Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31400 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31400 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 17290-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato NOME COGNOME giusta procura speciale a margine del ricorso
-ricorrente-
contro
COMUNE DI MILANO, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avvocati COGNOME
COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al controricorso
-controricorrente-
avverso la sentenza n. 5282/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA LOMBARDIA, depositata il 20.12.2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 4/12/2024 dal Consigliere Relatore Dott.ssa NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE propone ricorso, affidato a cinque motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione tributaria regionale della Lombardia aveva respinto l’appello avverso la sentenza n. 6712/2017 della Commissione tributaria provinciale di Milano, in rigetto del ricorso proposto avverso ingiunzioni di pagamento ICI 2009 -2011 IMU emesse dal Comune di Milano.
Il Comune resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4), c.p.c. violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Commissione tributaria regionale omesso di prendere in esame la doglianza circa l’eccepita carenza di legittimazione passiva della contribuente, che sarebbe stata priva del diritto di proprietà degli immobili tassati, trasferiti al Comune di Milano.
1.2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 7, comma 2, d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 per avere la Commissione tributaria regionale omesso di rilevare la mancata prova, a carico del Comune, circa il titolo di proprietà ed il valore dei terreni della ricorrente, nonché per non avere ammesso la richiesta c.t.u. sull’individuazione delle aree di proprietà della contribuente ai fini della determinazione della base imponibile.
1.3. Il primo motivo è infondato, con assorbimento del secondo motivo.
1.4. La Commissione tributaria regionale ha affermato quanto segue:«…la pretesa tributaria fatta valere con gli avvisi di accertamento, posti a base dell’ingiunzione di pagamento, oggetto del presente giudizio, è divenuta definitiva non avendo l’appellante prodotto, avverso gli stessi, tempestiva impugnazione. La Commissione rileva che sul punto -mancata impugnazione degli avvisi di accertamento -la società nulla ha dedotto od eccepito e che … contro tali atti non ha proposto, anche in questa sede, alcuna contestazione. La Commissione ritiene pertanto che il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE è inammissibile sensi dell’art. 19, c.3, d.lgs. 596/1992».
1.5. Occorre dunque ribadire che i vizi dell’atto di accertamento dell’imposta, che sia divenuto definitivo in conseguenza del fatto che il contribuente non ha proposto tempestiva impugnazione al fine di denunziare il vizio suddetto nella sede propria, non si trasmettono agli atti successivi con la conseguenza che questi sono impugnabili solo per vizi propri (cfr. Cass. nn. 6029 del 2002, 14379 del 2001).
1.6. La Commissione deve ritenersi, dunque, aver implicitamente considerato che l’eventuale nullità denunciata dalla contribuente in merito alla mancata proprietà dei beni tassati, trasmessa dall’uno all’altro atto nel modo indicato, avrebbe avuto origine da un accertamento che il contribuente non aveva impugnato nei termini, e che dunque doveva considerarsi definitivo e non più impugnabile, con la conseguenza che i vizi di quell’accertamento, non fatti valere nella sede loro propria, di impugnazione dell’atto medesimo, non potevano in ogni caso essere fatti valere con riguardo agli atti successivi, a loro volta impugnabili solo per vizi propri.
2.1. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., violazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost., dell’art. 41 Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, dell’art. 10 legge 27 luglio 2000, n. 212 e dell’art. 21 d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 per avere la Commissione tributaria regionale respinto le doglianze della
contribuente circa il mancato annullamento da parte del Comune, in autotutela, degli atti impugnati per carenza di legittimazione passiva, «anche a prescindere dalla eventuale definitività degli avvisi di accertamento prodromici all’ingiunzione di pagamento impugnata».
2.2. La censura è parimenti infondata.
2.3. Il contribuente che richiede all’Amministrazione finanziaria di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo o un provvedimento sanzionatorio, già divenuti definitivi, non può, invero, limitarsi alla deduzione, ormai preclusa, di eventuali vizi dell’atto, ma è tenuto a prospettare l’esistenza di un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dello stesso, al che consegue che, contro il diniego opposto dall’Amministrazione all’esercizio del potere di autotutela, può essere proposta impugnazione soltanto per dedurre eventuali profili di illegittimità del rifiuto e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria (cfr. Cass. nn. 161 del 2024, 21146 del 2018, 7616 del 2018).
2.4. Diversamente opinando, o si avrebbe un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa, o si darebbe inammissibilmente ingresso ad una controversia sulla legittimità di un atto impositivo, che, come nel caso in esame, sia divenuto definitivo (cfr. Cass. SU. n. 16097 del 2009, nella quale si è anche ribadito, più in generale, che il concreto ed effettivo esercizio, da parte dell’Amministrazione, del potere di annullamento d’ufficio e/o di revoca dell’atto contestato non costituisce un mezzo di tutela del contribuente sostitutivo dei rimedi giurisdizionali che non siano stati esperiti).
2.5. Il mancato -previoesercizio dell’autotutela da parte dell’Amministrazione in relazione ad atto diverso da quello impugnato non può quindi rilevare e tanto meno costituire valida motivazione per l’annullamento dell’atto oggetto di impugnazione (cfr. Cass. nn. 9337 del 2020, 6620 del 2009).
2.6. Circa la prospettata incostituzionalità della normativa sui limiti di impugnazione del diniego di autotutela, vanno richiamati i principi di diritto già affermati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 181 del 13
luglio 2017, e di seguito illustrati: a) la salvaguardia dell’interesse pubblico alla certezza dei rapporti giuridici deve ritenersi prevalente e prioritaria rispetto alla valutazione della ragionevolezza della disciplina legislativa dell’autotutela tributaria, e se così non fosse, afferma la Corte Costituzionale, e venisse affermato il dovere dell’amministrazione tributaria di pronunciarsi sull’istanza di autotutela (nel caso di specie, rivolta al rimborso dell’imposta, che sia assume indebitamente versata ) si darebbe la stura alla possibile messa in discussione dell’obbligo tributario consolidato a seguito dell’atto impositivo divenuto definitivo, finendo l’istituto dell’autotutela per offrire in via generalizzata una seconda possibilità di tutela, dopo la scadenza dei termini per il ricorso per impugnare il medesimo atto impositivo e si verrebbe a creare una nuova situazione giuridicamente protetta del contribuente, azionabile sine die dall’interessato, il quale potrebbe rimettere in qualsiasi momento al vaglio del giudice questioni già ampiamente concluse, superando il principio della definitività del provvedimento amministrativo, al che consegue, sul piano pratico, che, a fronte della presentazione di un’istanza di autotutela, saranno unicamente le agenzie fiscali a valutare se devono attivarsi o meno per l’annullamento dell’atto e, da un lato, la loro scelta di non provvedere non potrà mai costituire oggetto di contestazione giurisdizionale da parte dell’istante, mentre, dall’altro, nel caso in cui l’amministrazione procedesse all’autotutela, tale esercizio dovrà essere valutato alla stregua di un intervento svolto spontaneamente; b) le norme inquadrate nella generale disciplina legislativa dell’annullamento d’ufficio tributario, ragionevolmente bilanciate per la realizzazione dell’interesse pubblico alla corretta esazione dei tributi e alla stabilità dei rapporti giuridici di diritto pubblico, non consentono di ritenere sussistente un interesse giuridicamente protetto volto a ottenere una decisione amministrativa espressa sull’istanza di autotutela, dovendo, quindi, escludersi, che si possa ipotizzare nel nostro ordinamento giuridico l’esistenza di un vuoto di tutela, considerato che contro il provvedimento dell’amministrazione finanziaria oggetto della richiesta di annullamento d’ufficio l’interessato dispone degli ordinari rimedi di protezione
giurisdizionale dei suoi diritti e interessi legittimi, né, sottolinea la Consulta, la disciplina legislativa del potere di autotutela tributaria, nella parte in cui non viene previsto un obbligo dell’amministrazione di pronunciarsi sulle istanze di annullamento (e di conseguente rimborso di imposte, come nella specie) presentate dal contribuente, può ritenersi che leda la garanzia costituzionale del diritto al Giudice.
3.1. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., violazione degli artt. 1 e 3 legge 7.8.1990 n. 241, degli artt. 5, 6 e 7 legge 27 luglio 2000, n. 212 in relazione all’eccepita «omessa o apparente o carente motivazione dell’atto di ingiunzione e della conseguente nullità dello stesso».
3.2. La censura va disattesa.
3.3. Come già affermato da questa Corte con riguardo all’ICI, l’obbligo motivazionale dell’accertamento deve ritenersi adempiuto tutte le volte in cui il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestare efficacemente l’ an ed il quantum dell’imposta, ed in particolare, il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (cfr. Cass. n. 26431 del 2017).
3.4. Nella specie, tale obbligo motivazionale è stato ampiamente soddisfatto, considerando che, come riportato nella sentenza impugnata, l’ingiunzione di pagamento riporta «le fonti normative del potere di accertamento e di ingiunzione del Comune di Milano, motiva…(ndo)… la contestazione della pretesa tributaria, evidenziando che la stessa trova base negli avvisi di accertamento relativi agli anni di imposta 2009, 2010 e 2011 … divenuti definitivi in quanto non contestati, ed evidenzia altresì le singole poste della tassazione, specificando i codici per i tributi, gli interessi e le sanzioni».
3.5. Ciò consentiva, dunque, alla parte di impostare la sua difesa, sicché non è ravvisabile alcun error in iudicando , dovendo peraltro rilevarsi che le deduzioni del ricorrente confermano che la motivazione dell’ingiunzione di pagamento ha consentito di individuare gli immobili oggetto di tassazione e di sviluppare le proprie difese in ordine alla debenza del tributo, come dianzi illustrato.
4.1. Con il quinto motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., violazione dell’art. 7, comma 2, d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 e degli artt. 191 e ss. c.p.c., per non avere la Commissione tributaria regionale ammesso la richiesta c.t.u. sull’individuazione delle aree di proprietà della contribuente ai fini della determinazione della base imponibile.
4.2. La censura è assorbita in funzione del rigetto dei primi due motivi di ricorso e delle considerazioni dianzi illustrate ai paragrafi 1.3. e ss.
Il proposto ricorso, pertanto, deve essere respinto.
Le spese di lite tra la ricorrente ed il Comune seguono la soccombenza con liquidazione come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del Comune controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.400,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, se dovuti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater, del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, tenutasi in modalità da