Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6233 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6233 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 09/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 20246/2019, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rapp.te p.t. NOME COGNOME rappresentata e difesa, per procura in calce al ricorso, dall’ Avv. NOME COGNOME il quale indica l’ indirizzo di posta elettronica certificata EMAIL
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è domiciliata a ROMA, in INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 1454/2018 della Commissione tributaria regionale del Veneto, depositata il 17 dicembre 2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19 febbraio 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
RAGIONE_SOCIALE subì una verifica fiscale relativa all’anno di imposta 2006 che venne definita per adesione, ai sensi dell’art. 5 -bis del d.lgs. n. 218/1997, il 22 maggio 2005.
Dopo aver provveduto al pagamento dell’importo concordato, nel 2015 la società contribuente chiese all’Erario di esercitare il suo potere di autotutela rivedendo l’ammontare di tale importo, sulla base di asseriti errori di calcolo.
Il diniego erariale fu impugnato dalla società innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Treviso, che respinse il ricorso.
Il successivo appello della contribuente fu rigettato con la sentenza indicata in epigrafe.
I giudici regionali ritennero non più sindacabile l’accordo intervenuto, poiché dalla data del pagamento era trascorso un termine superiore a cinque anni; soggiunsero che, al riguardo, ben poteva farsi riferimento al principio generale stabilito dall’art. 38 del d.P.R. n. 602/1973 vigente ratione temporis , a mente del quale il contribuente può chiedere il rimborso dei tributi che assuma indebitamente versati non oltre i quarantotto mesi successivi al pagamento.
La sentenza d’appello è stata impugnata da RAGIONE_SOCIALE con ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da successiva memoria.
L’Amministrazione ha depositato controricors o.
Considerato che:
Con il primo motivo la ricorrente denunzia violazione di legge in relazione agli artt. 23, 24, 53 e 97 della Costituzione, nonché degli artt. 68, comma 1, del d.P.R. n. 287/1992 e 2quater , comma 1, del d.lo. n. 564/1994 e del d.m. Fin. n. 37/1997.
La sentenza d’appello è censurata nella parte in cui ha ritenuto non più esercitabile il potere di autotutela, in relazione ad un accordo concluso a seguito di accertamento con adesione, dopo che sia trascorso un termine di cinque anni dalla sottoscrizione dell’accordo; la ricorrente sostiene che tale impostazione, svincolata da qualsivoglia parametro giuridico, si porrebbe in contrasto con i principii costituzionali di legalità, proporzionalità e capacità contributiva, e sottolinea le differenze fra la questione oggetto di lite e la materia dei rimborsi, disciplinata dal legislatore con l’introduzione di un termine di decadenza.
Con il secondo motivo, denunziando violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., la ricorrente si duole del fatto che la C.T.R. abbia rilevato d’ufficio la tardività dell’istanza, mai addotta dall’Amministrazione, con ciò violando la regola di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato.
Infine, con il terzo motivo, la ricorrente denunzia la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 24 e 101 della Costituzione, assumendo, con riferimento alla censura che precede, che i giudici d’appello avrebbero dovuto concedere alle parti un termine per contraddire sulla questione rilevata d’ufficio.
In via preliminare, va osservato che il controricorso non risulta validamente notificato alla ricorrente; l’Agenzia delle Entrate, infatti, ha eseguito la notifica non già nel domicilio eletto da quest’ultima presso il procuratore, ma ad un diverso indirizzo, che non corrisponde ad alcuno dei domicili indicati.
Nello stesso controricorso, peraltro, l’Amministrazione dà atto di voler proporre ricorso incidentale, senza tuttavia poi sviluppare alcun motivo di censura nei confronti della sentenza d’appello.
Ciò premesso, e venendo all’esame dei motivi, gli stessi -meritevoli di scrutinio congiunto per la loro connessione -appaiono complessivamente infondati e la sentenza d’appello merita integrale conferma, seppur per ragioni parzialmente diverse da quelle che essa reca.
5.1. Invero, questa Corte ha più volte affermato, con richiamo all’art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 218/1997, che l’accertamento delle imposte sui redditi e dell’imposta sul valore aggiunto definito con adesione non è soggetto ad impugnazione.
In particolare, è stato precisato (cfr. Cass. n. 23224/2022; Cass. n. 26109/2020; Cass. n. 20577/2019) che la definizione dell’accertamento con adesione su istanza del contribuente ai sensi del d.lgs. n. 218 del 1997 determina l ‘ intangibilità della pretesa erariale oggetto del concordato intervenuto tra le parti, sicché risulta normativamente esclusa per il contribuente la possibilità di impugnare simile accordo e, a maggior ragione, l’atto impositivo oggetto della transazione, il quale conserva efficacia, ma solo a garanzia del Fisco, sino a quando non sia stata interamente eseguita l’obbligazione scaturente dal concordato.
5.2. In linea con tale impostazione, e con specifico riferimento al caso che qui occupa, questa Corte ha inoltre statuito che il contribuente che richiede all’Amministrazione finanziaria di ritirare, in via di autotutela, un avviso di accertamento divenuto definitivo, non può limitarsi a denunciare eventuali vizi dell’atto medesimo, la cui deduzione deve ritenersi definitivamente preclusa, ma deve prospettare l’esistenza di un interesse di rilevanza generale
dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto. Ne consegue che contro il diniego dell’Amministrazione di procedere all’esercizio del potere di autotutela può essere proposta impugnazione soltanto per dedurre eventuali profili di illegittimità del rifiuto e non per contestare la fondatezza della pretesa tributaria» (Cass. n. 15194/2014; Cass. n. 11457/2010).
Pertanto, poiché le doglianze della contribuente esulano dal perimetro da ultimo richiamato, e l’impugnazione del rifiuto si configura come uno strumento surrettizio di impugnazione di un atto non più sindacabile, il ricorso dev’essere disatteso.
Al rigetto del ricorso non consegue alcuna statuizione sulle spese, in ragione della nullità della notifica del controricorso per i motivi già esposti.
Sussistono i presupposti per la condanna di parte ricorrente al pagamento di un importo pari al doppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2025.