Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13471 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13471 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/05/2025
Oggetto: II.DD. -IVA -avviso di accertamento -autotutela sostitutiva -vizio procedimentale -riedizione del potere – condizioni
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15510/2019 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE NOME E NOME COGNOME, in persona del legale rappresentante p.t., NOME COGNOME, NOME COGNOME, rappresentati e difesi dall’Avv. NOME COGNOME (pec: EMAIL, domiciliati presso il suo studio in INDIRIZZO Roma;
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, INDIRIZZO
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, sez. staccata di Salerno, n. 292/9/2019, depositata il 18.1.2019 e non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 12 marzo 2025 dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, sez. staccata di Salerno, n. 292/9/2019, depositata il 18.1.2019 veniva accolto l’appello proposto da ll’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Salerno n. 5418/5/2017, la quale aveva riunito e accolto il ricorso proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE di Pisacane NOME e NOME, esercente attività di ristorazione, avverso l’avviso con cui veniva accertato un maggior reddito di impresa ai fini IRAP e IVA per il periodo d’imposta 2011, e i ricorsi proposti dai due soci NOME e NOME COGNOME avverso altrettanti avvisi di accertamento per IRPEF in ragione delle rispettive quote di partecipazione alla società.
L ‘accertamento traeva origine da un p.v.c. della Guardia di Finanza, a seguito della documentazione extracontabile reperita presso la lavanderia RAGIONE_SOCIALE dalla quale risultavano il totale dei tovaglioli lavati per conto de RAGIONE_SOCIALE La ricostruzione avveniva sulla base di un accertamento analitico-induttivo ex art.39, comma 1, lett. d), d.P.R. n.600/73, in presenza di contabilità ritenuta non completa e non interamente fedele. Si desume dalla lettura del ricorso e della sentenza impugnata che l’ originario avviso relativo alla ricostruzione del volume d’affari della società ai fini delle II.DD. e IVA (-734), notificato anteriormente al decorso del termine di 60 giorni di cui all’art.12, comma 7, l. n.212/2000 dalla ricezione del p.v.c. e impugnato dai contribuenti anche per violazione del diritto di difesa, nel corso del giudizio di primo grado era oggetto di un intervento in autotutela dell’ amministrazione, che provvedeva al suo
annullamento e alla sua sostituzione (avviso -837), giustificato dalla necessità di emendare un precedente errore di calcolo, ed egualmente provvedeva nei confronti dei soci. Gli avvisi sostitutivi, oggetto del presente giudizio, venivano annullati dal giudice di prime cure.
Il giudice d’appello riformava la decisione resa dal giudice di prime cure, ritenendo legittimo l’esercizio del potere di autotutela da parte dell’amministrazione finanziaria ex art.2 quater d.l. n.564/1994 e, nel merito, fondata la ricostruzione analitico-induttiva del reddito societario anche sulla base della documentazione extracontabile reperita, con conseguente conferma anche delle riprese nei confronti dei soci.
Avverso la sentenza d’appello hanno proposto ricorso per Cassazione i contribuenti deducendo tre motivi, cui replica l’Agenzia delle Entrate con controricorso. I contribuenti hanno depositato nota per la correzione di un errore materiale nell’indicazione della denominazione della società in ricorso.
Considerato che:
Preliminarmente, il Collegio osserva che, alla luce del deposito da parte ricorrente dell’atto contenente istanza di rettifica di errore materiale nella denominazione della società, correttamente identificata da ultimo in RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME, va disattesa l’eccezione di difetto di legittimazione attiva sollevata nel controricorso.
Inoltre, a pag.3 del controricorso l’Agenzia chiarisce che per il periodo di imposta NOME COGNOME è stato socio al 40% e NOME COGNOME al 60% e, dunque, per il periodo di imposta 2011, NOME COGNOME, pur presente nella denominazione sociale, sulla base degli atti non è identificabile come socia e, pertanto, non è litisconsorte nel presente processo.
Con il primo motivo di ricorso viene dedotta, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza, nella parte in cui ha ritenuto che gli avvisi di accertamento sostitutivi di quelli oggetto di autotutela fossero legittimi, nonostante «il vecchio avviso di accertamento emesso per l’anno 2011 » fosse viziato per essere stato emesso anteriormente alla scadenza del termine di 60 giorni dalla notifica del p.v.c. in «violazione del combinato disposto dell’art.7 1° comma e 12 7° comma della legge 212/2000 e degli artt.3 e 21 septies della l. n.241/1990».
Il motivo è infondato.
3.1. In materia tributaria, il potere dell’Amministrazione finanziaria di provvedere in via di autotutela e con effetti retroattivi all’annullamento d’ufficio (o alla revoca) degli atti illegittimi (o infondati) è espressamente riconosciuto dall’art. 2-quater, comma 1, del d.l. n. 564 del 1994, conv. in l. n. 656 del 1994.
L’art. 2, comma 2, del d.m. n. 37/1997, stabilisce poi che l’annullamento d’ufficio è precluso in relazione ai motivi sui quali sia intervenuta sentenza passata in giudicato favorevole all’Amministrazione finanziaria. Ulteriore limite è il decorso del termine di decadenza fissato dalla legge per l’attività di accertamento (v., in tal senso, da ultimo, Cass. n. 7033/2018). Un limite aggiuntivo viene poi comunemente individuato nel diritto di difesa del contribuente (Cass. n. 7335/2010, Cass. n. 14219/2015, Cass. n. 12661/2016).
Occorre infine, sul piano generale, che l’attività di ritiro sia giustificata da ragioni di rilevante interesse generale (Cass. n. 23765/2015). In altri termini, non basta l’interesse al mero ripristino della legalità violata, né l’interesse utilitaristico a conseguire comunque maggiori introiti, occorrendo bensì l’interesse pubblico a reperire entrate fiscali legalmente accertate (Cass. n. 6398/2014).
Le Sezioni unite della Corte di cassazione, con sentenza n.30051 del 21 novembre 2024 hanno recentemente avallato anche l’esercizio dell’autotutela sostitutiva in malam partem . La Corte ha al proposito affermato che, in tema di accertamento tributario, il potere di
autotutela tributaria – le cui forme e modalità sono disciplinate dall’art. 2-quater, comma 1, del d.l. n. 564 del 1994, conv. con modif. dalla l. n. 656 del 1994, e dal successivo d.m. n. 37 del 1997, nonché, con decorrenza dal 18 gennaio 2024, dagli artt. 10-quater e 10-quinquies, della l. n. 212 del 2000 – trae fondamento, al pari della potestà impositiva, dai principi costituzionali di cui agli artt. 2, 23, 53 e 97 Cost. in vista del perseguimento dell’interesse pubblico alla corretta esazione dei tributi legalmente accertati; di conseguenza, l’Amministrazione finanziaria, qualora non sia decorso il termine di decadenza per l’accertamento previsto per il singolo tributo e sull’atto non sia stata pronunciata sentenza passata in giudicato, può legittimamente annullare, per vizi sia formali che sostanziali, l’atto impositivo viziato ed emettere, in sostituzione, un nuovo atto anche per una maggiore pretesa.
Tale interpretazione è coerente con la giurisprudenza della Corte di Giustizia con riferimento alla
Nel
,
Secondo la costante giurisprudenza della Corte di Giustizia, il principio della tutela del legittimo affidamento è utilmente invocabile se in capo al privato un’autorità nazionale ha fatto sorgere aspettative fondate, ad esempio attraverso comunicazioni precise, incondizionate e concordanti che promanano da fonti autorizzate ed affidabili (CGUE 16 dicembre 2010, C-537/08 P, NOME COGNOME c Commissione , punto 63). Per contro, se un operatore prudente e
accorto è in grado di prevedere l’adozione di un provvedimento lesivo dei suoi interessi, non è tutelabile nel caso in cui tale provvedimento sia adottato, né si può fare legittimo affidamento sulla conservazione di una situazione esistente, la quale può essere modificata nell’ambito del potere discrezionale delle autorità nazionali ( V., ad es., CGUE 15 luglio 2004, C-37/02 e C-38/02, COGNOME e RAGIONE_SOCIALE , punto 70; 10 dicembre 2015, C-427/14, Veloserviss , punto 39 e giurisprudenza ivi citata).
Da ultimo, è intervenuta la sentenza della Corte di giustizia UE del 30 aprile 2025, C -330/24, Celní , a confermare tale interpretazione, che tra l’altro è funzionale a garantire la corretta riscossione delle risorse proprie dell’Unione. Nel caso deciso, relativo ad un rimborso concesso ‘per errore’ , il giudice del Lussemburgo ha chiarito che la nozione di errore non è limitata agli errori non intenzionali, ma ricomprende anche le ipotesi in cui l’amministrazione abbia adottato consapevolmente una decisione fondata su una classificazione tariffaria rivelatasi successivamente errata. Tale approccio risponde all’esigenza di assicurare che la tassazione -in quel caso, doganale rifletta correttamente la realtà giuridica e commerciale delle merci importate.
ripristino del contenuto dell’obbligazione doganale in capo al contribuente inizialmente esclusa dall’autorità doganale . È fondamentale per la Corte di giustizia UE far coincidere gli esiti della procedura amministrativa con la situazione reale correggendo gli errori o le omissioni materiali nonché gli errori di interpretazione del diritto applicabile (CGUE 12 luglio 2012, C-608/10, C-10/11 e C-23/11, Südzucker e altri , punto 47 e giurisprudenza ivi citata).
L’amministrazione può dunque ripristinare l’obbligazione tributaria anche dopo aver accordato il rimborso, in quel caso dei dazi versati dall’importatore, se, a seguito di un nuovo controllo, emerga che le autorità nazionali sono incorse in un errore di valutazione. Ciò può avvenire non solo nel caso in cui l’errore sia non intenzionale, ma
anche allorquando si versi in una situazione in cui le autorità hanno deliberatamente proceduto, in quel caso a una classificazione tariffaria che si è successivamente rivelata errata (CGUE, Celní , cit. punti 28 e 32).
la Corte di Giustizia ha infine escluso che una simile interpretazione in malam partem nei confronti del privato leda tanto il legittimo affidamento quanto la certezza del diritto, se il ripristino dell’obbligazione doganale in termini aderenti alla realtà è comunque circoscritto temporalmente da un termine di prescrizione, in quel caso triennale fissato dall’articolo 103 del Codice doganale unionale.
Entro un ridotto intervallo temporale, l’operatore economico deve ragionevolmente accettare il rischio che l’Amministrazione finanziaria possa rettificare la precedente decisione, qualora emergano nuovi elementi o si accerti l’erroneità della classificazione. Al contrario, le ipotesi di estinzione dell’obbligazione doganale devono essere interpretate restrittivamente secondo la Corte UE, in virtù della loro natura eccezionale e del loro impatto diretto sulle entrate proprie dell’Unione. I principi della certezza del diritto – e di effettività delle tutele sono comunque salvaguardati, purché la possibilità per l’amministrazione finanziaria di procedere al ripristino dell’obbligazione tributaria in piena aderenza con la realtà fattuale sia condizionata al fatto che il rinnovato esercizio del potere con modifica dell’obbligazione, anche in malam partem , avvenga entro un circoscritto lasso temporale (CGUE, Veloserviss , cit, punti 32 e 37 e Celnì , cit. punto 30), conoscibile ex ante , di cui il cittadino deve tener conto nel fondare il suo affidamento di fronte all’azione amministrativa.
6. Di tale insegnamento in diritto, delle Sezioni unite n.30051/2024 e della giurisprudenza della Corte di giustizia Celnì , va fatta applicazione anche nel caso in esame in cui parte contribuente si duole del fatto che l’esercizio del potere di autotutela sostitutiva ha permesso all’amministrazione di sanare il vizio dell’avviso di accertamento relativo alla ricostruzione del volume d’affari della società ai fini delle II.DD. e IVA (-734), notificato anteriormente al decorso del termine
di 60 giorni di cui all’art.12, comma 7, l. n.212/2000 , calcolati dalla sottoscrizione per ricezione del p.v.c.. L ‘ art. 2-quater, d.l. n. 564 del 1994, applicabile ratione temporis , prevede che il potere di ritiro dell’atto possa dispiegarsi anche in pendenza del giudizio sulla pretesa erariale e il D.M. n.37/1997, in esecuzione di tale disposto, ammette all’art.2 espressamente la possibilità dell’autoannullamento dell’atto per evidente errore logico o di calcolo e di tali profili fattuali -quantomeno della presenza di un errore di calcolo – dà conto la sentenza impugnata. Non sussiste la violazione del diritto di difesa di parte contribuente perché il potere di riscossione dell’amministrazione in relazione all’anno di imposta non si era esaurito per effetto della notifica del primo avviso (-734) poi annullato in autotutela dalla p.a. e sostituito con l’ulteriore avviso (avviso -837), nel quale era stato corretto l’errore di calcolo contenuto nell’atto sostituito . Inoltre , è pacifico che al momento dell’esercizio dell’autotutela non era spirato il termine di decadenza per l’accertamento né si era formato un giudicato sul precedente atto, sicché non esisteva alcun diritto di parte contribuente alla cristallizzazione dell’atto originariamente viziato perché emesso ante tempus e, del resto, la società è stata messa nelle condizioni di impugnare l’atto emesso in sostituzione, con piena possibilità di esplicare la propria attività difensiva al riguardo, come è avvenuto nella specie.
Con il secondo motivo, in rapporto all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., si censura la sentenza per motivazione inesistente e meramente apparente, nella parte in cui la sentenza impugnata ha accertato la complessiva inattendibilità della contabilità aziendale, seppure regolarmente tenuta, sulla base della documentazione extracontabile reperita.
Il motivo, individuato il corretto paradigma processuale nell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., è infondato.
Si deve ribadire che la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo , quando, benché graficamente esistente, non renda, tut-
tavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016) La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 13 4, dev’essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
La motivazione della sentenza impugnata nel passaggio argomentativo oggetto della censura in disamina esprime una chiara e logica ratio decidendi , ritenendo che la documentazione contabile sia parzialmente inattendibile alla luce della documentazione extra-contabile reperita presso la lavanderia . Quest’ultima, attraverso i lavaggi della biancheria, ha consentito la ricostruzione analitico-induttiva di sostanziosa attività economica non riportata nelle scritture, perciò inattendibili benché formalmente regolarmente tenute.
Con il terzo motivo, ai fini dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., si lamenta, testualmente, la violazione e falsa applicazione dell’art.39, primo comma, lett. d) del d.P.R. n.600/73, nella parte in
cui l’unico elemento in base al quale il giudice giungerebbe a confermare le riprese di cui agli avvisi di accertamento sarebbe la discordanza del conto cassa, peraltro secondo parte ricorrente del tutto inesistente.
10. Il mezzo di impugnazione è inammissibile. Tale conclusione è necessariamente raggiunta dal Collegio sia in conseguenza della tecnica di formulazione che confonde la censura motivazionale con quella di violazione di legge, sia e soprattutto perché la doglianza non coglie la ratio decidendi espressa dalla sentenza impugnata, incentrata sul reperimento di documentazione extracontabile, la cui discordanza rispetto alle risultanze delle scritture contabili non è stata giustificata dalla società e ha fondato la ricostruzione analiticoinduttiva di volume d’affari non dichiarato, ai fini delle imposte per cui è causa.
11. In conclusione, il ricorso dev’essere rigettato.
Le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese di lite, liquidate in euro 5.800,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Si dà atto del fatto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12.3.2025