Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2953 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 2953 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/02/2025
Oggetto: Cartella di pagamento automatizzata – Motivi di appello – Omessa pronuncia Rigetto implicito – Differenze Censurabilità nel giudizio di cassazione.
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 9714/2016 R.G. proposto da
COGNOME , elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio degli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME che lo rappresentano e difendono, unitamente e disgiuntamente all’avv. NOME COGNOME del Foro di Milano, in virtù di procura speciale a margine del ricorso.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro-tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato , presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
– resistente –
avverso la sentenza della C.t.r. di Venezia-Mestre, n. 1565/2015, depositata il 14.10.2015 e non notificata.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 23.1.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
udite le difese delle parti.
RITENUTO CHE:
Con ricorso proposto alla Commissione tributaria provinciale di Padova, l’avv. COGNOME COGNOME impugnava la cartella di pagamento emessa ai sensi dell’articolo 36 -bis del d.P.R. n. 600 del 1973, poiché, all’esito del controllo automatizzato del modello Unico 2008, era stata riscontrata la mancata dichiarazione di somme dovute a titolo di Irap, per il periodo d’imposta 2007, e l’indebit o recupero, mediante compensazione con altro debito, di quanto versato dal contribuente a titolo di Irap per il precedente periodo di imposta 2006, senza produrre alcun documento attestante la suddetta compensazione. L’Agenzia delle entrate aveva ritenuto ingiustificata tale compensazione e non spettante il credito d’imposta vantato. Per contro, il contribuente contestava l’assenza dei presupposti per l’utilizzo della procedura automatizzata, nonché per l’applicazione dell’irap con riferimento all’attività di direttore degli affari legali e societari da lui svolta per conto della RAGIONE_SOCIALE, trattandosi di attività distinta da quell a svolta in qualità di socio dell’associazione professionale RAGIONE_SOCIALE condotta con partita iva autonoma, con il solo apporto di lavoro proprio e prevalentemente presso la sede della società.
In primo grado, l’impugnazione veniva rigettata dalla C.t.p., che riteneva sussistenti i presupposti impositivi dell’Irap, attesa la presenza di autonoma organizzazione dell’attività professionale esercitata dal contribuente.
Tale decisione veniva confermata dalla C.t.r., che riteneva sussistente il requisito dell’autonoma organizzazione ed il conseguente obbligo tributario, considerata l’incidenza dei costi in deduzione rispetto ai compensi e considerato che il contribuente avvocato era pure socio di uno studio legale associato, che disponeva di una superficie di 170 mq, di personale dipendente a tempo pieno e part-time e di beni strumentali.
Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione il contribuente, sulla base di dieci motivi. L ‘Agenzia delle entrate depositava atto di costituzione, al solo fine di partecipare all’udienza di discussione.
Depositava memoria il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che concludeva chiedendo l’accoglimento del ricorso, attesa la fondatezza dei motivi nn. 1, 2, 5, 6 e 8 e l’ assorbimento dei restanti.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di doglianza, COGNOME COGNOME deduce l’omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 c.p.c., in ordine alla nullità della cartella di pagamento per difetto di motivazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., non avendo la C.t.r. affrontato la questione posta dal contribuente con uno dei motivi di appello.
Con il secondo motivo di doglianza, COGNOME Mauro deduce l’omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 c.p.c., in ordine all’illegittimità della cartella di pagamento per violazione o falsa applicazione dell’art. 36 -bis del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 3 60, comma 1, n. 4, c.p.c., non avendo la C.t.r. affrontato la questione posta dal contribuente con uno dei motivi di appello.
Con il terzo motivo di doglianza, COGNOME COGNOME deduce l’omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 c.p.c., in ordine
all’illegittimità della cartella di pagamento stante la tardività della notifica , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., non avendo la C.t.r. affrontato la questione posta dal contribuente con uno dei motivi di appello.
Con il quarto motivo di doglianza, COGNOME Mauro deduce l’omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 c.p.c., in ordine alla illegittimità della cartella di pagamento in quanto non preceduta dalla rettifica, mediante avviso di accertamento, della dichiarazione Modello Unico 2007, periodo d’imposta 2006, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., non avendo la C.t.r. affrontato la questione posta dal contribuente con uno dei motivi di appello.
Con il quinto motivo di doglianza, Princivalli Mauro deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 3, comma 1, e 21-septies della l. n. 241 del 1990, 7, comma 3, della l. n. 212 del 2000 e 12, comma 3, del d.P.R. n. 602 del 1973, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., avendo la C.t.r. implicitamente negato il difetto di motivazione della cartella di pagamento, laddove invece essa omette di indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche poste alla sua base, riportando un codice e la generica formula ‘saldo omesso o carente versamento’.
Con il sesto motivo di doglianza, Princivalli Mauro deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 36 -bis del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., avendo la C.t.r. implicitamente ammesso che la liquidazione della dichiarazione, disciplinata dalla disposizione suindicata, sia consentita anche in assenza di correzione della dichiarazione medesima, laddove invece tale procedura è ammessa solo in presenza di errori materiali o di calcolo rilevabili dalla dichiarazione medesima e non per richiedere il pagamento di un importo, esposto a credito nella dichiarazione relativa al periodo d’imposta precedente.
Con il settimo motivo di doglianza, COGNOME COGNOME deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 25, comma 1, lett. a), del
d.P.R. n. 602 del 1973 , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., avendo la C.t.r. implicitamente ammesso che la notifica della cartella di pagamento fosse tempestiva, laddove invece era intervenuta oltre il termine indicato dalla suddetta disposizione.
Con l’ ottavo motivo di doglianza, Princivalli Mauro deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 36-bis, 38 e 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., avendo la C.t.r. implicitamente ammesso che la liquidazione della dichiarazione regolata dal citato art. 36-bis sia consentita anche se la correzione necessiti di un’attività di tipo valutativo , che invece era stata esercitata per accertare la sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’Irap.
Con il nono motivo di doglianza, Princivalli Mauro deduce la violazione o falsa applicazione de ll’art. 2 del d.lgs. n. 446 del 1997, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., avendo la C.t.r. implicitamente affermato la ricorrenza del presupposto dell’autonoma organizzazione senza distinguere tra le diverse attività svolte dal contribuente, sebbene egli, tanto in primo che in secondo grado, avesse dedotto l’assenza dei presupposti per l’applicazione dell’irap in relazione all’attività di direttor e degli affari legali e societari da lui svolta per conto della RAGIONE_SOCIALE, trattandosi di attività distinta da quella svolta in qualità di socio dell’associazione professionale RAGIONE_SOCIALE condotta con partita iva autonoma, con il solo apporto di lavoro proprio e prevalentemente presso la sede della società, laddove invece era stata valorizzata solo la partecipazione del contribuente alla suddetta associazione professionale.
Con il decimo motivo di doglianza, COGNOME COGNOME deduce la violazione o falsa applicazione de ll’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., avendo la C.t.r. ritenuto provata l’autonoma organizzazione dell’attività di direttore degli affari legali e societari di NOME sulla base di elementi privi dei
requisiti della gravità, precisione e concordanza, basati esclusivamente sull’incidenza dei costi in deduzione rispetto ai compensi laddove il contribuente aveva evidenziato che il valore dei beni strumentali, sebbene elevato, si riferisse in gran parte ad un unico bene, ossia ad un’autovettura utilizzata ad uso promiscuo, che non aveva alcuna attitudine a rivelare la sussistenza di un’autonoma organizzazione al servizio dell’attività considerata.
Il Pubblico Ministero conclude per l’accoglimento del ricorso, osservando che la liquidazione della dichiarazione ai sensi dell’art. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 è consentita solo in presenza di un errore certo, rilevabile a seguito di controllo formale ed entro termini di decadenza, del tutto spirati nel caso in esame; che tale procedura era stata invece utilizzata per rilevare errori che presupponevano un’attività di tipo valutativo, ciò riverberandosi anche su l corretto adempimento degli oneri motivazionali.
Sembra opportuno ripercorrere, in estrema sintesi, le vicende che hanno originato il presente giudizio. All’esito di un controllo automatizzato della dichiarazione dei redditi dell’avv. COGNOME COGNOME era stata riscontrata la mancata dichiarazione di somme dovute a titolo di Irap, per il periodo d’imposta 2007 , e l’indebito recupero, mediante compensazione con altro debito, di quanto versato dal contribuente a titolo di Irap per il precedente periodo di imposta 2006. Ritenendo non spettante il credito d’imposta, era stata emessa la cartella di pagamento automatizzata per il relativo recupero.
Va, preliminarmente, evidenziato che, con i primi otto motivi di doglianza, il ricorrente pone quattro questioni afferenti alla regolarità formale della cartella di pagamento automatizzata emessa nei suoi confronti. In particolare, viene contestato il difetto di motivazione della cartella impugnata; la mancanza dei presupposti per avvalersi della procedura automatizzata ex art. 36-bis del d.P.R.
n. 600 del 1973; la tardività della notifica rispetto al termine di decadenza; la mancanza del preavviso di rettifica.
Con riferimento a tali quattro questioni, il ricorrente deduce in prima battuta il vizio di omessa pronuncia, sostenendo che la C.t.r. avrebbe completamente omesso di pronunciarsi su di esse, ciascuna delle quali rappresentava uno specifico motivo di appello. In subordine, le medesime questioni vengono riproposte sotto il profilo del vizio di violazione di legge, ove si dovesse ritenere che non si tratti di omessa pronuncia, ma di rigetto implicito.
Con i restanti due motivi, poi, il ricorrente contesta nel merito la pretesa dell’amministrazione finanziaria, sostenendo l’insussistenza dei presupposti impositivi per la debenza dell’Irap.
Orbene, giova ricordare che il vizio di omessa pronuncia è configurabile allorché risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto e non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto.
A tal riguardo, la Suprema Corte ha affermato che ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. n. 24155/2017, Rv. 64553801; nello stesso senso Cass. n. 29191/2017, Rv. 64629001 e Cass. n. 25710/2024, Rv. 67229502) . E’ stato, altresì, precisato che, è configurabile la decisione implicita di una questione (connessa
a una prospettata tesi difensiva) o di un’eccezione di nullità (ritualmente sollevata o rilevabile d’ufficio) quando queste risultino superate e travolte, benché non espressamente trattate, dalla incompatibile soluzione di un’altra questione, il cui solo esame presupponga e comporti, come necessario antecedente logicogiuridico, la loro irrilevanza o infondatezza; ne consegue che la reiezione implicita di una tesi difensiva o di una eccezione è censurabile mediante ricorso per cassazione non per omessa pronunzia (e, dunque, per la violazione di una norma sul procedimento), bensì come violazione di legge e come difetto di motivazione, sempreché la soluzione implicitamente data dal giudice di merito si riveli erronea e censurabile oltre che utilmente censurata, in modo tale, cioè, da portare il controllo di legittimità sulla decisione inespressa e sulla sua decisività (Cass. n. 12131/2023, Rv. 66761401).
Del resto, l’obbligo di motivazione del giudice è ottemperato mediante l’indicazione delle ragioni della sua decisione, ossia del ragionamento da lui svolto con riferimento a ciascuna delle domande o eccezioni (nel giudizio di primo grado) o a ciascuno dei motivi d’impugnazione (nei giudizi d’impugnazione), mentre non è necessario che egli confuti espressamente – pur dovendoli prendere in considerazione – tutti gli argomenti portati dalla parte interessata a sostegno delle proprie domande, eccezioni o motivi disattesi e cioè anche gli argomenti assorbiti o incompatibili con le ragioni espressamente indicate dal giudice stesso, dovendosi ritenere, diversamente, che la motivazione non possa qualificarsi come “succinta” nel senso voluto dall’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., tanto più ove venga in rilievo una ordinanza pronunziata dalla Suprema Corte ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ. (Cass. n. 12123/2013, Rv. 62671401).
Alcune questioni possono, quindi, risultare assorbite dalla decisione presa dal giudicante. A tal riguardo, si distingue tra assorbimento “proprio”, che si verifica quando la decisione della
domanda assorbita divenga superflua per effetto della decisione sulla domanda assorbente, con conseguente sopravvenuta carenza di interesse all’esame della domanda rimasta assorbita, ed assorbimento “improprio”, che si ha quando la decisione assorbente escluda la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporti un implicito rigetto della domanda formulata e dichiarata assorbita. La Suprema Corte ha affermato che, a prescindere dalla forma di assorbimento, la relativa declaratoria implica la specifica indicazione, da parte del giudice, dei presupposti in fatto e in diritto che la legittimano sicché, ove ciò non avvenga, si è in presenza di una omissione di pronuncia, comportante la nullità della decisione sul punto (Cass. n. 26507/2023, Rv. 66912901).
15. Orbene, la sentenza impugnata riporta, nella parte espositiva, le contestazioni formali sollevate dal ricorrente, con particolare riferimento alla nullità della cartella per carenza di motivazione; all’errata interpretazione dell’art. 36 -bis del d.P.R. n. 600 del 1973; alla violazione dello Statuto del contribuente; alla decadenza dall’azione per l’intempestività della notifica della cartella automatizzata. Tuttavia, nonostante l’elencazione di tali doglianze, la C.t.r. non ne ha esaminata neanche una, decidendo direttamente nel merito della pretesa tributaria, ritenendola fondata e rigettando, pertanto, l’impugnazione del contribuente.
I profili relativi alle contestazioni formali sono stati, quindi, ritenuti assorbiti dalla decisione di merito, in assenza di declaratoria al riguardo e senza l’indicazione dei presupposti giustificativi. Già solo per tale aspetto la motivazione della C.t.r. risulta carente.
Peraltro, il rapporto di pregiudizialità logico-giuridica esistente tra le questioni non esaminate e quelle decise consente di ravvisare un’ipotesi di rigetto implicito delle prime. Ed infatti, nella sentenza impugnata non è stato completamente omesso il provvedimento indispensabile alla soluzione del caso concreto, ma è stata adottata
una pronuncia incompatibile con l ‘accoglimento dell a pretesa avanzata con i capi di domanda non espressamente esaminati. Ed infatti, essendo stati rigettati i profili con cui il ricorrente contestava nel merito la pretesa dell’amministrazione finanziaria, affermando la sussistenza dei presupposti impositivi per la debenza dell’Irap, non può dirsi che sia venuto meno l’interesse del contribuente ad ottenere una decisione sugli altri profili di contestazione che, attenendo alla regolarità formale della cartella di pagamento ed alla possibilità stessa di utilizzare la procedura automatizzata ex art. 36bis del d.P.R. n. 600 del 1973 per il recupero del credito, erano logicamente preordinati rispetto all’esame del merito della pretesa impositiva.
16. Passando, quindi, ad esaminare i profili di irregolarità formale della cartella impugnata, implicitamente rigettati, giova premettere che l’Amministrazione finanziaria può ricorrere alla procedura di cui all’art. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, o a quella analoga di cui all’art. 54-bis del d.P.R. n. 633 del 1972, anche per rettificare l’imposta indicata in dichiarazione in base all’applicazione di una diversa aliquota, rispetto a quella individuata dal contribuente, qualora tale attività si traduca nella correzione di un mero errore o derivi dall’applicazione diretta e immediata di norme giuridiche, ma non nell’ipotesi in cui vengano in rilievo profili valutativi e/o estimativi, diversi dal mero raffronto con dati ed elementi in possesso dell’anagrafe tributaria (Cass. n. 8462/2024, Rv. 67085901). In tale caso, inoltre, è legittima l’iscrizione a ruolo della maggiore imposta, senza necessità di emettere avviso di accertamento, quando la verifica sia meramente cartolare e non implichi valutazioni, ciò che avviene quando essa si fondi sul solo riscontro obiettivo tra i dati formali contenuti nella dichiarazione dei redditi e le informazioni sul contribuente reperibili nell’anagrafe tributaria e sulle incongruità riscontrate dal suddetto raffronto (Cass. n. 24747/2020, Rv. 65949701, nello stesso senso Cass. n. 39331/2021, Rv. 66309501, secondo cui, in tema di controlli delle
dichiarazioni tributarie, l’attività dell’Ufficio accertatore, correlata alla contestazione di detrazioni e crediti indicati dal contribuente, qualora nasca da una verifica di dati indicati da quest’ultimo e dalle incongruenze dagli stessi risultanti, non implica valutazioni, sicché è legittima l’iscrizione a ruolo della maggiore imposta ai sensi degli artt. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54-bis del d.P.R. n. 633 del 1972, non essendo necessario un previo avviso di recupero.
Con particolare, riferimento al credito d’imposta, poi, la Suprema Corte ha affermato che, in tema di controllo automatizzato ex art. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, qualora l’amministrazione finanziaria verifichi che il credito di imposta erroneamente esposto non era stato riportato nelle dichiarazioni precedenti potrà solo procedere alla rettifica degli errori materiali o di calcolo, ma non anche all’emissione della cartella di pagamento per il recupero del credito non dichiarato, salvo che accerti che il contribuente ha anche illegittimamente utilizzato il credito di imposta esposto, così generando un debito nei confronti dell’amministrazione, che in tal caso legittima la pretesa di recupero dell’importo mediante la notifica della cartella di pagamento (Cass. n. 20643/2021, Rv. 66193201).
Una volta effettuato il controllo automatizzato, peraltro, l’amministrazione ha un termine di decadenza entro cui emettere la cartella di pagamento. Ed infatti, la Suprema Corte ha affermato che, in tema di accertamenti e controlli delle dichiarazioni tributarie, il termine annuale per la rettifica cd. formale automatizzata, previsto dall’art. 36-bis d.P.R. n. 600 del 1973, ha un rilievo tutto interno all’apparato organizzativo dell’Amministrazione finanziaria, mentre nel rapporto, esterno, tra contribuente e fisco rileva il diverso termine – avente invece natura perentoria – entro il quale il concessionario, a pena di decadenza, deve notificare al debitore la conseguente cartella di pagamento (entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione) (Cass. n. 15750/2020, Rv. 65840401).
Inoltre, con riferimento al profilo della motivazione, la Suprema Corte ha affermato che la cartella di pagamento, nell’ipotesi di liquidazione dell’imposta ai sensi dell’art. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, costituisce l’atto con il quale il contribuente viene a conoscenza per la prima volta della pretesa fiscale e come tale deve essere motivata; tuttavia, nel caso di mera liquidazione dell’imposta sulla base dei dati forniti dal contribuente medesimo nella propria dichiarazione, nonché qualora vengano richiesti interessi e sovrattasse per ritardato od omesso pagamento, il contribuente si trova già nella condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale, con l’effetto che l’onere di motivazione può considerarsi assolto dall’Ufficio mediante mero richiamo alla dichiarazione medesima (Cass. n. 14236/2017, Rv. 64443401).
Ciò posto, nel caso in esame, C.t.r., nel rigettare implicitamente tutte le contestazioni formali del ricorrente, non sembra aver violato i suesposti principi.
Ed infatti, nel caso in esame, è pacifico che il credito di imposta non era stato riportato nelle dichiarazioni precedenti e che sia stato poi successivamente utilizzato su iniziativa del contribuente. Erano, quindi, sussistenti i presupposti per l’emissione della cartella automatizzata, risultando l’incongruenza da un mero controllo formale della dichiarazione e spettando, poi, al contribuente medesimo dimostrare il fatto impeditivo dell’obbligazione tributaria. In tal senso, la Suprema Corte ha statuito che, nel giudizio d’impugnazione della cartella di pagamento emessa dall’Amministrazione finanziaria ex art. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 per omesso versamento dell’Irap nella misura indicata nella dichiarazione dei redditi, spetta al contribuente che “ritratti” la propria dichiarazione provare il fatto impedivo dell’obbligazione tributaria (asserita mancanza dell’autonoma organizzazione), determinandosi, altrimenti, un’irrazionale disparità di trattamento tra coloro che chiedono il rimborso di un’imposta versata e non
dovuta, onerati di fornire la prova del diritto alla restituzione, e coloro che, dopo essersi dichiarati soggetti ad imposizione ed averne indicato l’ammontare in dichiarazione, ne omettono, in tutto o in parte, il versamento (Cass. n. 6239/2020, Rv. 65737901).
Quanto al profilo della tardività della notifica, i motivi di doglianza appaiono generici sul punto, non essendo chiarita la data in cui la cartella è stata notificata e quale sarebbe stata la lesione al diritto di difesa, derivante dalla asserita carente motivazione.
Come sopra osservato, poi, la cartella di pagamento automatizzata, ove la verifica sia di tipo meramente cartolare, come nel caso di specie, non necessita della previa emissione dell’avviso di accertamento.
Per contro, sono fondati i motivi nono e decimo , relativi alle contestazioni sostanziali della pretesa, anch’essi da esaminarsi congiuntamente, in quanto intimamente connessi.
Giova ricordare che, in tema di IRAP, il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’ id quod plerumque accidit , il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni meramente esecutive (Cass. n. 9786/2018, Rv. 64773701).
Ove, poi, il contribuente, oltre alla propria attività lavorativa, ricopra cariche all’interno di altre società, la Suprema Corte ha affermato che, in tema di IRAP, il libero professionista non è automaticamente escluso dall’imposizione con riferimento all’esercizio dell’attività di titolare di cariche organiche di enti o società commerciali, con la conseguenza che, ove presenti domanda di rimborso dell’imposta che assume indebitamente versata, ha
l’onere di provare l’assenza del requisito dell’autonoma organizzazione in relazione allo svolgimento di detta attività (Cass. n. 4576/2019, Rv. 65259801). Nello stesso senso, Cass. n. 16372/2017, Rv. 64492801, secondo cui, in tema di IRAP, il commercialista che sia anche amministratore, revisore e sindaco di una società non soggiace all’imposta per il reddito netto di tali attività, in quanto è soggetta ad imposizione fiscale unicamente l’eccedenza dei compensi rispetto alla produttività auto-organizzata; il che non si verifica nella specie, atteso che per la soggezione all’IRAP non è sufficiente che il commercialista normalmente operi presso uno studio professionale, atteso che tale presupposto non integra, di per sé, il requisito dell’autonoma organizzazi one rispetto ad un’attività rilevante quale organo di una compagine terza. Ed ancora, in tema d’IRAP, non realizza il presupposto impositivo l’esercizio dell’attività di sindaco e di componente di organi di amministrazione e controllo di enti di categoria, che avvenga in modo individuale e separato rispetto ad ulteriori attività espletate all’interno di un’associazione professionale, senza ricorrere ad un’autonoma organizzazione (Cass. n. 19327/2016, Rv. 64123501).
La C.t.r. non ha adeguatamente tenuto conto dei suesposti principi, non avendo effettuato alcuna distinzione tra l’attività professionale svolta dal contribuente presso lo studio legale associato COGNOMERAGIONE_SOCIALE e l’attività svo lta presso la società RAGIONE_SOCIALE ed avendo omesso di valutare il profilo della autonoma organizzazione con riferimento a quest’ultima attività.
Pertanto, in accoglimento del nono e del decimo motivo di ricorso, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio al giudice a quo per le ragioni di cui sopra, nonché per il regolamento delle spese di lite anche del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, in accoglimento del nono e del decimo motivo di ricorso, rigettati i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata e
rinvia alla Corte di giustizia tributaria del Veneto, in diversa composizione, per le ragioni di cui in parte motiva, nonché per il regolamento delle spese di lite anche del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione