Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 30284 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 30284 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/11/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 30381/2022 R.G. proposto da:
COGNOME NOME , rappresentato e difeso per procura speciale in atti dall’AVV_NOTAIO e, anche disgiuntamente, dall’AVV_NOTAIO
– ricorrente –
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore generale pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura AVV_NOTAIO dello Stato
-controricorrente-
avverso la sentenza n. 2241/2022 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata in data 27.5.2022, non notificata;
RIMBORSO NOME– socio di societa di revisione e consulenzaautonoma organizzazione-
udita la relazione svolta alla pubblica udienza del giorno 9.10.2025 dal AVV_NOTAIO;
udito il AVV_NOTAIO.M. in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso, a modifica RAGIONE_SOCIALE conclusioni scritte depositate con le memorie in atti, per l’accoglimento del primo motivo, assorbito il secondo;
udito per l’RAGIONE_SOCIALE l’Avvocatura dello Stato, in persona dell’AVV_NOTAIO;
FATTI DI CAUSA
COGNOME NOME impugnava il diniego tacito sull’istanza presentata all’RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, volta ad ottenere il rimborso dell’Irap versata per il periodo d’imposta 2014, deducendo l’assenza di autonoma organizzazione.
2.La Commissione Tributaria Provinciale di RAGIONE_SOCIALE, nella resistenza dell’RAGIONE_SOCIALE, respingeva il ricorso, ritenendo sussistente il presupposto impositivo, in quanto ‘ A prescindere dalla forma giuridica della RAGIONE_SOCIALE, quest’ultima può essere considerata una ‘associazione tra professionisti’ e questi ultimi ‘con un impegno di capitali sottoscrivono le azioni, e diventano i soci -‘partner’, basterebbe solo questo per ritenere infondata la domanda del contribuente. Dall’esame del documento di trasparenza pubblicato sul sito internet della società, il Collegio desumeva che ‘l’attività del ricorrente non è svolta con il solo apporto personale, risulta che ”l’organizzazione RAGIONE_SOCIALE‘ (…) mette a disposizione ‘tutto’ (marchio, clientela, supporto logistico, assistenza, tecnologica, personale dipendente, specialisti ecc.) ‘elementi e fatti’ che ne incrementano e valorizzano il
reddito prodotto’ concludendo pertanto che ‘il ricorrente è il responsabile dell’organizzazione di un gruppo di lavoro e si avvale in modo non occasionale di lavoro altrui’. La sentenza di primo grado dava altresì rilievo al momento acquisitivo della clientela da parte della società e affermava inoltre di ‘condividere le osservazioni dell’Ufficio in relazione al c.d. salto di imposta’, per cui in caso di accoglimento del rimborso ‘il reddito percepito dal ricorrente (ai fini NOME) in nessun momento sarebbe sottoposto all’imposta, neanche presso la RAGIONE_SOCIALE‘. Infine, i giudici di prime cure rilevavano l’inadempimento dell’onere probatorio in capo al ricorrente, il quale avrebbe ‘solo dedotto di svolgere la propria attività professionale in assenza di una autonoma organizzazione, senza dare alcuna prova certa’.
3.La Commissione tributaria regionale della Lombardia respingeva l’appello del contribuente, ritenendo che ‘ Nel caso di specie, dalla Relazione di Trasparenza della società emerge che il professionista (socio e partner) ha una particolare importanza nell’ambito della struttura organizzativa e, oltre a partecipare al capitale e in aggiunta alla attività professionale, i soci partner ‘svolgono anche funzioni gestionali interne’ e assumono ruoli di responsabilità di Area/Ufficio/Settore. Inoltre, oltre all’attività professionale di revisore dei conti, sono tenuti ad assicurare obbligatoriamente una serie di prestazioni accessorie quali verifiche, relazioni, pareri, servizi di assurance e due diligence, consulenza in materia di organizzazione contabile e controllo aziendale e soprattutto amministrazione e gestione RAGIONE_SOCIALE funzioni interne della società, incluse quelle di governance, sviluppo della clientela e cura dei rapporti con entità
straniere appartenenti al network internazionale di riferimento. Si tratta quindi, quando si fa riferimento al socio partner, non di un consulente esterno, ma di un professionista che ha funzioni dirigenziali e un ruolo di natura gestionale per lo svolgimento del quale si avvale, in modo stabile e non occasionale, di risorse strumentali e umane che eccedono il minimo indispensabile necessario per la sola attività individuale di revisore dei conti. Peraltro, avvalendosi di un team che coordina e di cui assume la responsabilità, il socio -partner è di fatto titolare di una organizzazione che, a prescindere dalla funzione di alta direzione e controllo generale della società, gestisce in modo autonomo accentrando in capo a sé il merito RAGIONE_SOCIALE decisioni gestionali. È pertanto evidente, come ben evidenziato dalla motivazione della sentenza di primo grado, che ha valorizzato tutti gli elementi fattuali decisivi, che si è in presenza di una struttura organizzativa riferibile al socio partner che se ne avvale in modo stabile, assumendosi la responsabilità di autonome scelte gestionali; struttura che è tale da coadiuvare il professionista, determinando un incremento oggettivo (valore aggiunto) della sua produttività. In questo stesso senso, sebbene con riferimento al professionista inserito in una associazione professionale, si è espressa anche la Suprema Corte (ordinanza 24549 del 02.10.2019)
4.Avverso la precitata sentenza COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
L’RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
7.La Procura AVV_NOTAIO ha depositato requisitoria scritta.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, rubricato « Violazione dell’art. 2, d.lgs. n. 446/1997, per avere la CTR stabilito la soggezione ad Irap, violando i canoni stabiliti da codesta Ecc.ma Corte per l’accertamento della ‘autonoma organizzazione’ (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.)», il ricorrente deduce che dall’intero sviluppo motivazionale della sentenza appare chiaro che la CTR della Lombardia ha attribuito rilievo non già alle dotazioni di personale e capitale facenti capo al ricorrente (sostanzialmente nulle), bensì al personale ed alle strutture organizzative riferibili a RAGIONE_SOCIALE , ossia il committente dei servizi del dott. COGNOME e dal quale quest’ultimo ritraeva tutti i propri compensi. La C.RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE. pertanto incorreva nella violazione della norma citata poiché questa Corte – oltre che nelle citate pronunce riferibili proprio ai ‘soci di società di revisione’ – ha sempre, reiteratamente, affermato che ‘in tema d’NOME, l’esercizio di un’attività professionale (…) nell’ambito dell’organizzazione costituita da una società di cui il professionista è socio (o dipendente) non realizza il presupposto impositivo costituito dall’autonoma organizzazione’ (così, da ultima, Cass. Sez. V, Ord. 1.4.2021, n. 9071, in un caso in cui il socio era anche amministratore). Ciò in quanto – sul piano esegetico l’organizzazione rileva se e solo in quanto il lavoratore autonomo ne sia il ‘responsabile’ e ne tragga direttamente un vantaggio in termini di incremento del proprio valore della produzione, poiché la ratio del tributo è quella di colpire i proventi che derivano dalla somma del valore creato dall’organizzazione e quello prodotto dal lavoro personale del professionista, laddove l’organizzazione sia ex se in grado di creare un valore
aggiunto autonomo . L’organizzazione, quindi, rileva quando è diretta ad incrementare i proventi del professionista perché è una ‘sua’ organizzazione: nulla a che vedere, quindi, con l’organizzazione di una società di capitali in cui il lavoro del professionista si inserisce, contribuendo a creare proventi della stessa, come nel caso di specie, ove i proventi del ricorrente provenivano solamente da RAGIONE_SOCIALE e solo da quest’ultima e non invece da altri, diversi, clienti. La Commissione regionale, quindi, anche laddove aveva (impropriamente) affermato che il ricorrente avrebbe usufruito dell’apparato organizzativo di RAGIONE_SOCIALE, aveva erroneamente considerato irrilevante il fatto che esso non era utilizzato dal dott. COGNOME ai propri fini, ma solo al fine di produrre i servizi erogati da RAGIONE_SOCIALE a favore dei clienti di quest’ultima e per generare il valore della produzione della società stessa (pacificamente soggetto ad NOME). Né, infine, può rilevare il ruolo di ‘socio’ (più o meno influente)4 della Società perché -ancora una volta -quale che fosse il ruolo, l’influenza o il potere del ricorrente, i suoi servizi erano prestati a favore della Società e finalizzati ad incrementare i proventi di quest’ultima nei rapporti con i suoi clienti. Proprio come un qualsiasi dirigente d’azienda, infatti, il dott. COGNOME non utilizzava una propria organizzazione, ma -al contrario -operava nell’ambito di una organizzazione altrui -di una grande società di capitali come RAGIONE_SOCIALE -e, come si è detto, poco importa che egli fosse uno (tra centinaia) dei soci di tale società: l’apparato organizzativo era (pacificamente) riferito alla società , volto a produrre redditi della società , al fine di prestare servizi ai clienti della società .
Con il secondo motivo, rubricato « Violazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 36 d.lgs. n. 546/1992 per avere la sentenza disconosciuto -ancorché implicitamente e senza alcuna argomentazione -una circostanza fondamentale e pacifica in causa (art. 360, c. 1, n. 4, c.p.c.» , il ricorrente assume esser pacifico in causa che non possedesse alcun reddito di lavoro autonomo ulteriore rispetto a quanto addebitato a RAGIONE_SOCIALE L’attività di revisione era svolta solamente in esecuzione del proprio contratto con RAGIONE_SOCIALE -che era il suo unico committente -utilizzandone anche l’organizzazione, nei confronti dei clienti di tale società ed a fronte di un corrispettivo annuo erogato da tale società. Precisa che questo secondo motivo di ricorso è alternativo al primo e si rende necessario poiché alcune espressioni contenute nella sentenza lascerebbero il dubbio che la Commissione abbia completamente obliterato la fondamentale circostanza di fatto sopra descritta, assumendo che il dott. COGNOME sfruttasse l’organizzazione di RAGIONE_SOCIALE per la propria attività, come se questa andasse oltre l’attività di revisione svolta per conto di tale società e che per tale attività avrebbe utilizzato la struttura della stessa RAGIONE_SOCIALE, struttura eccedente ‘ il minimo indispensabile necessario per la sola attività individuale di revisore dei conti ‘, lasciando così intendere che il dott. COGNOME avesse una propria autonoma attività e clientela da cui riceveva compensi e la cui produttività era incrementata dall’utilizzo della struttura di RAGIONE_SOCIALE che egli avrebbe gestito ‘ in modo autonomo accentrando in capo a sé il merito RAGIONE_SOCIALE decisioni gestionali ‘. Riferendosi alle parti in cui la sentenza assume come ‘dimostrati’ il fatto che la struttura (di RAGIONE_SOCIALE) avrebbe determinato ‘un
incremento oggettivo (valore aggiunto) della sua produttività’, secondo il ricorrente q ueste espressioni possono esser lette in due modi: (1) come ipotizzato nel primo mezzo di ricorso, assumendo che il concetto di ‘propria attività e produttività’ sia stato utilizzato a sproposito, riferendosi al fatto che nella propria posizione di socio/partner in RAGIONE_SOCIALE il ricorrente avesse a che fare con la struttura organizzativa della società, ma non per questo affermando che grazie a tale struttura egli ricevesse un incremento della produttività e dei compensi ricevuti nell’ambito della sua attività (assumendo che questa non coincidesse con l’attività svolta per RAGIONE_SOCIALE); (2) oppure, superando un dato di fatto affermato e mai contestato ( anzi, confermato) da controparte, ammettendo che la sentenza si sia mossa valutando un assetto fattuale estraneo a quello di causa ed assumendo quindi che vi fosse una attività ‘propria’ del dott. COGNOME, rivolta ad una sua propria clientela, per svolgere la quale il ricorrente avrebbe si sarebbe avvalso dell’organizzazione di RAGIONE_SOCIALE In questo secondo caso, la sentenza sarebbe incorsa innanzitutto nella violazione dell’art. 115, c. 1, c.p.c. per aver omesso di porre a base della decisione i fatti sopra citati e non contestati dati dalla innegabile assenza di una qualsivoglia attività ‘propria’ del dott. COGNOME.
Inoltre, in questa lettura della sentenza si ricadrebbe anche in un vizio motivazionale, sia perché sarebbe del tutto oscura la ragione di tali assunzioni di fatto, sia perché proprio l’ambiguo utilizzo del concetto di ‘propria produttività’ renderebbe non intellegibile la ratio decidendi .
I motivi, da esaminare congiuntamente, sono fondati.
3.1. Secondo l’orientamento consolidato di questa Corte (da ultimo, Cass. 27056/2025) , l’art. 2 del d.lgs. n. 446/1997 stabilisce che il presupposto dell’NOME, già definita dall’art. 1 come imposta a carattere reale, è «l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi». La Corte costituzionale, con la sentenza n. 156 del 2001, ha ribadito che l’NOME non è un’imposta sul reddito, bensì un’imposta di carattere reale che colpisce il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate, e ha rilevato che mentre l’elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa di impresa, altrettanto non può dirsi per quanto riguarda l’attività di lavoro autonomo, ancorché svolta con carattere di abitualità, nel senso che è possibile ipotizzare un’attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui, con la conseguente inapplicabilità dell’imposta, per difetto del suo necessario presupposto, l’autonoma organizzazione, il cui accertamento, in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce questione di mero fatto, rimessa pertanto al giudice di merito.
3.2. Questa Corte, nel suo supremo consesso (Cass. Sez. U. n. 10/05/2016, n. 9451, in continuità con Cass. Sez. U. 26/05/2009, n. 12108, ma specificando ulteriormente i requisiti dell’impiego di lavoro altrui), ha chiarito i parametri alla cui stregua la questione di fatto deve essere valutata: «con riguardo al presupposto dell’NOME, il requisito dell’autonoma organizzazione -previsto dall’art. 2 del d.lgs. 15/09/1997, n. 446 -, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di
legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit , il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive». Si deve precisare che l’accertamento deve essere compiuto con riferimento ai singoli anni d’imposta controversi, in ordine ai quali è stato chiesto il rimborso dell’NOME, atteso che il possesso di tale autonoma organizzazione può variare nel tempo essendo libero il professionista di svolgere la propria opera attraverso l’ausilio di essa oppure svolgerla personalmente e senza l’aiuto di una particolare organizzazione. Ove si verta in tema di rimborso l’onere della prova di tali elementi fattuali grava unicamente sul contribuente.
Orbene, affinché un lavoratore autonomo sia assoggettato ad NOME, è necessario non solo che egli sia inserito in una autonoma organizzazione, ma che egli sia anche titolare di questa organizzazione, e ne sia dunque responsabile (Cass. 16 giugno 2022, n. 19397).
3.3. Nella fattispecie in esame è incontroverso che il contribuente, pur essendo un lavoratore autonomo, non occupasse alcun collaboratore alle proprie dipendenze e, quanto ai beni strumentali, non disponesse di una propria organizzazione, ma fosse invece inserito stabilmente in una organizzazione facente capo ad un distinto soggetto
giuridico, e cioè la società di consulenza RAGIONE_SOCIALE, che ne è l’unica responsabile organizzativa.
A nulla rileva, pertanto, che il contribuente si avvalesse di tale organizzazione, in quanto ciò che rileva, ai fini dell’assoggettabilità all’NOME, è che il contribuente sia il titolare ed il responsabile di tale organizzazione. Peraltro, non essendo il ricorrente a sostenere i costi per i collaboratori e dipendenti, non si vede come egli avrebbe potuto assumere decisioni sulla scelta e sulla gestione di tale personale, al di là RAGIONE_SOCIALE singole e specifiche direttive impartite nell’àmbito del singolo incarico di revisione di volta in volta svolto (sul punto, Cass 15 marzo 2018, n. 6439; Cass. 2 settembre 2016, n. 17566).
3.4. Questa Corte, con specifico riguardo alla fattispecie nella quale l’attività dell’eventuale soggetto passivo dell’imposizione viene espletata a favore di un soggetto terzo già dotato di una propria struttura organizzativa e deve coordinarsi con quest’ultima, ha elaborato il principio generale in forza del quale non è sufficiente che il lavoratore si avvalga di una struttura organizzata, ma è anche necessario che questa struttura sia ‘autonoma’, cioè faccia capo al lavoratore stesso, non solo ai fini operativi, bensì anche sotto i profili organizzativi; non sono, pertanto, soggetti ad NOME i proventi che un lavoratore autonomo percepisca come compenso per le attività svolte all’interno di una struttura da altri organizzata (v., ad es., Cass. 13 giugno 2012, n. 9692, con riferimento al medico che lavori presso una clinica privata diretta e organizzata da altri).
Tale principio ha trovato plurime attuazioni in tema di professionisti che svolgano, in tutto o in parte, la propria attività per società di revisione e di consulenza, in casi del
tutto analoghi al presente, ove il professionista svolge un’attività di consulenza per una società, di cui è socio, peraltro in misura molto ridotta (Cass. 28 aprile 2023, n. 11238; Cass. 16 giugno 2022, n. 19397; Cass. 28 aprile 2021, n. 11140, ove il professionista svolge un’attività di consulenza per una società, di cui è socio (Cass. 02/07/2010, n. 15746; Cass. 02/09/2016, n. 17566; Cass. 28/04/2021, n. 11140; Cass. 16/06/2022, n. 19397; di recente Cass. 28/04/2023, n. 11238; Cass. 05/05/2023, n. 11924; Cass. 27/06/2023, n. 18260; Cass. 25/07/2023, n. 22266; Cass. 17/01/2024, n. 1857; Cass. 30/12/2024, n. 35082; in tali arresti si è affermato il principio per cui l’esercizio di un’attività professionale nell’ambito dell’organizzazione costituita da una società di cui il professionista è socio (o dipendente) non realizza il presupposto impositivo costituito dall’autonoma organizzazione.
3.5. Irrilevante è, poi, la circostanza che il contribuente detenesse all’epoca una quota di partecipazione nel capitale sociale della società di revisione: infatti, in ogni caso la titolarità e la responsabilità di tale autonoma organizzazione faceva comunque capo ad un soggetto (la RAGIONE_SOCIALE) diverso dal contribuente (nello stesso senso, per fattispecie analoghe, v. Cass 15 marzo 2018, n. 6439; Cass. 2 settembre 2016, n. 17566).
4.La sentenza della CGT -2 non si è attenuta ai suddetti principi, avendo i giudici di appello irragionevolmente tratto un argomento a favore della sussistenza di un’autonoma organizzazione dalla circostanza che il contribuente svolgesse la propria attività professionale, avvalendosi della struttura organizzativa di quest’ultima, che contribuiva a dirigere. Il requisito dell’autonoma
organizzazione presuppone infatti un potere di iniziativa sulle modalità di organizzazione e un potere di scelta dei mezzi e del personale che, nella specie, è pacificamente riservato alla società e sul quale il contribuente non ha potere di incidere.
Di conseguenza, il ricorso va accolto, cassata la sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa viene decisa, ex art.384, comma 2, c.p.c. con l’accoglimento dell’originario ricorso del contribuente.
6.Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso di COGNOME NOME;
condanna l’RAGIONE_SOCIALE al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali, che liquida in euro 1.000,00 per il primo grado, euro 1.400,00 per il grado di appello, euro 2.500,00 per la fase di legittimità, oltre rimborso forfetario nella misura del 15%, Iva e Cpa come per legge.
Così deciso in Roma, il 9.10.2025.
Il consigliere estensore
Il Presidente
(NOME COGNOME) ( NOME COGNOME)