Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6597 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6597 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/03/2024
Oggetto: Autotutela parziale – Richiesta per la pretesa residua Qualificazione
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 13482/2016 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrente –
contro
NOME NOME , rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso l’AVV_NOTAIO, in INDIRIZZO INDIRIZZO, pec , giusta procura in calce al controricorso;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 10572/18/15, depositata il 25 novembre 2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 gennaio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
L’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE notificava a COGNOME NOME due avvisi di accertamento per Iva, Irap e imposte dirette per gli anni d’imposta
2009 e 2010 in relazione ad operazioni oggettivamente inesistenti nel commercio di articoli elettronici in relazione a transazioni effettuate con la RAGIONE_SOCIALE.
Il contribuente presentava istanza di accertamento con adesione che non andava a buon fine; l’Ufficio, peraltro, in relazione alla documentazione prodotta e alle allegazioni della parte, in via di autotutela, emetteva atto con il quale, qualificate le operazioni come soggettivamente inesistenti, escludeva le somme dovute per imposte dirette e contributi previdenziali e riduceva la pretesa all’Iva, di cui il contribuente era chiamato a rispondere in via solidale ex art. 60-bis d.P.R. n. 633 del 1972 atteso l’omesso versamento dell’imposta da parte del cedente e la rivendita della merce a prezzi inferiori a quelli di costo.
La Commissione tributaria provinciale di Napoli, sull’impugnazione di NOME, annullava l’atto così emesso.
La sentenza era confermata dalla CTR in epigrafe che riteneva l’atto impugnabile, ancorché emesso in via di autotutela, e la pretesa infondata per mancato assolvimento dell’onere probatorio sulla carenza di buona fede del contribuente.
L’RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione con due motivi, cui resiste il contribuente con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, n. 3 e n. 4, c.p.c., violazione degli artt. 19 e 21, comma 1, d.lgs. n. 546 del 1992.
L’Ufficio lamenta, in particolare, che la CTR abbia ritenuto l’atto impugnabile pur trattandosi di provvedimento in autotutela parziale, con cui era stata ridotta l’originaria pretesa alla sola Iva, con esclusione RAGIONE_SOCIALE riprese per imposte dirette, Irap e Inps, sicché l’impugnazione avrebbe dovuto, in ipotesi, esser rivolta contro gli
originari avvisi di accertamento, divenuti peraltro definitivi in data 20 gennaio 2014.
Avverso l’atto di cui al giudizio, discrezionale e non sindacabile nel merito, dunque, l’impugnazione sarebbe stata possibile solo in caso di rifiuto ma non anche sulla fondatezza della pretesa non annullata.
Il secondo motivo denuncia, in subordine, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., violazione dell’art. 60 -bis, secondo e terzo comma, d.P.R. n. 633 del 1972, avendo la CTR valutato la sussistenza della buona fede del contribuente-cessionario , mentre l’unico presupposto a fondamento della sua responsabilità solidale in caso di omesso versamento dell’Iva da parte del cedente, accertato missing trader , è costituito dall’avvenuta cessione a prezzi inferiori al normale , incombendo sul cessionario la prova che il prezzo inferiore era stato determinato da eventi o situazioni di fatto oggettivamente rilevabili.
Va disattesa, preliminarmente, l’eccezione di inammissibilità del ricorso ex art. 360 bis, n. 1, c.p.c. posto che, in tema di impugnazione dell’atto di autotutela, la proponibilità dell’impugnazione, pur ammissibile, è soggetta a specifici limiti, nella specie adeguatamente denunciati con il ricorso.
Il primo motivo è infondato.
4.1. È ben vero, infatti, che il diniego di autotutela è suscettibile di impugnazione nei limiti dei motivi propri dell’atto e non per impugnare surretiziamente il merito di quelli divenuti definitivi per mancata opposizione o per giudicato definitivo, posto che in tal modo – altrimenti – si verrebbe a « far rivivere questioni di merito con un semplice atto di invito alla autotutela, senza limiti tempo rali … scardinando alla base ogni forma di certezza e definitività dei rapporti giuridici tributari oramai consolidati » (v. ex multis Cass. n. 3442 del 20/02/2015; Cass. n. 24033 del 26/09/2019; v. da ultimo Cass. n. 25659 del 04/09/2023, secondo la quale « Il contribuente che richiede
all’Amministrazione finanziaria di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo o un provvedimento sanzionatorio, divenuti definitivi, non può limitarsi alla deduzione, ormai preclusa, di eventuali vizi dell’atto, ma è tenuto a prospettare l’esistenza di un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dello stesso; ne consegue che, contro il diniego opposto dall’Amministrazione all’esercizio del potere di autotutela, può essere proposta impugnazione soltanto per dedurre eventuali profili di illegittimità del rifiuto e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria »).
Va anzi precisato che, secondo il consolidato orientamento della Corte, il sindacato giurisdizionale sul provvedimento di diniego dell’Amministrazione rispetto ad un’istanza di annullamento in autotutela è ammesso esclusivamente ove sia prospettata l’esistenza di un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto e, dunque, per ragioni di rilevante interesse generale, che non ricorrono ove il contribuente deduca l’infondatezza o l’ingiustizia della pretesa tributaria (v., tra le tante, Cass. n. 18604 del 11/07/2019; Cass. n. 26087 del 11/12/2014; Cass. n. 11457 del 12/05/2010).
4.2. Nella vicenda in giudizio, peraltro, non si pone una questione di diniego di autotutela, anche solo parziale.
L ‘Amministrazione, con l’atto del 10 marzo 2014, ha, in realtà, in forza dei poteri riconosciuti dall’art. 2 quater d.l. n. 564 del 1994, emesso un provvedimento di autotutela cd. sostitutiva, con cui ha adottato contestualmente -come necessario e consentito non essendo decorsi i termini per l’accertamento (v. sul punto Cass. n. 25055 del 08/10/2019; v. anche in termini ampi Cass. n. 27706 del 21/09/2022) – un nuovo atto impositivo, in tal modo ponendo nel nulla gli originari avvisi emessi nel 2013.
Ciò emerge pacificamente dagli atti di causa -dal ricorso, dal contenuto del provvedimento impugnato, riprodotto solo parzialmente dall’Ufficio ma nella sua integrità dal controricorrente, nonché dallo stesso accertamento operato dalla CTR -posto che:
con gli originari avvisi si contestava il compimento, da parte del contribuente, di operazioni oggettivamente inesistenti;
con il successivo atto , invece, l’Amministrazione ha:
qualificato le operazioni come soggettivamente inesistenti;
affermato la responsabilità del contribuente in via solidale ex art. 60-bis d.P.R. n. 633 del 1972 e non per aver concorso nella frode
La stessa CTR, pur errando – come si vedrà -nel valutare questo secondo aspetto, ha preso in esame la ripresa sotto lo specifico versante, oggetto di esplicita indicazione nell’atto , della natura solo soggettiva della frode.
In altri termini, la pretesa, come articolata nell’atto impositivo contenuto nell’atto di autotutela cd. parziale, si fonda su presupposti di fatto e ragioni giuridiche del tutto nuove e inedite rispetto a quelle su cui erano basati gli originari avvisi di accertamento.
E, del resto, si può anche osservare che l’esercizio del potere di autotutela, nel caso di specie, si fondava non solo e non tanto su una diversa interpretazione dei fatti ma anche su nuovi elementi, costituiti proprio dalle plurime allegazioni prodotte dal contribuente in sede di accertamento con adesione, tali da determinare non una mera riduzione della pretesa (che avrebbe lasciato inalterati, seppure per somme inferiori, gli originari avvisi) ma una radicale riconsiderazione della stessa.
Correttamente, dunque, la CTR ha ritenuto l’atto qualificabile come avviso di accertamento.
Il secondo motivo è fondato.
5.1. L’art. 60 -bis, secondo e terzo comma, d.P.R. n. 633 del 1972, ratione temporis applicabile, prevede:
« 2. In caso di mancato versamento dell’imposta da parte del cedente relativa a cessioni effettuate a prezzi inferiori al valore normale, il cessionario, soggetto agli adempimenti ai fini del presente decreto, è obbligato solidalmente al pagamento della predetta imposta.
L’obbligato solidale di cui al comma 2 può tuttavia documentalmente dimostrare che il prezzo inferiore dei beni è stato determinato in ragione di eventi o situazioni di fatto oggettivamente rilevabili o sulla base di specifiche disposizioni di legge e che comunque non è connesso con il mancato pagamento dell’imposta. »
5.2. La norma, dunque, in luogo del disconoscimento della detrazione a monte prevede l’obbligo autonomo di pagare quanto dovuto e non versato dal cedente, e ciò in base al semplice fatto giuridico dell’omesso versamento del dovuto da parte del cedente, senza alcuna necessità di ulteriore attività accertativa.
Questa Corte, del resto, ha già precisato (Cass. n. 2853 del 31/01/2019) che l’art. 60-bis, secondo comma, d.P.R. n. 633 del 1972, nel contemplare la responsabilità solidale del cessionario in caso di mancato versamento dell’Iva da parte del cedente per le cessioni dei beni individuati dal d.m. 22 dicembre 2005, se effettuate a prezzi inferiori al valore normale, presuppone – a differenza dell’art. 21, settimo comma, del medesimo decreto, che concerne l’emissione di fatture per operazioni inesistenti – l’effettività dell’operazione, sia sul piano oggettivo che soggettivo, sicché è consentito al cessionario portare in detrazione l’imposta non versata dal cedente e per la quale è stato chiamato al pagamento come obbligato solidale.
La radicale differenza naturalistica dei due fenomeni (da un lato l’emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, alla
quale l’ordinamento replica con il diniego di detrazione dell’iva esposta; dall’altro lato il mancato versamento dell’iva da parte del cedente, al quale l’ordinamento replica con l’attribuzione al cessionario della responsabilità solidale per l’iva non versata) comporta, quindi, una diversa perimetrazione dell’onere probatorio .
Nella fattispecie di cui all’art. 60 -bis d.P.R. n. 633 del 1972, infatti, l’Ufficio ha l’onere di provare unicamente le due circostanze di fatto relative: a) all’omesso versamento dell’iva da parte del cedente e b) all’inferiorità al valore di mercato del prezzo praticato .
Non è previsto, invece, che sia fornita (o anche solo dedotta) la prova della consapevolezza del cessionario della frode perpetrata dal cedente.
A fronte di tali prove, poi, l’onere si trasferisce sul contribuente che ai sensi dell’art. 60 -bis, terzo comma, d.P.R. n. 633 del 1972 dovrà provare che « il prezzo inferiore dei beni è stato determinato in ragione di eventi o situazioni di fatto oggettivamente rilevabili o sulla base di specifiche disposizioni di legge e che comunque non è connesso con il mancato pagamento dell’imposta ».
5.3. Orbene, appare evidente l’errore di diritto in cui è incorsa la CTR, la quale, invece, ha ritenuto illegittima la pretesa dell’Ufficio sull’assunto del tutto estraneo alla fattispecie giuridica -della mancata prova della consapevolezza dell’altr ui attività illecita.
In accoglimento del secondo motivo, infondato il primo, la sentenza va pertanto cassata con rinvio, anche per le spese, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte in accoglimento del secondo motivo del ricorso, rigettato il primo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di
legittimità, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania in diversa composizione.
Deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 24 gennaio 2024