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Autonoma organizzazione: quando non si paga l’IRAP

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 27051/2025, ha chiarito i confini del presupposto impositivo dell’IRAP per i professionisti. Il caso riguardava un consulente, socio di una grande società di revisione, che chiedeva il rimborso dell’imposta versata sostenendo di non disporre di un’autonoma organizzazione. La Corte ha accolto la sua tesi, stabilendo che essere inseriti nella struttura organizzativa di un terzo, anche in qualità di socio, non è sufficiente per far sorgere l’obbligo di versare l’IRAP. È necessario che il professionista sia il titolare e il responsabile diretto di tale organizzazione. La Corte ha inoltre accolto il ricorso del contribuente sulla liquidazione delle spese legali, ritenuta eccessivamente bassa dal giudice di secondo grado.

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Pubblicato il 18 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Autonoma organizzazione e IRAP: la Cassazione esclude il professionista inserito in una società

L’ordinanza n. 27051 del 2025 della Corte di Cassazione torna su un tema cruciale per migliaia di professionisti: la sussistenza del requisito della autonoma organizzazione ai fini dell’assoggettamento a IRAP. Con una decisione chiara e in linea con il suo consolidato orientamento, la Suprema Corte ha stabilito che il professionista, pur essendo socio di una grande struttura, non è tenuto al pagamento dell’imposta se non è il diretto titolare e responsabile di tale organizzazione. Questa pronuncia offre importanti spunti di riflessione e conferma un principio di garanzia per i lavoratori autonomi.

I fatti del caso: la richiesta di rimborso IRAP

Un consulente professionista, socio di una nota e vasta società di revisione facente parte di un network internazionale, aveva presentato istanza di rimborso per l’IRAP versata per le annualità dal 2013 al 2017. A fondamento della sua richiesta, il professionista sosteneva di aver svolto la propria attività esclusivamente all’interno della struttura organizzativa della società, utilizzando le risorse da essa fornite e senza disporre di una propria e autonoma organizzazione. Il suo unico committente era la società stessa, dalla quale proveniva l’intero reddito professionale dichiarato.

Di fronte al silenzio-rifiuto dell’Agenzia delle Entrate, il contribuente adiva la giustizia tributaria. Mentre il primo grado di giudizio si concludeva con il rigetto del ricorso, la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado accoglieva l’appello del professionista, riconoscendo il suo diritto al rimborso. Contro questa decisione, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione.

La questione centrale: l’autonoma organizzazione per i professionisti

Il cuore della controversia, oggetto del ricorso principale dell’Agenzia delle Entrate, risiedeva nell’interpretazione del presupposto impositivo dell’IRAP, ovvero l’esistenza di un’autonoma organizzazione. Secondo l’amministrazione finanziaria, il fatto che il professionista fosse socio della società e utilizzasse la sua complessa struttura per svolgere la propria attività rendeva tale organizzazione, almeno in parte, a lui riferibile. Di conseguenza, il requisito impositivo doveva considerarsi soddisfatto.

La difesa del contribuente, invece, si basava sul consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, per assoggettare un lavoratore autonomo a IRAP, non è sufficiente che egli si avvalga di una struttura organizzata, ma è necessario che questa struttura sia “autonoma”, cioè faccia capo a lui stesso, che ne sia il titolare e responsabile. L’inserimento in una struttura organizzata e diretta da un altro soggetto giuridico escluderebbe, pertanto, l’imponibilità.

Le motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, giudicandolo infondato. Gli Ermellini hanno ribadito i principi già espressi in numerose sentenze, incluse quelle delle Sezioni Unite (Cass. n. 9451/2016). Il requisito dell’autonoma organizzazione sussiste solo quando il contribuente è il responsabile dell’organizzazione e non un mero inserito in strutture organizzative altrui.

Nel caso di specie, era pacifico che il professionista, pur essendo un lavoratore autonomo, non impiegasse collaboratori propri né disponesse di beni strumentali significativi, ma era stabilmente inserito in un’organizzazione facente capo a un soggetto giuridico distinto: la società di revisione. La Corte ha sottolineato che l’unico responsabile di tale organizzazione era la società stessa. Pertanto, ciò che rileva ai fini dell’assoggettabilità all’IRAP è che il contribuente sia titolare e responsabile dell’organizzazione, non un semplice utilizzatore.

La Corte ha inoltre precisato che la qualifica di socio del professionista è irrilevante, poiché la titolarità e la responsabilità dell’organizzazione facevano comunque capo a un soggetto diverso, la società per azioni. Questo principio, già affermato in casi analoghi riguardanti professionisti operanti per società di revisione e consulenza, è stato pienamente confermato.

L’accoglimento del ricorso incidentale sulle spese legali

Un aspetto interessante della pronuncia riguarda il ricorso incidentale del contribuente, che lamentava l’errata liquidazione delle spese legali da parte della corte di merito. I giudici di secondo grado avevano liquidato un compenso di 1.500 euro per ciascun grado di giudizio, una somma ritenuta immotivatamente inferiore ai minimi tariffari previsti dal D.M. 55/2014, che per il valore della causa (circa 65.000 euro) avrebbero dovuto superare i 4.000 euro per grado. La Cassazione ha accolto questo motivo, ricordando che il giudice non può ridurre i compensi legali oltre il 50% dei valori medi tabellari. Di conseguenza, ha cassato la sentenza su questo punto, rinviando alla Corte di Giustizia Tributaria per una nuova e corretta determinazione delle spese.

Conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

L’ordinanza in esame rafforza un principio fondamentale in materia di IRAP per i professionisti: non è l’utilizzo di una struttura a determinare l’imponibilità, ma la titolarità e la responsabilità su di essa. Un professionista che opera all’interno di una società, di uno studio associato o di una clinica, senza avere il controllo gestionale e organizzativo della struttura, non è soggetto a IRAP. La sua attività, seppur potenziata dalla struttura altrui, non integra il presupposto dell’autonoma organizzazione. Questa decisione fornisce ulteriore certezza giuridica ai professionisti che si trovano in situazioni analoghe, chiarendo che la mera partecipazione come socio a una complessa realtà aziendale non implica automaticamente l’obbligo di versare l’imposta regionale sulle attività produttive.

Un professionista che lavora per una società di cui è socio deve pagare l’IRAP?
No. Secondo la Corte di Cassazione, non è sufficiente essere inseriti in una struttura organizzativa appartenente a terzi, anche se si possiede una quota societaria. L’IRAP è dovuta solo se il professionista è il titolare e il responsabile diretto di una propria e autonoma organizzazione.

Cosa si intende per ‘autonoma organizzazione’ ai fini IRAP?
Per ‘autonoma organizzazione’ si intende una struttura di cui il contribuente è il responsabile, che impiega beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività o si avvale in modo non occasionale del lavoro altrui. L’elemento cruciale è che l’organizzazione faccia capo direttamente al professionista e non a un altro soggetto.

Il giudice può liquidare le spese legali in misura inferiore ai minimi tariffari?
No. La Corte ha stabilito che, secondo la normativa vigente, il giudice non può diminuire i compensi per la prestazione legale oltre il 50% dei valori medi previsti dalle tabelle parametriche ministeriali. Una liquidazione immotivatamente inferiore a tali minimi rende la sentenza nulla su quel punto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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