Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9225 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9225 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 08/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1457/2019 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE con gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato
-controricorrente-
avverso la Sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania -Sezione Distaccata di Salerno n. 5266/2018 depositata il 04/06/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. La C.RAGIONE_SOCIALE ricorre, con due motivi, avverso la sentenza della CTR della Campania -Sezione Distaccata di Salerno che ha accolto l’appello erariale in controversia avente ad oggetto l’impugnazione del silenzio -rifiuto dell’Amministrazione avverso istanza di autotutela, con la quale la società contribuente aveva richiesto lo sgravio delle cartelle di pagamento n. NUMERO_CARTA e n. NUMERO_CARTA, non impugnate e divenute definitive.
Resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la società contribuente denuncia la «Violazione e falsa applicazione dell’art. 21 del D.Lgs. n. 546/1992. Violazione dell’art. 2 quater del D.L. 30/09/1994, n. 564, conv. dalla l. 30/11/1994 n. 656. Violazione dell’art. 2 comma 1, del D.M. 11/02/1997, n. 37. Violazione dei principi essenziali in tema di silenzio rifiuto».
1.1. Deduce la ricorrente che con l’istanza di autotutela aveva chiesto l’annullamento delle cartelle di pagamento de quo divenute definitive per mancata impugnazione. Lamenta che i giudici di appello non abbiano rilevato che le cartelle di pagamento di cui è stato chiesto lo sgravio rappresentavano una duplicazione dei crediti di imposta recuperati alla stessa società dall’ufficio con gli atti di recupero n. TF9CR1300194/2012 e n. TF9CR1300195/2012, annullati dalla medesima CTR con sentenza n. 3925/2015.
Con il secondo strumento di impugnazione, la ricorrente denuncia la «Violazione dell’art. 97 della Carta costituzionale. Violazione dell’art. 2043 c.c. Violazione dell’art. 2 quater del D.L. 30/09/1994, n. 564, conv. dalla l. 30/11/1994 n. 656. Violazione dell’art. 2 comma 1, lett. d) del D.M. 11/02/1997, n. 37. Violazione dei principi essenziali in tema di silenzio rifiuto. Violazione degli artt. 112 e 113 c.p.c. Violazione dell’art. 50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea».
2.1. Deduce la società contribuente che l’esercizio del potere di autotutela non rappresenta una facoltà da potersi liberamente esercitare ma un preciso ed ineludibile obbligo di legge attuativo dei fondamentali canoni della legittimità, imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa sanciti dall’art. 97 della Carta costituzionale, ciò anche nel rispetto del fondamentale principio del neminem laedere sancito dall’art. 2043 del codice
civile e dei principi primari e fondamentali che sanciscono l’obbligo di annullamento d’ufficio nei casi di illegittimità dell’atto impositivo.
I motivi, da ricondursi a ll’ambito del vizio, pur non espressamente invocato, della violazione di legge, sono da trattarsi congiuntamente stante la stretta connessione.
Giova premettere che l ‘istituto dell’autotutela tributaria è disciplinato ratione temporis dall’abrogato Decreto del Ministro delle Finanze 11 febbraio 1997, n. 37, emanato in attuazione delle disposizioni contenute nell’art. 2 -quater, comma 1, del D.L. n. 564 del 1994, convertito in L. n. 656 del 1994, non assumendo rilievo, ai fini della soluzione della presente controversia, le novità introdotte «in subiecta materia» dall’art. 1, comma 1, lettera m), del D. Lgs. n. 219 del 2023, che ha inserito nella L. n. 212 del 2000 (cd. statuto del contribuente) gli artt. 10-quater e 10-quinquies, dedicati, rispettivamente, all’esercizio dell’«autotutela obbligatoria» e dell’«autotutela facoltativa» da parte dell’Amministrazione Finanziaria.
4.1. In particolare, l’art. 2 del predetto decreto stabilisce che: «1. L’Amministrazione finanziaria può procedere, in tutto o in parte, all’annullamento o alla rinuncia all’imposizione in caso di autoaccertamento, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, nei casi in cui sussista illegittimità dell’atto o dell’imposizione, quali tra l’altro: a) errore di persona; b) evidente errore logico o di calcolo; c) errore sul presupposto dell’imposta; e) mancata considerazione di pagamenti di imposta, regolarmente eseguiti; f) mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini di decadenza; g) sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o regimi agevolativi, precedentemente negati; h) errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall’Amministrazione. 2. Non si procede all’annullamento d’ufficio, o alla rinuncia all’imposizione in caso di autoaccertamento, per motivi
sui quali sia intervenuta sentenza passata in giudicato favorevole all’Amministrazione finanziaria ». Il successivo art. 3 precisa, infine, che «nell’attività di cui all’articolo 2 è data priorità alle fattispecie di rilevante interesse generale e, fra queste ultime, a quelle per le quali sia in atto o vi sia il rischio di un vasto contenzioso».
Appare, quindi, opportuno premettere alla decisione il consolidato orientamento di questa Corte in merito ai limiti entro i quali gli atti con i quali l’Amministrazione neghi l’autotutela invocata possono essere impugnati.
5.1. L’evoluzione giurisprudenziale in materia è stata ben riassunta nella sentenza (cui si rimanda anche per le annotazioni che seguono) n. 24652 del 14/09/2021 di questa Corte, ancora di recente richiamata da Cass. n. 161/2024 e da Cass. 26505/2024, ove si premette che le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 16778 del 2005, facendo leva sul «carattere generale» della giurisdizione tributaria, assunto dopo la novella del 2001 n. 448, hanno affermato che, nonostante la mancata inclusione del provvedimento -tacito o espresso -di diniego di autotutela nell’elenco di cui all’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, esso è suscettibile di impugnativa giurisdizionale dinanzi al giudice tributario.
5.2. La successiva sentenza delle Sezioni Unite n. 7388 del 2007 ha precisato che l’attribuzione al giudice tributario, da parte dell’art. 12, comma 2, della legge n. 448 del 2001, di tutte le controversie in materia di tributi di qualunque genere e specie, comporta che anche quelle relative agli atti di esercizio dell’autotutela tributaria, in quanto comunque incidenti sul rapporto obbligatorio tributario, devono ritenersi devoluti al giudice la cui giurisdizione è radicata in base alla materia, indipendentemente dalla specie di atto impugnato. Pertanto, sebbene il provvedimento di autotutela sia discrezionale e comporti l’affievolimento della posizione soggettiva del contribuente ad interesse legittimo, ciò non comporta la
sottrazione delle controversie sui relativi atti al giudice naturale, ossia al giudice tributario.
5.3. Quanto ai limiti del sindacato giurisdizionale sugli atti di autotutela, le Sezioni Unite di questa Corte -facendo riferimento ai principi affermati dalla giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, sentenza n. 6758 e 7287 del 2004), in quanto, in base alla disciplina contenuta nell’art. 2-quater del d.l. 30 settembre 1994, n. 564, convertito, con modificazioni, nella legge 30 novembre 1994, n. 656, e nel regolamento di esecuzione, approvato con d.m. 11 febbraio 1997, n. 37, poteri di annullamento o di revoca dell’Amministrazione finanziaria possono essere esercitati soltanto nel perseguimento di interessi pubblici -hanno circoscritto l’oggetto del giudizio alla valutazione della legittimità del rifiuto dell’annullamento d’ufficio, escludendo che esso possa estendersi alla fondatezza della pretesa tributaria, verificandosi altrimenti una indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa e, quindi, l’invasione in una sfera estranea a quella della giurisdizione tributaria. Pertanto, secondo i principi enunciati dalla citata sentenza delle Sezioni Unite, l’esercizio del potere di autotutela non costituisce un mezzo di tutela per il contribuente, sostitutivo dei rimedi giurisdizionali che non sono stati esperiti, anche se comunque finisce con l’incidere sul rapporto tributario e, quindi, sulla posizione giuridica del contribuente.
5.4. Sulla stessa direttiva si sono mosse le Sezioni Unite anche con la sentenza n. 9669 del 2009, ribadendo l’impugnabilità del diniego di autotutela e la devoluzione alla giurisdizione del giudice tributario.
5.5. La giurisprudenza successiva, con numerose pronunce (Cass., sez. 6-5, 2/02/2014, n. 25524; Cass., sez. 6-5, 11/12/2014, n. 26087; Cass., sez. 5, 20/02/2015, n. 3442; Cass., sez. 5, 28/03/2018, n.7616; Cass., sez. 5, 24/08/2018, n. 21146; Cass.
sez. 5, 22/02/2019, n. 5332; Cass., sez. 2019, n. 8558; Cass., sez. 5, 25/09/2020, n.20200), pur ammettendo il sindacato sul diniego di autotutela, ha affermato che esso può riguardare solo profili di illegittimità del rifiuto di annullamento opposto dall’Amministrazione, in relazione a ragioni di rilevante interesse generale, per cui il vaglio del giudice non può riguardare la fondatezza della pretesa tributaria, ormai definitivamente preclusa, determinandosi altrimenti una indebita sostituzione dell’autorità giudiziaria alle scelte discrezionali dell’amministrazione, peraltro con riferimento ad un atto ormai divenuto inoppugnabile. Pertanto, si è ritenuto che contro il diniego dell’Amministrazione di procedere all’esercizio del potere di autotutela possa essere sì proposta impugnazione, ma soltanto per dedurre eventuali profili di illegittimità del rifiuto e non per contestare la fondatezza della pretesa impositiva.
5.6. Peraltro questa Corte, con l’ordinanza n. 4937 del 20 febbraio 2019, al fine di chiarire il contenuto della locuzione «interesse generale alla rimozione dell’atto», ha rilevato che per giustificare la doglianza contro il diniego di autotutela occorre che sia dedotto un interesse generale (cioè travalicante quello individuale della parte in causa), concreto e specifico, in esatta corrispondenza all’interesse di cui l’amministrazione deve dar conto nella motivazione dell’atto di annullamento (adottato anche in assenza di sollecitazione del privato).
5.7. Anche la Corte costituzionale, intervenuta sul tema con la sentenza n. 181 del 19 luglio 2017, ha ribadito che l’annullamento d’ufficio non ha la funzione di tutela del contribuente, ma è espressione di amministrazione attiva e, pertanto, necessita di preliminari valutazioni comparative e discrezionali. Ed ha espressamente affermato che, pure «in un contesto così caratterizzato, tuttavia, nel quale l’interesse pubblico alla rimozione dell’atto acquista specifica valenza e tende in una certa misura a
convergere con quello del contribuente, non va trascurato il fatto che altri interessi possono e devono concorrere nella valutazione amministrativa, e fra essi certamente quello alla stabilità dei rapporti giuridici di diritto pubblico, inevitabilmente compromessa dall’annullamento di un atto inoppugnabile. Tale interesse richiede di essere bilanciato con gli interessi descritti -e con altri eventualmente emergenti nella vicenda concreta sulla quale l’amministrazione tributaria è chiamata a provvedere -secondo il meccanismo proprio della valutazione comparativa. Sicché si conferma in ogni caso, anche in ambito tributario, la natura pienamente discrezionale dell’annullamento d’ufficio».
Il giudice delle leggi ha infatti rilevato che altrimenti «affermare il dovere dell’amministrazione di rispondere all’istanza di autotutela significherebbe, in altri termini, creare una nuova situazione giuridicamente protetta del contribuente, per giunta azionabile sine die dall’interessato, il quale potrebbe riattivare in ogni momento il circuito giurisdizionale, superando il principio della definitività del provvedimento amministrativo e della correlata stabilità della regolazione del rapporto che ne costituisce oggetto». Ed ha poi sottolineato come residui una ipotesi in cui è esperibile l’autotutela tributaria, ed è il caso in cui sia riscontrabile un interesse pubblico alla corretta esazione dei tributi, il quale, a sua volta, costituisce una sintesi tra l’interesse fiscale dello Stato ed il principio di effettività della capacità contributiva ex art. 53 Cost.
5.8. In tale contesto si inserisce anche la sentenza n. 24032 del 26 settembre 2019, con cui questa Corte ha affermato che il sindacato del giudice tributario sul provvedimento di diniego dell’annullamento dell’atto tributario divenuto definitivo è consentito, purché si accerti la ricorrenza di ragioni di rilevante interesse generale dell’Amministrazione finanziaria alla rimozione dell’atto, originarie o sopravvenute. Invece deve escludersi che possa essere accolta l’impugnazione dell’atto di diniego proposta
dal contribuente il quale contesti vizi dell’atto impositivo che avrebbe potuto far valere, per tutelare un interesse proprio, in sede di impugnazione prima che divenisse definitivo (in senso conforme, Cass., sez. 5, 23/01/2019, n.1803; Cass., sez. 5, 20/02/2019, n. 4937; Cass., sez. 5, 30/12/2020, n. 29874).
5.9. A sua volta, Cass. 07/03/2022, n. 7318, ha riaffermato che «In tema di contenzioso tributario, il sindacato del giudice sul provvedimento di diniego dell’annullamento in sede di autotutela dell’atto tributario divenuto definitivo è limitato all’accertamento della ricorrenza di ragioni di rilevante interesse generale dell’Amministrazione finanziaria alla rimozione dell’atto, originarie o sopravvenute, dovendo invece escludersi che possa essere accolta l’impugnazione del provvedimento di diniego proposta dal contribuente che contesti vizi dell’atto impositivo per tutelare un interesse proprio ed esclusivo.»
5.10. Successivamente, Cass. 04/09/2023, n. 25659 ha ribadito il principio di diritto secondo cui «Il contribuente che richiede all’Amministrazione finanziaria di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo o un provvedimento irrogativo di sanzioni, divenuto definitivo, non può limitarsi a dedurre eventuali vizi dell’atto medesimo, la cui deduzione deve ritenersi definitivamente preclusa, ma deve prospettare l’esistenza di un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto. Ne consegue che contro il diniego dell’Amministrazione di procedere all’esercizio del potere di autotutela può essere proposta impugnazione soltanto per dedurre eventuali profili di illegittimità del rifiuto e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria».
6. Sulla scorta dell’orientamento giurisprudenziale intervenuto in materia, del tutto condivisibile, deve, quindi, ritenersi che, sebbene sia ammissibile l’impugnazione dei provvedimenti di diniego emessi in sede di autotutela, ancorché l’originario provvedimento sia
divenuto definitivo, è tuttavia in tali casi necessario un bilanciamento dei contrapposti interessi, secondo il meccanismo proprio della valutazione comparativa, dovendosi confermare, sotto tale aspetto, la natura pienamente discrezionale dell’annullamento d’ufficio (Corte Cost., sentenza 13 luglio 2017, n.181), per cui il contribuente il quale richiede all’Amministrazione finanziaria di ritirare, in via di autotutela, un avviso di accertamento divenuto definitivo, non può limitarsi ad eccepire eventuali vizi dell’atto medesimo, la cui deduzione è definitivamente preclusa, ma deve piuttosto prospettare l’esistenza di un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto. Infatti, come già riconosciuto da questa Corte (Cass., sez. 5, 30/10/2015,n. 22253), non può escludersi che, trattandosi di attività procedimentalizzata, anche il provvedimento di diniego di autotutela possa essere affetto da vizi di legittimità propri degli atti amministrativi, per cui non vi sono ragioni per precludere al contribuente la possibilità di esperire i mezzi di tutela per far valere tali vizi, ma questi non possono sovrapporsi ai vizi di validità o di merito afferenti all’atto impositivo, poiché altrimenti si consentirebbe l’aggiramento del termine di decadenza, previsto a garanzia del principio di certezza del diritto e di stabilità dei rapporti giuridici, per l’impugnazione degli atti impositivi, che rimarrebbero esposti al riesame a tempo indeterminato tutte le volte in cui il contribuente dovesse presentare una istanza di revisione in autotutela.
Ugualmente, come chiarito da questa Corte, la sussistenza dell’interesse pubblico all’annullamento dell’atto tributario non può affatto desumersi dal disposto di cui all’art. 2, comma 1, lett. d), del d.m. n. 37 del 1997, che attribuisce all’amministrazione finanziaria una mera facoltà di esercitare l’autotutela nell’ipotesi di «d) doppia imposizione», prevedendo, peraltro, l’art. 3 del citato d.m. che «Nell’attività di cui all’articolo 2 è data priorità alle
fattispecie di rilevante interesse generale e, fra queste ultime, a quelle per le quali sia in atto o vi sia il rischio di un vasto contenzioso».
7.1. In ogni caso, un interesse di tal specie non è ravvisabile nella richiesta di revisione degli atti impugnati, in quanto anche in questa sede la società contribuente continua a denunciare pretesi vizi delle cartelle di pagamento che avrebbero dovuto essere fatti valere con tempestivo ricorso giurisdizionale.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M .
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 7.800,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 05/03/2025.