Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6213 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6213 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 09/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 15670/2022, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è domiciliata a ROMA, in INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso in proprio, con domicilio eletto all’indirizzo di posta elettronica certificata EMAIL
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 2494/03/2022 della Commissione tributaria regionale della Campania, depositata l’11 marzo 2022 e notificata l’11 aprile 2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19 febbraio 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
Con la sentenza indicata in epigrafe, la C.T.R. della Campania ha respinto l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate nella controversia con l’ avv. NOME COGNOME confermando la decisione di primo grado con la quale la C.T.P. di Napoli aveva accolto il ricorso del contribuente avverso il diniego erariale di rimborso Irap per l’anno 2014.
A sostegno dell’istanza di rimborso, il contribuente aveva evidenziato che l ‘ Agenzia delle entrate non aveva fornito adeguata prova dello svolgimento organizzato, da parte sua, di attività professionale, assumendo di aver corrisposto solo modesti compensi o rimborsi ad alcuni colleghi avvocati, domiciliatari in procedure fuori Foro, oltre al compenso versato al proprio commercialista per la sua assistenza in materia contabile e fiscale.
Nel respingere il gravame erariale, i giudici regionali hanno osservato che l’Agenzia non aveva corroborato con alcun dato l’affermata ampiezza delle collaborazioni, «mostrandosi l’atto di appello largamente deficitario in punto di critica (se non generica) alla decisione dei primi giudici» e hanno comunque rilevato che, secondo la giurisprudenza di legittimità, «non sono indicativi del presupposto dell’autonoma organizzazione i compensi corrisposti da un avvocato per le domiciliazioni presso i colleghi, trattandosi di prestazioni strettamente connesse all’esercizio della professione forense che esulano dall’assetto organizzativo dell’attività di avvocato».
La sentenza d’appello è impugnata dall’Amministrazione con ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo.
Il contribuente ha depositato controricorso e memoria integrativa.
Considerato che:
L’unico motivo di ricorso deduce violazione degli artt. 2, comma 1, e 3, comma 1, lett. c ), del d.lgs. n. 446/1997, in combinato disposto con l’art. 2697, commi primo e secondo, cod. civ.
I giudici d’appello non si sarebbero attenuti ai principii affermati dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità in ordine al presupposto impositivo qui in rilievo, violando altresì la regola di riparto dell’onere probatorio, che in materia di rim borso grava interamente sul contribuente.
Il motivo non è fondato.
2.1. Questa Corte, a partire dalla nota pronunzia n. 12108/2009, resa a Sezioni Unite, ha più volte affermato che il requisito dell’autonoma organizzazione -quale presupposto impositivo dell’Irap previsto dal l’art. 2 del d .lgs. n. 446/1997, il cui accertamento spetta al giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità -sussiste quando il contribuente (a) sia sotto qualsiasi forma il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse, e (b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’ id quod plerumque accidit , il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga, in modo non occasionale, di lavoro altrui superando la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive.
Mutuando tale principio all’ambito applicativo delle professioni liberali, si è poi affermato che l’Irap coinvolge una capacità produttiva «impersonale ed aggiuntiva» rispetto a quella propria del
professionista (determinata dalla sua cultura e preparazione professionale) e colpisce un reddito che contiene una parte aggiuntiva di profitto, derivante da una struttura organizzativa “esterna”, cioè da «un complesso di fattori che, per numero, importanza e valore economico, siano suscettibili di creare un valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale supportata dagli strumenti indispensabili e di corredo al know-how del professionista (dal lavoro dei collaboratori e dipendenti, dal numero e grado di sofisticazione dei supporti tecnici e logistici, dalle prestazioni di terzi, da forme di finanziamento diretto ed indiretto ecc.)», dimodoché sia «il surplus di attività agevolata dalla struttura organizzativa che coadiuva ed integra il professionista (…) ad essere interessato dall’imposizione che colpisce l’incremento potenziale, o quid pluris , realizzabile rispetto alla produttività auto organizzata del solo lavoro personale» (così Cass. n. 29206/2020; Cass. n. 2219/2020; Cass. n. 22969/2018).
2.2. Nel caso in esame, la C.T.R. ha evidenziato, con accertamento non sindacabile in questa sede, che il quadro fattuale designava la sola sussistenza di compensi, neppure elevati, riconosciuti dal contribuente ai propri domiciliatari e al commercialista che lo assisteva in ambito contabile e fiscale; rispetto a tale quadro, hanno specificato i giudici regionali, l’appello erariale non aveva aggiunto elementi che corroborassero la sussistenza del presupposto impositivo.
La sentenza impugnata, pertanto, si è conformata ai richiamati principii di diritto; né la stessa ha violato le regole sul riparto dell’onere della prova, essendosi, piuttosto, appuntata sull’idoneità dei motivi di gravame a scalfire il quadro delle risultanze emerse dal giudizio di primo grado.
Consegue a tali rilievi il rigetto del ricorso. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
Poiché la parte soccombente è una pubblica amministrazione patrocinata dall’Avvocatura generale dello Stato, non si dà luogo alla condanna al pagamento del cd. doppio contributo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in € 3.000,00, oltre € 200,00 per esborsi, al 15% a titolo di rimborso forfetario e agli oneri accessori Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2025.