Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3717 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3717 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20045/2020 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, domiciliato ex lege in INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM. TRIB. REG. dell’ ABRUZZO n. 892/2019 depositata il 29/10/2019; Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/01/2024 dal
Consigliere NOME COGNOME;
RILEVATO CHE
la Commissione Tributaria Regionale dell’ Abruzzo, con la sentenza 892/7/2019 depositata in data 29/10/2019 e non notificata, in controversia in tema di agevolazione ICI ex artt. 2 e 9, d.lgs. 504/1992, confermava la sentenza di primo grado che aveva riconosciuto il diritto al rimborso in favore del contribuente NOME COGNOME;
contro
detta sentenza propone ricorso per cassazione, fondato su quattro motivi, il Comune di Rosciano cui resiste con controricorso NOME COGNOME;
il Comune di Rosciano ha depositato memoria;
CONSIDERATO CHE
con il primo motivo l’ ente impositore denuncia, ex art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., violazione dell’ art. 132, n. 4, cod. proc. civ., 32, comma 2, d.lgs. n. 546/1992 e 111 Cost. per avere la C.T.R. adottato una motivazione meramente apparente in quanto, per un verso, nell’ inquadrare la questi one devoluta in diritto aveva richiamato in motivazione giurisprudenza non pertinente con la statuizione finale della decisione e, per altro verso, aveva omesso di argomentare in ordine alle deduzioni ed eccezioni formulate con il ricorso in appello;
con il secondo motivo denuncia, ex art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 21, nonché dell’art. 7, comma 5, d.lgs. n. 546/1992, non avendo i giudici di appello considerato che l’avviso di accertamento ICI 2008 era divenuto definitivo e che, sulla scorta normativa in questione, non sarebbero stati, comunque, disapplicabili né il pregresso avviso di
accertamento divenuto definitivo e né il pregresso diniego di annullamento;
con il terzo motivo denuncia, ex art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., violazione dell’ art. 132, n. 4, cod. proc. civ., 32, secondo comma, d.lgs. n. 546/1992 e 111 Cost. per avere la C.T.R. omesso di motivare sulla fondamentale questione relativa alla spettanza del diritto al rimborso in favore del contribuente;
con il quarto motivo denuncia, ex art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 9 del d.lgs. n. 504/1992 e 58 del d.lgs. n. 446/1997, nonché dell’art. 2697 cod. civ., per non avere la Commissione Tributaria Regionale rilevato l’insussistenza, in capo al contribuente, dei requisiti di legge per poter beneficiare del regime di agevolazione della tassazione ICI atteso che non era sufficiente la mera qualifica di imprenditore agricolo, ma era ulteriormente necessario il requisito della conduzione diretta proprio dei terreni per i quali viene richiesta l’ agevolazione, ulteriore requisito che non era stato in alcun modo dimostrato dal contribuente;
il primo motivo è fondato, risultando evidente il vizio di motivazione lamentato;
5.1. invero in tema di processo tributario è nulla, per violazione degli artt. 36 e 61 del d.lgs. n. 546 del 1992, nonché dell’art. 118 disp. att. c.p.c., la sentenza della commissione tributaria regionale completamente priva dell’illustrazione delle censure mosse dall’appellante alla decisione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la commissione a disattenderle e che si sia limitata a motivare “per relationem” alla sentenza impugnata mediante la mera adesione ad essa, poiché, in tal modo, resta impossibile l’individuazione del “thema decidendum” e delle ragioni poste a fondamento della decisione e non può ritenersi che la condivisione della motivazione impugnata sia stata raggiunta attraverso l’esame e la valutazione dell’infondatezza dei motivi di gravame. (In
applicazione del principio, la SRAGIONE_SOCIALE. ha annullato la sentenza impugnata che aveva confermato la decisione di primo grado attraverso il mero rimando al contenuto di tale pronuncia ed a quello agli scritti difensivi di una delle parti, in modo del tutto generico e senza esplicitare il percorso logico giuridico seguito per pervenire alle proprie conclusioni). (vedi Sez. 5 – , Sentenza n. 24452 del 05/10/2018, Rv. 650527 – 01), apparendo evidente la circostanza che i giudici di appello hanno adottato una motivazione meramente apparente non esaminando tutti i profili di censura dedotti dall’ ente impositore; 6. ciò posto, va richiamato l’insegnamento di questa Corte secondo cui, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, comma secondo, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 cod. proc. civ. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con il suddetto motivo risulti infondata, di modo che la pronuncia da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto (cfr. Cass. nn. 16171/2017, 2313/2010);
7.1. premesso quanto sopra, è fondato anche il secondo motivo di ricorso, con assorbimento dei motivi residui. Risulta infatti che il contribuente non abbia impugnato, oltre all’avviso di accertamento, neppure un primo diniego di rimborso e del resto, alla luce dei principi appresso specificati, lo COGNOME non poteva impugnare, in relazione alle ragioni dedotte, tenuto conto della normativa vigente ratione temporis , il diniego di rimborso ICI;
7.2. invero le Sezioni unite di questa Corte hanno più volte affermato il principio secondo il quale avverso l’atto con il quale
l’Amministrazione manifesta il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo (come avvenuto nel caso in esame), non è esperibile una autonoma tutela giurisdizionale, sia per la discrezionalità propria, in questo caso, dell’attività di autotutela, quanto per l’inammissibilità di un nuovo sindacato giurisdizionale sull’atto di accertamento munito del carattere di definitività, atteso che diversamente opinando, si darebbe inammissibilmente ingresso ad una controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo (Cass., Sez. un., nn. 2870 e 3698 del 2009; Cass., Sez. un., n. 16097 del 2009). Secondo l’arresto delle S.U. citate, il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo divenuto definitivo, non rientra nella previsione di cui all’art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e non è quindi impugnabile, per le ragioni esposte in precedenza. Dunque, l’istanza di autotutela del contribuente non determina per l’Amministrazione alcun obbligo giuridico di provvedere e, tanto meno, di agire nel senso prospettato dalla contribuente medesima. Contro il rifiuto espresso di autotutela può, difatti, esercitarsi solo un sindacato sulla legittimità del rifiuto stesso e non anche sulla fondatezza della pretesa tributaria, ciò che comporterebbe un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa propria dell’Amministrazione finanziaria e, nel caso in esame, anche una illegittima ablazione del giudicato che ha riguardato la legittimità del medesimo atto impositivo (Cass. n. 11457/2010; Cass. n. 10020/2012; Cass. nn. 25563, 15194 e 255524/2014);
7 .3. è stato osservato che l’ interesse a che ciascun individuo sia soggetto ad una tassazione conforme alla legge e correlata alla propria capacità contributiva è un interesse astratto (coincidente con il ripristino della legalità) laddove invece, per giustificare la doglianza contro il diniego di autotutela occorre che sia dedotto un interesse generale (cioè travalicante quello individuale della parte in causa), concreto e specifico (come, ad esempio, l’interesse derivante
dall’intervenuto annullamento da parte del giudice amministrativo di un atto presupposto a quello in questione; di atto basato su una affermazione di principio, suscettivo di generalizzazione, errata), in esatta corrispondenza all’interesse di cui l’amministrazione deve dar conto nella motivazione dell’atto di annullamento (adottato anche in assenza di sollecitazione del privato);
7.4. il “rilevante interesse generale” che legittima l’autotutela non può, dunque, consistere nella mera deduzione dell’erronea imposizione in ragione di diritto all’ agevolazione, trattandosi di profilo inerente, in via esclusiva, l’interesse privato ad evitare una tassazione superiore rispetto a quella che si ritiene dovuta, mentre il sindacato giurisdizionale può esercitarsi soltanto sulla legittimità del rifiuto stesso da parte dell’Amministrazione finanziaria, in relazione alle ragioni di rilevante interesse generale che, ai sensi dell’art. 2quater del decreto-legge 20 settembre 1994, n. 564, convertito con modificazioni dalla legge 30 novembre 1994, n. 656, e dell’art. 3 del d.m. 11 febbraio 1997, n. 37, ne giustificano l’esercizio, e non, come detto, sulla fondatezza della pretesa tributaria;
7 .5. in materia di autotutela tributaria deve anche richiamarsi l’ intervento della Corte Costituzionale che con la sentenza n. 181/2017, – nel dichiarare non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2 -quater , comma 1, del decreto-legge 30 settembre 1994, n. 564, conv., con mod., dalla legge 30 novembre e dell’art. 19, comma 1, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, sollevate dalla CTP di Chieti, in riferimento agli articoli 3, 23, 24, 53, 97 e 113 della Costitu zione, nell’ambito di un pro cesso instaurato da un contribuente contro il «silenziorifiuto formatosi sull’istanza di autotutela» avente ad oggetto il riesame degli avvisi di accertamento, non impugnati in sede giudiziaria, di rettifica in aumento dei redditi professionali dichiarati – dopo avere richiamato la giurisprudenza della Corte di cassazione secondo cui l’autotutela
tributaria costituisce un potere esercitabile d’ufficio da parte delle Agenzie fiscali sulla base di valutazioni largamente discrezionali, e non uno strumento di protezione del contribuente e secondo cui non esiste un dovere dell’Amministrazione di pronunciarsi sull’istanza di autotutela e, mancando tale dovere, il silenzio su di essa non equivale ad inadempimento, né, d’altro canto, il silenzio stesso può essere considerato un diniego, in assenza di una norma specifica che così lo qualifichi giuridicamente (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 27 marzo 2007, n. 7388; Corte di cassazione, sezione quinta civile, sentenza 9 ottobre 2000, n. 13412) -ha precisato che « A differenza di quest’ultimo , tuttavia, l’annullamento d’ufficio non ha funzione giustiziale, costituisce espressione di amministrazione attiva e comporta di regola valutazioni discrezionali, non esaurendosi il potere dell’autorit à che lo adotta unicamente nella verifica della legittimità dell’atto e nel suo doveroso annullamento se ne riscontra l’illegittimità. Certamente, l’apprezzamento discrezionale operato in sede di autotutela tributaria presenta tratti particolari per la forza che assume, nel suo contesto, l’interesse pubblico alla corretta esazione de i tributi. L’annullamento d’ufficio di atti inoppugnabili per vizi ‘sostanziali’, cioè che hanno condotto l’amministrazione a percepire somme non dovute, tende infatti a soddisfare ipso jure l’interesse pubblico alla corretta esazione dei tributi, che si può considerare una sintesi tra l’interesse fiscale dello Stato -comunità e il principio della capacità contributiva, tutelati dall’art. 53, primo comma, Cost. (…). Anche in un contesto così caratterizzato, tuttavia, nel quale l’interesse pubblico alla rimoz ione dell’atto acquista specifica valenza e tende in una certa misura a convergere con quello del contribuente, non va trascurato il fatto che altri interessi possono e devono concorrere nella valutazione amministrativa, e fra essi certamente quello alla stabilità dei rapporti giuridici di diritto pubblico, inevitabilmente compromessa dall’annullamento di un atto inoppugnabile. Tale
interesse richiede di essere bilanciato con gli interessi descritti -e con altri eventualmente emergenti nella vicenda concreta sulla quale l’amministrazione tributaria è chiamata a provvedere secondo il meccanismo proprio della valutazione comparativa. Sicché si conferma in ogni caso, anche in ambito tributario, la natura pienamente discrezionale dell’annullamento d’ufficio. Questa configurazione dell’autotutela tributaria emerge del resto chiaramente dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, che afferma il carattere discrezionale dell’autoannullamento tributario e, come visto, sottolinea che esso «non costituisce un mezzo di tutela del contribuente» (Corte di cassazione, sezione tributaria, sentenza 20 febbraio 2015, n. 3442, Corte di cassazione, sezione quinta civile, sentenza 24 maggio 2013, n. 12930, (…) Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 9 luglio 2009, n. 16097)»;
8. in conclusione il ricorso va accolto ex artt. 19 e 21 d.lgs. 546/92, dal momento che il contribuente non poteva agire per il riconoscimento del diritto al rimborso in ragione della mancata impugnazione dell’ avviso di accertamento e del diniego della prima istanza di rimborso; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa ex art. 384 cpc dichiarando inammissibile il ricorso originario proposto;
9.1. in ragione del criterio della soccombenza, NOME COGNOME va condannato al pagamento in favore dell’ ente impositore delle spese processuali dei giudizi di merito e dell’ odierno giudizio di legittimità , liquidate come da dispositivo;
P.Q.M.
la Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara inammissibile il ricorso originario proposto dal contribuente; condanna NOME COGNOME al pagamento in favore del Comune di Rosciano delle spese processuali che liquida, per il primo grado di giudizio, in complessivi euro 700,00 oltre accessori di legge, per il giudizio di appello in complessivi euro
800,00 oltre accessori di legge e per il presente giudizio di legittimità, in euro 900,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge se dovuti.
Così deciso nella camera di consiglio della Sezione Tributaria in data