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Autonoma organizzazione IRAP: non basta il costo

Un revisore contabile ha chiesto il rimborso dell’IRAP, sostenendo di non avere un’autonoma organizzazione poiché operava come collaboratore di una grande società di consulenza. La Commissione Tributaria Regionale aveva respinto la sua richiesta basandosi sull’elevato ammontare dei costi dichiarati. La Corte di Cassazione ha annullato tale decisione, stabilendo che l’inserimento in una struttura organizzativa altrui esclude il presupposto impositivo dell’IRAP. I soli costi, senza un’analisi della loro natura e del controllo effettivo sulla struttura, non sono sufficienti a dimostrare l’esistenza di un’autonoma organizzazione.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Esenzione IRAP: la Cassazione ribadisce i confini dell’autonoma organizzazione

L’obbligo di versare l’IRAP per professionisti e lavoratori autonomi continua a essere un tema centrale nel contenzioso tributario. Il presupposto fondamentale per l’applicazione dell’imposta è la presenza di un’autonoma organizzazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (Num. 35082/2024) torna a fare chiarezza su questo concetto, specificando che l’elevato ammontare dei costi sostenuti dal professionista non è, di per sé, sufficiente a dimostrarne l’esistenza, specialmente quando l’attività è svolta all’interno di una struttura aziendale altrui.

I Fatti del Caso: Il Revisore Contabile e la Società di Consulenza

Un revisore contabile, che svolgeva la sua attività professionale come collaboratore e socio di una nota società di consulenza, presentava un’istanza di rimborso per l’IRAP versata negli anni dal 2010 al 2013. Il professionista sosteneva di essere privo di una propria e autonoma struttura organizzativa, elemento essenziale per la soggezione al tributo. L’Amministrazione finanziaria non rispondeva all’istanza, facendo scattare il meccanismo del silenzio-rifiuto, contro cui il contribuente proponeva ricorso.

In primo grado, la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva le ragioni del professionista. Tuttavia, la Commissione Tributaria Regionale, in appello, ribaltava la decisione. I giudici di secondo grado ritenevano che l’ammontare dei costi dichiarati dal contribuente fosse superiore a quello compatibile con un’attività meramente personale, concludendo per la sussistenza di un’autonoma organizzazione.

La Decisione della Corte: l’assenza di autonoma organizzazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del professionista, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa a un’altra sezione della Corte di giustizia tributaria di secondo grado. I giudici di legittimità hanno riaffermato un principio consolidato: per essere soggetti a IRAP, non è sufficiente che il professionista si avvalga di una struttura organizzata, ma è necessario che tale struttura sia ‘autonoma’, cioè che faccia capo a lui e sia sotto la sua responsabilità.

L’errore dei giudici d’appello è stato quello di basare la propria decisione esclusivamente sull’entità dei costi, senza analizzarne la natura e senza considerare il contesto in cui l’attività veniva svolta. L’inserimento del professionista in una complessa struttura aziendale di terzi, come una grande società di consulenza, è un elemento che, di norma, esclude il requisito dell’autonoma organizzazione.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha spiegato che il ‘responsabile’ dell’organizzazione ai fini IRAP è colui che guida una struttura idonea a generare un valore aggiunto rispetto a quello prodotto dal solo lavoro personale. Quando un professionista opera all’interno di un’organizzazione predisposta e diretta da altri (in questo caso, la società di consulenza), non può essere considerato il ‘responsabile’ di tale struttura. L’organizzazione non è sua, ma della società per cui lavora. Di conseguenza, il presupposto impositivo dell’IRAP non si realizza in capo alla persona fisica, ma eventualmente in capo alla società stessa.

La sentenza impugnata è stata quindi ritenuta errata perché ha tratto in modo irragionevole un argomento a favore dell’assoggettamento a IRAP dalla mera circostanza che i costi dichiarati fossero elevati, omettendo di specificarne la natura e la quantità. Questo approccio viola i principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità, che richiede un’analisi fattuale per accertare se il professionista impieghi beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile o si avvalga di lavoro altrui in modo non occasionale, sotto la propria diretta responsabilità.

Le Conclusioni

Questa ordinanza rafforza la tutela per i professionisti che, pur avendo redditi e costi significativi, svolgono la loro attività in stretta collaborazione o dipendenza funzionale con strutture complesse di terzi. La Corte di Cassazione chiarisce che il dato quantitativo dei costi non può mai essere l’unico elemento su cui fondare un accertamento IRAP. È sempre necessaria una valutazione qualitativa per stabilire se il professionista sia il vero ‘dominus’ di un’organizzazione che potenzia la sua attività, o se sia semplicemente un ingranaggio, per quanto qualificato, di una macchina organizzativa altrui. Per i professionisti, ciò significa che l’onere della prova in una richiesta di rimborso si concentra sul dimostrare di non essere il responsabile dell’organizzazione utilizzata.

Un professionista che collabora con una società di consulenza deve pagare l’IRAP?
No, secondo la Corte di Cassazione, l’esercizio di un’attività professionale nell’ambito dell’organizzazione costituita da una società di cui il professionista è socio o collaboratore non realizza il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione, in quanto la responsabilità della struttura non è in capo al singolo professionista.

Avere costi elevati significa automaticamente possedere un’autonoma organizzazione?
No. La Corte ha stabilito che i giudici di merito hanno errato nel desumere l’esistenza di un’autonoma organizzazione dalla sola circostanza che il contribuente avesse dichiarato costi superiori a quelli normalmente sostenuti da un professionista, senza specificarne la natura e la quantità e senza verificare se fossero riconducibili a una struttura di cui il professionista era responsabile.

Chi deve provare l’assenza di autonoma organizzazione in una richiesta di rimborso IRAP?
Quando si chiede un rimborso, l’onere di provare l’assenza dei presupposti impositivi, inclusa la mancanza di un’autonoma organizzazione, grava sul contribuente. Egli deve dimostrare che la sua attività è svolta senza un’organizzazione di capitali e lavoro altrui che vada oltre il minimo indispensabile, o che opera all’interno di una struttura organizzata da terzi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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