Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 294 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 294 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 08/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15924/2023 R.G. proposto da COGNOME NOME, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (domicilio digitale: EMAIL, COGNOME NOME (domicilio digitale: EMAIL e COGNOME NOME (domicilio digitale: EMAIL
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa «ope legis»
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO DELLA LOMBARDIA n. 249/2023 depositata il 23 gennaio 2023
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 28 novembre 2024 dal Consigliere COGNOME NOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME consulente aziendale e socio della RAGIONE_SOCIALE assumendo di non possedere un’autonoma struttura
organizzativa suscettibile di creare valore aggiunto, presentava alla Direzione Provinciale I di Milano dell’Agenzia delle Entrate due distinte istanze volte ad ottenere il rimborso, rispettivamente: (a)del primo acconto dell’IRAP versata per l’anno 2014; (b)del secondo acconto e del saldo dell’IRAP versata per lo stesso anno, nonchè dell’intera imposta pagata per gli anni 2015, 2016 e 2017.
Formatosi il silenzio-rifiuto, il contribuente impugnava il diniego proponendo due separati ricorsi dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano, la quale, riuniti i procedimenti, rigettava le sue richieste.
La decisione veniva successivamente confermata dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, che con sentenza n. 249/2023 del 23 gennaio 2023 respingeva l’appello della parte privata.
A fondamento della pronuncia adottata i giudici regionali osservavano che il COGNOME non aveva assolto l’onere della prova dell’insussistenza del presupposto impositivo, sottolineando che, al contrario, risultava dimostrata «l’esistenza di una struttura organizzata non estranea al professionista» .
Precisavano, al riguardo, che «la circostanza che il professionista (fosse) anche socio o azionista della società della cui struttura organizzata si avvale (va) per l’espletamento della sua attività impedi (va) di riferire ad ‘altrui’ responsabilità ed interesse una tale struttura» , essendo «innegabile che la detta struttura organizzata, ben eccedente… il minimo necessario per l’esercizio della professione intellettuale, a (vesse) favorito ed incrementato in misura rilevante l’attività dell’appellante, fornendogli non solo clientela, ma anche supporti materiali e gestionali: ciò che del resto spiega (va) l’assenza di collaboratori e di beni strumentali significativi nelle dichiarazioni del contribuente» .
Avverso tale sentenza il COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c..
Nel termine di cui al comma 1, terzo periodo, dello stesso articolo il ricorrente deposita memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., è denunciata la violazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 36 del D. Lgs. n. 546 del 1992.
1.1 Si censura l’impugnata sentenza nella parte in cui sembra porre in dubbio la circostanza, da ritenersi invece pacifica, che il COGNOME non avesse clienti , svolgendo attività professionale di consulenza unicamente per conto della RAGIONE_SOCIALE , alla quale era legato da un contratto di collaborazione con clausola di esclusiva.
1.2 Viene, al riguardo, evidenziato che la decisione resa sul punto dalla CGT di secondo grado è retta da una motivazione e risulta, in ogni caso, viziata dall’inosservanza del principio di non contestazione.
Con il secondo motivo, proposto in via alternativa ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., è lamentata la violazione dell’art. 2 del D. Lgs. n. 446 del 1997, rimproverandosi ai giudici regionali di non aver osservato i criteri stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità per l’accertamento del requisito dell’, costituente il presupposto dell’IRAP.
Con il terzo mezzo, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., è nuovamente prospettata la violazione dell’art. 36 del D. Lgs. n. 546 del 1992.
3.1 Si assume che la gravata pronuncia risulterebbe corredata di una motivazione perplessa o incomprensibile sul punto riguardante l’assolvimento dell’onere probatorio posto a carico del contribuente.
In applicazione del principio della ragione più liquida, conviene esaminare con priorità il secondo motivo, il quale appare fondato e assorbente, per le ragioni di sèguito esposte.
4.1 La CGT di secondo grado ha ritenuto il Falessi soggetto passivo dell’imposta regionale sulle attività produttive, in ragione del fatto che, in quanto socio e consulente aziendale della RAGIONE_SOCIALE , si serviva per l’esercizio della propria attività professionale della struttura organizzativa predisposta dalla società.
4.2 Il ragionamento posto a base del «decisum» non è condivisibile.
4.3 Giova premettere che, ai sensi dell’art. 2, comma 1, del D. Lgs. n. 446 del 1997, il presupposto dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) è «l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi».
4.4 Per costante giurisprudenza di legittimità, l’IRAP è un’imposta che coinvolge una capacità produttiva impersonale e aggiuntiva rispetto a quella propria del professionista e colpisce un reddito che contiene una componente di profitto derivante da una struttura organizzativa esterna, cioè da un insieme di fattori che per numero, importanza e valore economico siano suscettibili di creare un valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale supportata dagli strumenti indispensabili e di corredo al know-how del professionista medesimo.
Essa, dunque, interessa il surplus di attività agevolato dalla struttura organizzativa che coadiuva e integra il professionista nelle incombenze ordinarie, ovvero l’incremento potenziale o «quid pluris» realizzabile rispetto alla produttività auto organizzata del solo lavoro personale (cfr. Cass. n. 4657/2016, Cass. n. 4246/2016, Cass. n. 19769/2013, Cass. n. 8741/2013, Cass. n. 10193/2008, Cass. n. 13810/2007).
4.5 Come statuito dalle Sezioni Unite con sentenza n. 9451/2016,
risolutiva di una questione di massima di particolare importanza sulla quale era insorto un contrasto interno di giurisprudenza, il requisito dell’«attività autonomamente organizzata» ricorre quando il contribuente: (a)sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non risulti, quindi, inserito in strutture riferibili ad altrui responsabilità e interesse; (b)impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’ «id quod plerumque accidit» , il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore esplicante mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive (cfr. anche Cass. n. 12111/2019, Cass. n. 9786/2018).
4.6 Pertanto, affinché un lavoratore autonomo possa essere considerato soggetto passivo d’imposta, occorre non solo che egli si serva di un’autonoma organizzazione, ma anche che ne sia il titolare, e dunque il responsabile (cfr. Cass. n. 19397/2022).
4.7 Con particolare riguardo al caso del lavoratore autonomo che presti la sua attività a favore di un terzo già dotato di una propria struttura organizzativa, questa Corte regolatrice ha elaborato il principio generale secondo cui, ai fini della realizzazione del presupposto dell’IRAP, non basta il semplice utilizzo della detta struttura, ma è altresì necessario che questa sia ‘autonoma’, cioè faccia capo al lavoratore medesimo non soltanto ai fini operativi, bensì anche sotto il profilo gestionale (cfr. Cass. n. 4080/2017, Cass. n. 27032/2016, Cass. n. 9692/2012).
4.8 Tale principio è stato affermato in numerose pronunce riguardanti professionisti che, come nella vicenda in esame, svolgevano in tutto o in parte la propria attività per società di revisione e di consulenza (cfr. Cass. n. 11238/2023, Cass. n. 19397/2022, Cass. n. 11140/2021): nei richiamati precedenti trovasi costantemente ripetuto che l’esercizio di attività nell’àmbito della struttura organizzativa costituita da una società di cui il
professionista è socio (o dipendente) non integra il presupposto impositivo di cui all’art. 2 del D. Lgs. n. 446 del 1997 (cfr., ex ceteris , Cass. n. 22266/2023, Cass. n. 11924/2023).
4.9 È stato, inoltre, puntualizzato che «il valore assoluto dei compensi e dei costi, ed il loro reciproco rapporto percentuale, non costituiscono elementi utili per desumere il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione di un professionista…, atteso che, da un lato, i compensi elevati possono essere sintomo del mero valore ponderale specifico dell’attività esercitata, e, dall’altro, le spese consistenti possono derivare da costi strettamente afferenti all’aspetto personale (spese alberghiere o di rappresentanza, assicurazione per i rischi professionali o carburante utilizzato per il veicolo strumentale), rappresentando, così, un mero elemento passivo dell’attività professionale, non funzionale allo sviluppo della produttività e non correlato all’implementazione dell’aspetto ‘organizzativo’» (cfr. Cass. 23557/2016, Cass. n. 8728/2018, Cass. n. 7652/2020, Cass. n. 23874/2024, Cass. n. 3882/2024).
4.10 Ciò posto, nella presente fattispecie è incontroverso che il COGNOME, pur essendo un lavoratore autonomo, fosse inserito stabilmente in un’organizzazione costituita da un distinto soggetto giuridico, e precisamente dalla RAGIONE_SOCIALE
4.11 In un simile contesto, a nulla rileva che egli si avvalesse di tale organizzazione, in quanto ciò che importa, ai fini dell’assoggettabilità all’IRAP, è che il contribuente sia il titolare e il responsabile della struttura organizzativa.
4.12 D’altro canto, poiché non era il ricorrente a sostenere i costi per i collaboratori e i dipendenti, non si vede come avrebbe potuto assumere decisioni sulla gestione del personale, al di là delle specifiche direttive che venivano da lui impartite nell’àmbito del singolo incarico di revisione contabile di volta in volta espletato (cfr., sul punto, Cass. n. 6439/2018, Cass. n. 17566/2016).
4.13 Irrilevante è, poi, la circostanza che egli detenesse all’epoca
una quota di partecipazione al capitale della società, posto che, in ogni caso, la titolarità e la responsabilità dell’autonoma organizzazione facevano capo a un diverso soggetto (nello stesso senso, per fattispecie analoghe, cfr. Cass. n. 6439/2018, Cass. n. 17566/2016).
Alla stregua delle argomentazioni complessivamente svolte, appare configurabile la dedotta violazione delle norme di diritto invocate nella rubrica del secondo motivo, sicchè va disposta la cassazione della sentenza gravata.
5.1 Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi degli artt. 384, comma 2, seconda parte, c.p.c. e 62, comma 2, del D. Lgs. n. 546 del 1992, con l’accoglimento dell’originario ricorso del contribuente e il conseguente annullamento dell’impugnato diniego di rimborso dell’IRAP da questi versata per gli anni 2014, 2015, 2016 e 2017.
5.2 Stante l’intervenuta definizione della controversia nel merito, si rende necessario provvedere alla regolamentazione delle spese dell’intero processo.
5.3 Reputa la Corte, in base a una valutazione unitaria e globale dell’esito della lite, che possano compensarsi integralmente fra le parti le spese dei due gradi di merito e che debbano, invece, porsi a carico dell’Agenzia delle Entrate, sostanzialmente soccombente, gli oneri relativi al presente giudizio di legittimità, liquidati come in dispositivo.
5.4 Sull’argomento è utile rammentare che la compensazione delle spese di un grado del processo, non collidendo con il principio dell’infrazionabilità della soccombenza, ben può coesistere con la condanna alle spese in favore della parte vittoriosa in relazione ad altri gradi (cfr. Cass. n. 7146/2017).
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbiti i restanti; cassa la sentenza gravata e, decidendo la causa nel merito, annulla
l’impugnato diniego di rimborso dell’IRAP versata dal contribuente per gli anni 2014, 2015, 2016 e 2017; compensa integralmente fra le parti le spese del doppio grado di merito e condanna l’Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore , a rifondere al ricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi 7.200 euro (di cui 200 per esborsi), oltre al rimborso forfettario nella misura del 15% e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione