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Autotutela sostitutiva: un nuovo avviso di accertamento

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6597/2024, chiarisce che un atto di autotutela sostitutiva, che modifica radicalmente la pretesa fiscale, costituisce un nuovo avviso di accertamento autonomamente impugnabile. Viene inoltre precisato che, ai fini della responsabilità solidale IVA per acquisti a prezzi inferiori al normale (art. 60-bis, d.P.R. 633/72), l’onere di provare la consapevolezza della frode non grava sull’Agenzia delle Entrate, ma spetta al contribuente dimostrare la legittimità del prezzo basso.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Autotutela Sostitutiva: Quando l’Agenzia delle Entrate Emette un Nuovo Atto Impugnabile

L’ordinanza n. 6597/2024 della Corte di Cassazione offre chiarimenti cruciali su due temi di grande rilevanza nel diritto tributario: la natura di un atto di autotutela sostitutiva e la ripartizione dell’onere probatorio nella responsabilità solidale IVA. La Suprema Corte ha stabilito che quando l’Amministrazione finanziaria non si limita a ridurre una pretesa, ma ne cambia radicalmente i presupposti, emette di fatto un nuovo avviso di accertamento, pienamente contestabile dal contribuente.

I Fatti del Caso

Un contribuente, attivo nel commercio di articoli elettronici, riceveva due avvisi di accertamento per IVA, IRAP e imposte dirette. L’accusa iniziale era di aver compiuto operazioni oggettivamente inesistenti. In seguito alla documentazione prodotta dal contribuente, l’Agenzia delle Entrate procedeva in autotutela. Tuttavia, non si trattava di un semplice annullamento parziale. L’Ufficio emetteva un nuovo atto con cui riqualificava le operazioni come soggettivamente inesistenti, escludeva le pretese per imposte dirette e IRAP, ma confermava la pretesa IVA, fondandola su una base giuridica completamente diversa: la responsabilità solidale del cessionario prevista dall’art. 60-bis del d.P.R. n. 633/1972, a causa della rivendita della merce a prezzi inferiori a quelli di costo.

Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale davano ragione al contribuente, annullando l’atto. La CTR, in particolare, pur riconoscendo l’impugnabilità del nuovo provvedimento, riteneva la pretesa infondata perché l’Agenzia non aveva provato la carenza di buona fede del contribuente. L’Agenzia delle Entrate ricorreva quindi in Cassazione.

L’Analisi della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha esaminato due motivi di ricorso, giungendo a conclusioni distinte ma ugualmente importanti.

La qualificazione dell’atto di autotutela sostitutiva

Il primo motivo di ricorso dell’Agenzia sosteneva che l’atto emesso in autotutela non fosse un nuovo avviso di accertamento, ma una mera riduzione della pretesa originaria, ormai definitiva. Pertanto, secondo l’Ufficio, il contribuente non avrebbe potuto contestarne il merito.

La Cassazione ha rigettato questa tesi. Ha chiarito che nel caso di specie non si è trattato di una semplice autotutela parziale, ma di un’autotutela sostitutiva. L’Agenzia, infatti, non si è limitata a ridurre l’importo dovuto, ma ha modificato radicalmente i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa. Si è passati da una contestazione di operazioni oggettivamente inesistenti a una di responsabilità solidale per operazioni soggettivamente inesistenti. Questo cambiamento sostanziale, basato su nuovi elementi e una diversa interpretazione, ha dato vita a un atto impositivo del tutto nuovo e inedito, che ha sostituito i precedenti. Di conseguenza, la Corte ha confermato che tale atto era autonomamente impugnabile dal contribuente, che aveva il diritto di difendersi nel merito.

L’onere della prova nella responsabilità solidale IVA (Art. 60-bis)

Il secondo motivo di ricorso, accolto dalla Corte, riguardava l’errata applicazione dell’art. 60-bis da parte della CTR. Quest’ultima aveva annullato la pretesa fiscale perché l’Agenzia non aveva dimostrato la consapevolezza del contribuente di partecipare a una frode.

La Cassazione ha chiarito che la CTR ha commesso un errore di diritto. La disciplina della responsabilità solidale IVA, in caso di acquisti a prezzi inferiori al valore normale, prevede una specifica ripartizione dell’onere della prova. Per attivare la responsabilità, l’Agenzia delle Entrate ha solo l’onere di provare due circostanze di fatto:
1. Il mancato versamento dell’IVA da parte del cedente (il fornitore).
2. L’inferiorità del prezzo di vendita rispetto al valore di mercato.

Una volta che l’Ufficio ha provato questi due elementi, l’onere si trasferisce interamente sul contribuente (l’acquirente). Sarà quest’ultimo a dover dimostrare, con prove documentali, che il prezzo inferiore era giustificato da “eventi o situazioni di fatto oggettivamente rilevabili” (es. una liquidazione, merce difettata, ecc.) e che, in ogni caso, tale prezzo non era connesso al mancato pagamento dell’imposta da parte del fornitore. La norma, quindi, non richiede all’Agenzia di provare la malafede o la consapevolezza dell’acquirente.

Le Motivazioni della Decisione

La decisione della Corte si fonda su una netta distinzione tra l’autotutela che riduce una pretesa lasciandone immutata la natura e l’autotutela sostitutiva che la ridefinisce completamente. In quest’ultimo caso, si genera un nuovo rapporto giuridico-tributario, e il contribuente deve avere la possibilità di contestarlo ex novo. Sulla questione della responsabilità solidale, la motivazione risiede nell’interpretazione letterale dell’art. 60-bis, che delinea una forma di responsabilità quasi oggettiva. Il legislatore ha voluto porre una presunzione a carico dell’acquirente che compra a prezzi anomali, imponendogli un dovere di diligenza e l’onere di giustificare tale anomalia per non essere chiamato a rispondere del debito IVA del suo fornitore.

Conclusioni

Questa ordinanza ha importanti implicazioni pratiche. Per i contribuenti, conferma che un atto di autotutela sostitutiva apre una nuova finestra per l’impugnazione, anche se gli atti originari erano divenuti definitivi. Al contempo, lancia un monito agli operatori commerciali: quando si acquistano beni a prezzi significativamente inferiori a quelli di mercato, la sola buona fede non basta a proteggersi dalla responsabilità per l’IVA non versata dal fornitore. È indispensabile essere in grado di provare oggettivamente le ragioni commerciali di tale convenienza, per non rischiare di dover pagare l’imposta al posto del venditore inadempiente.

Un atto di autotutela dell’Agenzia delle Entrate è sempre impugnabile nel merito?
No. Un atto di mero diniego di autotutela o di annullamento parziale di un atto ormai definitivo non è impugnabile nel merito. Tuttavia, se si tratta di un'”autotutela sostitutiva” che modifica radicalmente i presupposti di fatto e di diritto della pretesa, come nel caso esaminato, esso si qualifica come un nuovo avviso di accertamento e può essere pienamente impugnato.

Cosa deve provare l’Agenzia delle Entrate per richiedere l’IVA in via solidale a chi acquista a prezzi troppo bassi?
Secondo l’art. 60-bis del d.P.R. 633/1972, l’Agenzia delle Entrate deve provare unicamente due circostanze: il mancato versamento dell’IVA da parte del venditore e la vendita dei beni a un prezzo inferiore al loro valore normale.

Per evitare la responsabilità solidale IVA, è sufficiente per l’acquirente dimostrare la propria buona fede?
No, non è sufficiente. La Corte ha chiarito che l’acquirente, per liberarsi dalla responsabilità, deve dimostrare documentalmente che il prezzo inferiore era determinato da eventi o situazioni oggettivamente riscontrabili (es. saldi, difetti del prodotto) e che non era in alcun modo collegato al mancato pagamento dell’imposta da parte del suo fornitore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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