddittorio. L’amministrazione aveva difatti applicato l’aliquota del 3% al valore dei beni dichiarato proprio dalle parti, senza effettuare alcuna nuova rettifica, dato che la detta rettifica dei valori era avvenuta in un altro avviso, oggetto di separata impugnazione, con determinazione già confermata dal giudice di
appello. Ha specificato, in proposito, che la differenza tra attivo e passivo aziendale non è un criterio di valutazione utilizzato dall’Ufficio per la rettifica del valore dichiarato, bensì la somma algebrica dei dati (dichiarati dalle stesse parti) che devono essere presi a riferimento per la liquidazione dell’imposta.
Avverso la suddetta sentenza di gravame, la società contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a n. 3 motivi, cui ha resistito con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il secondo motivo di ricorso, che è prioritario dal punto vi vista logico e va quindi analizzato per primo, parte ricorrente ha contestato invece la violazione dell’art. 360, co. 1^, n. 3, c.p.c. per carenza di motivazione e violazione dell’art. 7 della L. n. 212/2000 e del generale principio dell’obbligo di motivazione di tutti gli atti amministrativi. La CTR avrebbe violato l’obbligo di motivazione non tenendo conto dell’art. 52 del Testo Unico sull’Imposta di Registro (TUR), che detta i requisiti minimi dell’avviso di rettifica e dispone l’obbligo di motivazione e che costituisce lo strumento attraverso cui l’Agenzia delle Entrate deve esplicitare al contribuente la rettifica del valore venale dell’azienda ceduta, ai fini dell’imposta di registro: l’Ufficio avrebbe rideterminato in modo irrituale (e quindi illegittimo) il valore venale dell’azienda ceduta, limitandosi a rilevare la differenza tra attivo e passivo aziendale, senza tenere in alcun conto qualsiasi altro criterio per la determinazione del valore di avviamento, di cui invece avrebbe dovuto tener conto, così come disposto dall’art. 51, comma 4, del Tur.
1.1. Al di là del fatto che la doglianza si rivolge, inammissibilmente, al contenuto del provvedimento più che alla decisione della CTR, deve rilevarsi che la censura è infondata.
1.2. Contrariamente a quanto dedotto in ricorso, con specifico riferimento all’avviamento, la CTR si è espressamente pronunciata sulla
questione (a pagina 3 della motivazione ), ritenendo però che ‘l’atto non avrebbe potuto, peraltro, tener conto di tale valore negativo in quanto non indicato espressamente dalle parti’.
1.3. Non sussiste dunque la dedotta violazione di legge, prospettata con specifico riferimento alle disposizioni di cui all’art. 7 della L. n. 212/2000 (Statuto del Contribuente).
1.4. La censura va dunque respinta.
Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 360, co. 1^ n. 4, c.p.c. per mancata valutazione di una prova documentale offerta che integra violazione dell’art. 115 c.p.c.. La CTR non avrebbe considerato adeguatamente la documentazione presentata, in particolare gli atti impositivi relativi ad accertamenti effettuati dall’Agenzia delle Entrate per le annualità 2010 e 2011, con i quali era stata riconosciuta l’esistenza di un avviamento negativo derivante dall’acquisto del ramo d’azienda.
Con il terzo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., per errata applicazione dell’art. 51 e 52 D.P.R. 131/86 anche per carenza probatoria. La CTR non avrebbe correttamente applicato gli artt. 51 e 52 del D.P.R. 131/86, in quanto ha liquidato l’imposta senza emettere un avviso di rettifica adeguatamente motivato e senza considerare il valore venale dell’azienda. Si contesta, in particolare, la legittimità della conclusione cui è pervenuta la CTR sulla liquidazione delle imposte dovute applicando al valore dei beni dichiarato in atti dalle parti l’aliquota del 3%, senza effettuare alcuna rettifica, in quanto, a parere del ricorrente, sarebbe stata necessaria una specifica procedura di rettifica.
Le censure possono essere trattate insieme, in quanto strettamente connesse.
4.1. I motivi sono fondati.
4.2. Si applica alla fattispecie l’art. 51 c. 4 D.P.R. 131/86 , avendo l’amministrazione operato una rettifica rispetto alla dichiarazione di valore nummo uno proposta dalle parti.
4.3. Non è in discussione che vi sia stato un avviamento e che lo stesso, anche se negativo, debba essere valutato ai fini della determinazione della base imponibile, come da consolidato orientamento giurisprudenziale.
4.4. Questa Corte ha già avuto modo di precisare che, in ordine al valore da attribuire all’avviamento, l’accertamento compiuto dalla CTR non è solo di mero fatto, e perciò non si sottrae al sindacato di legittimità per il profilo invocato dalle società ricorrenti, in quanto presuppone anche la corretta interpretazione della norma di cui all’art. 51, comma 4, del d.P.R. n. 131 del 1986, che prevede che il valore delle aziende va controllato dall’Ufficio con riferimento al valore complessivo dei beni, compreso l’avviamento, al netto delle passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie o da atti aventi data certa a norma del codice civile. Ciò premesso, occorre considerare che, per le aziende, il valore di avviamento è determinato sulla base della percentuale di redditività applicata alla media dei ricavi accertati o dichiarati ai fini delle imposte sui redditi negli ultimi tre periodi di imposta anteriori al trasferimento moltiplicata per tre (Cass. n. 9583 del 2016) (Cass. 31/10/2018, n. 28738).
4.5. Ciò premesso, nel caso di specie deve farsi dunque applicazione del principio secondo il quale in tema di determinazione del valore venale dell’azienda trasferita ai fini dell’imposta di registro, l’avviamento, in quanto qualità aziendale intrinseca richiamata dall’art. 51, comma 4, del d.P.R. n. 131 del 1986, rileva non solo se positivo, ma anche se negativo, quando ha determinato, come tale, la pattuizione tra le parti di un prezzo di cessione inferiore al valore patrimoniale netto dei cespiti aziendali, perché scontato in ragione della fondata previsione di perdite future e del solo successivo recupero
di redditività dell’azienda stessa (Cass. 17/01/2025, n. 1190 – Rv. 673623 – 02).
4.6. Va rammentato anche, in proposito, che il divieto di extratestualità nell’imposta di registro concerne la qualificazione giuridica dell’atto (art. 20) , ma non gli elementi legali di determinazione della base imponibile, tra i quali appunto l’avviamento.
4.7. Alla luce di quanto sopra evidenziato, deve quindi affermarsi che sussiste la violazione degli articoli 51, comma 2 e 4 e, pertanto, la rettifica effettuata con l’avviso n. 10/IT/002283/000/P002 dovrà essere rivista dal giudice di merito alla luce del principio indicato.
I motivi nn. 1 e 3 vanno conseguentemente accolti.
In base alle affermazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto limitatamente ai motivi nn. 1 e 3, rigettato il n. 2.
In conclusione, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese di legittimità, dovendo operarsi una rideterminazione del valore dell’azienda tenendo conto anche dell’avviamento negativo, a nulla rilevando che questo non risulti dall’atto di trasferimento, essendo elemento di stima specificamente contemplato dall’art. 51 tur.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata, con rinvio della causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, il 13/05/2025 .