Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5319 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5319 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/02/2025
Oggetto: Accertamento induttivo reddito di società – Art. 39 d.P.R. 600/1973 – Spese di lite sostenute da ADE – Assistenza da parte di funzionari
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 36069/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , NOME e NOME, rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio del difensore;
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, n. 2839/09/2018, depositata in data 3 maggio 2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
All’esito di verifica fiscale condotta nei confronti della RAGIONE_SOCIALE (esercente l’attività di ristorazione) l’Agenzia delle entrate accertava, sulla base della documentazione acquisita, maggiori ricavi per Euro 91.408,00, per l’anno 2009, e notificava alla società l’avviso di accertamento n. TK503R804064/2014 , ai fini IRES, IVA ed IRAP, e ai due soci NOME COGNOME e NOME COGNOME (titolari del 50% delle quote della società) gli avvisi di accertamento nn. TK3018102991/2014 e TK501R804170/2014, con i quali veniva loro imputato e, quindi, recuperato a tassazione, ai fini IRPEF per l’anno 2009, il detto maggior reddito.
La società ed i soci, con tre distinti ricorsi, impugnavano gli avvisi di accertamento. La Commissione tributaria provinciale di Roma, riuniti i ricorsi, li rigettava ritenendo legittimo l’ operato dell’Ufficio , compensando le spese di lite.
Interposto gravame dai contribuenti, la Commissione tributaria regionale del Lazio lo respingeva; dopo aver premesso che i giudici di prossimità avevano espressamente ritenuto legittima l’attività di rettifica induttiva, sulla scorta delle risultanze delle scritture contabili, e corretta la metodologia di calcolo utilizzata dall’U fficio, riteneva infondate le censure mosse dai contribuenti alla ricostruzione dei ricavi operata dall’Agenzia. La CTR condannava i ricorrenti al pagamento di Euro 2.000,00 a titolo di spese di ‘entrambi i gradi di giudizio’.
Avverso la decisione della Commissione tributaria regionale hanno proposto ricorso per cassazione i contribuenti, affidandosi a tre motivi. L ‘Ufficio ha resistito con controricorso, eccependo preliminarmente l’in ammissibilità dei primi due motivi.
È stata, quindi, fissata l’adunanza camerale per il 07/02/2025. Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso i contribuenti denunciano la « falsa applicazione dell’art. 39 del d.p.r. n. 700/1973 » avendo la CTR omesso di esaminare la circostanza, dagli stessi evidenziata, che gli
accertatori avevano ‘svolto la propria analisi ai sensi del secondo comma dell’art. 39 del D.P.R. n. 600/1973’ (pag. 6 del ricorso). Lamentano che sul punto sarebbe mancata qualsiasi decisione da parte della CTR, non essendo entrata nel merito del procedimento induttivo deduttivo utilizzato.
1.1. Il motivo è inammissibile.
In disparte la questione dell’astratta sussumibilità della doglianza sotto la violazione dell’art. 39 d.P.R. n. 600/1973 (in realtà, infatti, i ricorrenti lamentano una omessa pronuncia che, più propriamente, andava dedotta come violazione dell’art. 112 co d. proc. civ.), il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza. per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6) cod. proc. civ.. Invero, i ricorrenti non hanno indicato in quale segmento temporale dei gradi di merito avrebbero eccepito l’erroneo ric orso, da parte degli accertatori, al metodo induttivopuro di cui al comma 2 dell’art. 39 cit..
1.1.1. Il sostrato normativo del ricorso per cassazione risiede nell’esposizione sommaria dei fatti di causa e nella specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali esso si fonda, che l’art. 366, c omma 1, cod. proc. civ., richiede a ‘pena di inammissibilità’, rispettivamente ai nn. 3) e 6) (in sinergia con il principio di specificità dei motivi veicolato dal n. 4), e il cui rispetto comporta che dalla sola lettura dell’atto, corredato da puntuali ri ferimenti normativi e documentali, il Giudice di legittimità deve essere posto in grado di comprendere le critiche rivolte alla pronuncia del Giudice di merito, per poterne poi valutare la fondatezza (Cass. 19/04/2022, n. 12481).
1.1.2. Il formante normativo, giurisprudenziale e convenzionale segnala che il ricorso è ‘autosufficiente’, e quindi ammissibile, quando: i) i motivi rispondono ai criteri di specificità previsti dal codice di rito; ii) ogni motivo indica, se del caso, l’atto, il documento, il contratto o accordo collettivo su cui si fonda e i riferimenti topografici (pagine, paragrafi o righe) dei brani citati; iii)
ogni motivo indica la fase processuale in cui il documento o l’atto è stato creato o prodotto; iv) il ricorso è accompagnato da un fascicoletto che contiene, ai sensi dell’art. 369, comma 2, n. 4), cod. proc. civ., gli atti, i documenti, i contratti o gli accordi collettivi cui si fa riferimento nel ricorso.
1.1.3. La perimetrazione del concetto di ‘autosufficienza’ risale alla sentenza di questa Corte n. 5656 del 1986, ove si affermò che il controllo di legittimità dovesse essere effettuato esclusivamente sulla base degli argomenti contenuti nel ricorso e che il giudice di legittimità non potesse ritenersi obbligato a ricercare nei fascicoli di merito gli atti e i documenti rilevanti. Successivamente la nozione venne affinata, individuandosene la ratio nel consentire alla Suprema Corte di comprendere la portata delle censure con il ricorso, senza esaminare altri atti o documenti (Cass. n. 9712/2003 e Cass. n. 6225/2005) e, specularmente, di investirla del potere di esaminare direttamente gli atti e i documenti correttamente indicati (Cass. Sez. U., n. 8077/2012).
Il principio dell’autosufficienza, sorto con riferimento ai vizi motivazionali, fu esteso agli errores in iudicando e in procedendo (Cass. n. 8013/1998, Cass. n. 4717/2000, Cass. n. 6502/2001, Cass. n. 3158/2002, Cass. n. 9734/2004, Cass. n. 6225/2005 e Cass. n. 2560/2007) e venne mantenuto anche dopo la riforma di cui al d.lgs. n. 40/2006, specificandosi che l’«indicazione» dei documenti pertinenti potesse alternativamente avvenire riassumendone il contenuto, o trascrivendone i passaggi essenziali, o, se necessario, trascrivendoli integralmente (Cass. n. 4823/2009, Cass. n. 16628/2009 e Cass. n. 1716/2012); con particolare riferimento all’onere di deposito ex art. 369, comma 2, n. 4 cod. proc. civ., si ritenne sufficiente che il documento citato nel ricorso fosse accompagnato da un riferimento idoneo ad identificare la fase del processo di merito in cui esso era stato prodotto, ferma, in ogni caso, l’esigenza della specifica indicazione richiesta a pena di
inammissibilità dall’art. 366, n. 6, cod. proc. civ. ( ex multis , Cass. Sez. U. n. 22726/2011).
1.1.4. Preme rilevare che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha confermato la compatibilità del requisito della cd. autosufficienza del ricorso con il principio di cui all’art. 6, § 1, della CEDU, a norma del quale « ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (…) da un tribunale (…)» – purché, secondo il criterio di proporzionalità, non si trasmodi in un ‘formalismo eccessivo’ – anche alla luce della sua pregressa giurisprudenza in materia di accesso in tema di ‘limitazioni del diritto di accesso a una giurisdizione superiore’, e in particolare alla Corte di cassazione, in ragione delle peculiarità del relativo procedimento (v. sentenze 5 aprile 2018, Zubac c. Croazia ; 27 giugno 2017, Sturm c. Lussemburgo ; 18 ottobre 2016, Miessen c. Belgio ; 15 settembre 2016, Trevisanato c. Italia ; 2 giugno 2016, Papaioannou c. Grecia ).
Invero, con la sentenza del 28 ottobre 2021 ( COGNOME RAGIONE_SOCIALE altri c. Italia ) la Corte di Strasburgo ha concluso che le condizioni imposte per la redazione del ricorso per cassazione -e in particolare l’applicazione del principio di autosufficienza perseguono uno scopo legittimo, segnatamente quello di « agevolare la comprensione della causa e delle questioni sollevate nel ricorso e permettere alla Corte di Cassazione di decidere senza doversi basare su altri documenti, affinché quest’ultima possa mantenere il suo ruolo e la sua funzione, che consistono nel garantire in ultimo grado l’applicazione uniforme e l’interpretazione corretta del diritto interno (nomofilachia) » e dunque, in ultima analisi, « la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia » (par. 73-75). I giudici europei hanno così fornito una giustificazione ‘sistematica’ del principio di autosufficienza, in quanto funzionale al ruolo che deve assolvere una corte suprema, avendo del resto più volte affermato che le condizioni di ammissibilità di un ricorso per cassazione possono essere anche più rigorose di quelle di un appello (par. 79).
Quanto alla ‘proporzionalità’ delle conseguenze delle restrizioni dell’accesso al giudice di legittimità, la Corte Edu, dopo aver ribadito che « il principio di autosufficienza permette alla Corte di cassazione di circoscrivere il contenuto delle doglianze formulate e la portata della valutazione che le viene richiesta alla sola lettura del ricorso, e garantisce un utilizzo appropriato e più efficace delle risorse disponibili » (par. 78) ha proceduto allo scrutinio dei tre ricorsi (riuniti), che erano stati dichiarati inammissibili da questa Corte, portati al suo vaglio.
In particolare, per quanto rileva in questa sede, analizzando il ricorso n. 37781/13 (in cui si era osservato che « il ricorrente si era limitato a menzionare, nei suoi motivi di ricorso, i documenti del procedimento sul merito senza presentarne le parti pertinenti e senza indicare i riferimenti necessari per ritrovarli nel fascicolo allegato al ricorso per cassazione »), i Giudici europei hanno evidenziato che « il ricorso per cassazione del ricorrente ometteva anche, in varie parti, di indicare i riferimenti delle fonti scritte invocate o dei passaggi della sentenza della corte d’appello citati » (par. 102), osservando che, secondo la propria giurisprudenza, « i motivi di ricorso per cassazione che rinviano ad atti o a documenti del procedimento del merito devono indicare sia le parti del testo in contestazione che l’interessato ritiene pertinenti, che i riferimenti ai documenti originali inseriti nei fascicoli depositati, allo scopo di permettere al giudice di legittimità di verificarne tempestivamente la portata e il contenuto, salvaguardando le risorse disponibili » (par. 103).
Pertanto, « tenuto conto della particolarità del procedimento per cassazione, del processo complessivamente condotto e del ruolo che ha svolto la Corte di cassazione nell’ambito di quest’ultimo (sent. 5 aprile 2018, Zubac c. Croazia), nonché del contenuto dell’obbligo specifico che il difensore del ricorrente era tenuto a rispettare nel caso di specie (in particolare indicare, per ciascuna citazione di un’altra fonte scritta, il riferimento al documento depositato con il
ricorso per cassazione) », la Corte Edu ha concluso che la decisione di inammissibilità della Corte di Cassazione « non possa essere considerata un’interpretazione troppo formalistica che avrebbe impedito l’esame del ricorso per cassazione dell’interessato » (par. 105), con conseguente assenza di una violazione dell’art. 6, § 1, CEDU (par. 106).
1.1.5. In definitiva, l’onere previsto dalla norma in commento -tra l’altro ribadito ed aggravato dalla riforma Cartabia mediante l’inserimento della necessaria illustrazione del contenuto rilevante degli atti processuali e dei documenti ( ex art. 3, comma 27, d.lgs. n. 149/2022, applicabile tuttavia ai giudizi introdotti con ricorso notificato a partire dal 1° gennaio 2023) -interpretato anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza della Corte EDU appena richiamata, non può ritenersi rispettato qualora il motivo di ricorso non indichi specificamente i documenti o gli atti processuali sui quali si fondi, non ne riassuma il contenuto o ne trascriva i passaggi essenziali, o comunque non fornisca un riferimento idoneo ad identificare la fase del processo di merito in cui essi siano stati prodotti o formati (Cass. Sez. U., 18/03/2022, n. 8950; Cass. 14/04/2022, n. 12259; Cass. 19/04/2022, n. 12481; Cass. 02/05/2023, n. 11325).
1.1.6. Nella specie, i ricorrenti fondano il primo motivo sulla asserita mancanza di decisione sulla eccezione relativa all’erroneo utilizzo del metodo induttivo-puro senza indicare quando detta eccezione sarebbe stata avanzata.
1.2. Il motivo è, in ogni caso, infondato atteso che dalla lettura della sentenza gravata sembrerebbe, così come affermato dal patrono erariale, che nel caso di specie l’accertamento sia stato eseguito con il metodo induttivo ex art. 39, comma 1, d.P.R. n. 600/1973. In questo senso militano i plurimi riferimenti, nella sentenza della CTR, alle scritture contabili tenute dalla società.
Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano l ‘«omesso esame in merito alla contestazione circa l’erroneo svolgimento del
procedimento induttivodeduttivo». In particolare, lamentano che ‘la Corte mai si è espressa propri in merito al percorso logico utilizzato’ (pag. 8 del ricorso), pur avendo i contribuenti eccepito, sin dal primo grado, ‘l’assoluta inaffidabilità del proce dimento posto in essere che appare completamente slegato dalla realtà documentale’ (pag. 7).
2.1. Il motivo , intitolato ‘omesso esame’, deve ritenersi inammissibile se sussunto sotto il n. 5, primo comma, dell’art. 360 cod. proc. civ., poiché in tutta evidenza l’oggetto dell’omissione (la contestazione) non integra un fatto, ai sensi e per gli effetti della citata disposizione, né i ricorrenti deducono la sua decisività ai fini del giudizio.
2.2. Il motivo è, invece, infondato se, più correttamente, la doglianza viene ricondotta alla violazione di legge, ovvero dell’art. 112 cod. proc. civ., e, quindi, al n. 3, primo comma, dell’art. 360 cit., avendo sostanzialmente i ricorrenti dedotto l’omes sa pronuncia, da parte della CTR, circa l’erroneo svolgimento del metodo induttivo -deduttivo.
Basti all’uopo considerare che la CTR ha ampiamente e condivisibilmente motivato sul punto avendo, dapprima, richiamato le affermazioni della CTP circa la legittimità dell’attività di rettifica induttiva, e, dopo, analiticamente e partitamente, sconfessato le censure mosse dagli appellanti circa: a) la natura esigua e parziale del campione utilizzato dall’Ufficio; b) l’illogicità dei passaggi ricostruttiv i; c) l’errata applicazione dei margini di sfrido.
Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano l ‘«erronea applicazione dell’art. 21 del decreto legislativo, 31/12/1992, n° 546» sotto un duplice profilo: in primo luogo, la CTR avrebbe erroneamente condannato gli appellanti al pagamento delle spese, pur essendosi l’Agenzia costituita a mezzo di propri funzionari; in secondo luogo, il giudice di appello, in assenza di gravame incidentale dell’Ufficio, modificato il capo sulle spese della sentenza di primo grado, liquidando euro 2.000,00 per entrambi i gradi di lite.
Il motivo è solo in parte fondato.
3.1. Priva di pregio è la prima censura, atteso che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte «nel processo tributario, alla parte pubblica (nella specie, un Comune) assistita in giudizio da propri funzionari o da propri dipendenti, in caso di vittoria della lite spetta la liquidazione delle spese, la quale deve essere effettuata mediante applicazione della tariffa ovvero dei parametri vigenti per gli avvocati, con la riduzione del venti per cento dei compensi ad essi spettanti, atteso che l’espresso riferimento ai compensi per l’attività difensiva svolta, contenuto nell’art. 15, comma 2 bis , del d.lgs. n. 546 del 1992, conferma il diritto dell’ente alla rifusione dei costi sostenuti e dei compensi per l’assistenza tecnica fornita dai propri dipendenti, che sono legittimati a svolgere attività difensiva nel processo» (Cass. 11/10/2021, n. 27634; Cass. 10/01/2024, n. 1019, con riferimento specifico alle spese sostenute dall’Amministrazione finanziaria).
Pertanto, nella specie correttamente la CTR ha liquidato le spese in favore dell’ADE, nonostante questa fosse assistita in giudizio da propri funzionari.
3.2. Coglie, invece, nel segno la seconda censura; invero, la CTR è incorsa nel vizio di ultrapetita avendo liquidato a carico degli appellanti soccombenti ed in favore dell ‘Ufficio appellato una somma (euro 2.0 00,00) a titolo di spese ‘per entrambi i gr adi di giudizio’.
Invero, a fronte della compensazione delle spese di primo grado e della conferma della sentenza per effetto del rigetto del gravame dei contribuenti, la CTR, in assenza di un gravame incidentale sul punto da parte dell’Ufficio , non poteva porre le spese di primo grado a carico degli appellanti soccombenti.
S’impone, quindi, la cassazione della sentenza con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio perché provveda alla liquidazione delle spese sostenute dall’appellata nel secondo grado (e solo in quello).
In base alle considerazioni svolte la sentenza di appello va cassata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado
del Lazio, in diversa composizione, perché proceda a nuovo esame in relazione alla censura accolta, ed alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie per quanto di ragione il terzo motivo di ricorso, rigettati gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, perché, in diversa composizione e nel rispetto dei principi esposti, proceda a nuovo giudizio in relazione alla censura accolta, provvedendo anche a regolare le spese del giudizio di legittimità tra le parti.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7 febbraio 2025.