Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 586 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 586 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 08/01/2024
IRAPAUTONOMA ORGANIZZAZIONESOCIO DI SOCIETÀ DI CONSULENZA
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 28142/2022 R.G. proposto da:
contro
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso, in forza di procura alla lite rilasciata su foglio separato allegato al ricorso, dall’ avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME ;
– ricorrente –
;
RAGIONE_SOCIALE DELLE RAGIONE_SOCIALE in persona del Presidente pro tempore
– intimata – per la cassazione della sentenza n. 1910/2022 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata il 10/05/2022, non notificata;
udita la relazione della causa nella pubblica udienza del 27/10/2023 tenuta dal consigliere dott. NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, nella persona del sostituto Procuratore generale, dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso; uditi gli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno concluso per l’accoglimento del ricorso.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, esercente la professione di consulente aziendale, presentava istanza di rimborso IRAP per gli anni di imposta dal 2014 al 2017, sul presupposto di non possedere un’autonoma struttura organizzativa suscettibile di creare valore aggiunto, svolgendo unicamente attività di consulenza per la società RAGIONE_SOCIALE (facente parte del network multinazionale RAGIONE_SOCIALE, di cui era socio, tra circa cento.
La Commissione tributaria provinciale di Milano rigettava il ricorso proposto contro il silenzio rifiuto opposto dall’amministrazione .
La Commissione tributaria regionale della Lombardia rigettava l’appello del contribuente.
In particolare, la C.T.R. riteneva che il ricorrente, sul quale gravava l’onere probatorio, trattandosi di giudizio di rimborso, non vi avesse assolto essendo anzi emerso in via indiziaria che egli disponesse della struttura organizzativa della società, struttura che ne aveva incrementato e valoriz zato l’attività ; in primo luogo, infatti, la circostanza che il professionista fosse socio della società, della cui struttura si avvaleva per l’espletamento dell’attività , impediva di riferire tale struttura ad altrui responsabilità o interesse ed anzi gli attribuiva una posizione di preminenza e di concreta disponibilità della struttura; in secondo luogo, la struttura organizzata della società aveva favorito e incrementato l’attività del professionista, fornendo gli non
solo clientela ma anche supporti materiali e gestionali, il che spiegava l’assenza di collaboratori e beni strumentali.
Contro tale decisione propone ricorso per cassazione il contribuente, sulla base di tre motivi, illustrati da successiva memoria.
L ‘Agenzia delle Entrate è rimasta intimata.
Il giudizio è stato fissato per l’udienza pubblica del 2 7/10/2023, unitamente ad altri giudizi aventi ad oggetto la medesima questione, per la quale il PM ha fatto pervenire conclusioni scritte, per l’accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo d’impugnazione, proposto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3) cod. proc. civ., la parte contribuente denuncia la violazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 446/1997, per averne la CTR stabilito la soggezione ad IRAP, violando i canoni fissati per l’accertamento della autonoma organizzazione ; premesso in fatto di svolgere, anche per statuto, la sua attività esclusivamente in favore della società e di non percepire ulteriori compensi, il ricorrente evidenzia che, in tema d’IRAP, l’esercizio di un’attività professionale nell’ambito dell’organizzazione costituita da una società di cui il professionista è socio (o dipendente) non realizza il presupposto impositivo costituito dall’autonoma organizzazione; ciò in quanto l’organizzazione ri leva solo se ed in quanto il lavoratore autonomo ne sia il responsabile e ne tragga direttamente un vantaggio in termini di incremento del proprio valore della produzione, poiché la ratio del tributo è quella di colpire i proventi che derivano dalla somma del valore creato dall’organizzazione e quello prodotto dal lavoro personale del professionista, laddove l’organizzazione sia ex se in grado di creare un valore aggiunto autonomo. La C.T.R. avrebbe quindi erroneamente omesso di tener conto del fatto che l’organizzazione societaria non era utilizzata dal contribuente ai propri fini, ma solo al fine di produrre i
servizi erogati da RAGIONE_SOCIALE a favore dei clienti di quest’ultima e per generare il valore della produzione della società stessa (pacificamente soggetta ad IRAP).
Con il secondo motivo, proposto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4) cod. proc. civ., il ricorrente deduce violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. e dell’art. 36 d.lgs. n. 546/1992 per avere la sentenza disconosciuto -ancorché implicitamente e senza alcuna argomentazione – una circostanza pacifica in causa, costituita dal fatto che egli percepisse la quasi totalità dei suoi compensi dalla società. Espressamente evidenzia che il motivo è alternativo al primo e si rende necessario poiché alcune espressioni contenute nella sentenza lascerebbero il dubbio che la Commissione abbia completamente obliterato la fondamentale circostanza di fatto sopra descritta.
Con il terzo motivo, proposto in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4) cod. proc. civ., il ricorrente deduce la violazione dell’art. 36 d.lgs. n. 546/1992 per avere la sentenza affermato (in modo perplesso) il mancato soddisfacimento dell’onere probatorio, laddove ha ritenuto che come si è anticipato, omettendo di descrivere le concrete modalità di espletamento della sua attività (che, ovviamente, non emergono dai non contestati documenti richiamati), il professionista non ha fornito la dovuta prova contraria in ordine ai presupposti di applicazione dell’IRAP , pur a fronte del deposito di documentazione idonea al riguardo a dimostrare l’assenza di autonoma organizzazione
Il primo motivo è fondato.
2.1. L’art. 2 del d.lgs. n. 446/1997 stabilisce che il presupposto dell’IRAP, già definita dall’art. 1 come imposta a carattere reale, è «l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi.». La Corte costituzionale, con la sentenza n. 156 del 2001, ha
ribadito che l’IRAP non è un’imposta sul reddito, bensì un’imposta di carattere reale che colpisce il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate, e ha rilevato che mentre l’elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa di impresa, altrettanto non può dirsi per quanto riguarda l’attività di lavoro autonomo, ancorché svolta con carattere di abitualità, nel senso che è possibile ipotizzare un’attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui, con la conseguente inapplicabilità dell’imposta, per difetto del suo necessario presupposto, l’autonoma organizzazione, il cui accertamento, in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce questione di mero fatto, rimessa pertanto al giudice di merito.
Cass., Sez. U., n. 9451/2016 (in continuità con Cass., Sez. U., n. 12108/2009, ma specificando ulteriormente i requisiti dell’impiego del lavoro altrui) ha chiarito i parametri alla cui stregua la questione di fatto deve essere valutata: «con riguardo al presupposto dell’IRAP, il requisito dell’autonoma organizzazione – previsto dall’art. 2 del d.lgs. 15/09/1997, n. 446 -, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’ id quod plerumque accídit , il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive».
Si deve appena precisare che l’accertamento deve essere compiuto con riferimento ai singoli anni d’imposta controversi, in ordine ai quali è stato chiesto il rimborso dell’IRAP, atteso che il possesso di tale
autonoma organizzazione può variare nel tempo essendo libero il professionista di svolgere la propria opera attraverso l’ausilio di essa oppure svolgerla personalmente e senza l’aiuto di una particolare organizzazione.
Ove si verta in tema di rimborso l’onere di dare la prova di tali elementi fattuali grava unicamente sul contribuente.
2.2. Questa Corte, poi, con specifico riguardo alla fattispecie nella quale l’attività dell’eventuale soggetto passivo dell’imposizione viene espletata a favore di un soggetto terzo già dotato di una propria struttura organizzativa e deve coordinarsi con quest’ultima, ha elaborato il principio generale in forza del quale non è sufficiente che il lavoratore si avvalga di una struttura organizzata, ma è anche necessario che questa struttura sia autonoma , cioè faccia capo al lavoratore stesso, non solo ai fini operativi, bensì anche sotto i profili organizzativi; non sono, pertanto, soggetti ad IRAP i proventi che un lavoratore autonomo percepisca come compenso per le attività svolte all’interno di una struttura da altri organizzata e di cui non sia responsabile (tra le tante Cass. n. 9692/2012, con riferimento al medico che lavori presso una clinica privata diretta e organizzata da altri; analogamente Cass. n. 9071/2021 per il medico radiologo socio di società avente quale oggetto esami diagnostici).
2.3. Tale principio ha trovato plurime attuazioni in tema di professionisti che svolgano, in tutto o in parte, la propria attività per società di revisione e di consulenza, in casi del tutto analoghi a quello oggetto del presente giudizio, ove il professio nista svolge un’attività di consulenza per una società, di cui è socio, peraltro in misura ridotta (Cass. n. 15746/2010; Cass. n. 17566/2016; Cass. n. 11140/2021; Cass. n. 19397/2022; di recente Cass. n. 11238/2023; Cass. n. 11284/2023; Cass. n. 11924/2023; Cass. n. 18260/2023; Cass. n. 22266/2023; di segno contrario unicamente Cass. n. 19766/2022
mentre Cass. n. 16552/2022 ha ritenuto inammissibili le doglianze in quanto rivolte contro un accertamento in fatto contenuto nella sentenza); in tali arresti è stato affermato il principio per cui l’esercizio di un’attività professionale nell’ambito dell’organizzazione costituita da una società di cui il professionista è socio (o dipendente) non realizza il presupposto impositivo costituito dall’autonoma organizzazione.
Tale principio di diritto merita di essere ulteriormente ribadito anche alla luce delle successive considerazioni.
Cass. n. 18260/2023 in particolare ha evidenziato che Peraltro, imputare direttamente al professionista l’organizzazione predisposta dalla società, di cui il primo si avvale nell’esercizio della sua attività a favore della seconda, ridurrebbe quest’ultima sistematicamente a mera interposta fittizia nell’eroga zione dei servizi professionali, contrariamente al ruolo riconosciuto alle società quali soggetti di diritto, dotati di autonoma capacità decisionale ed operativa, ai quali è imputato l’esercizio di una impresa o, comunque, di un’attività economica organizzata in forma collettiva , facendone conseguire che nelle fattispecie come quella che qui viene in rilievo non è il professionista, ma la società, come ente giuridico distinto dalla persona fisica che presta per essa la sua attività lavorativa, ad integrare il presupposto oggettiv o dell’autonoma organizzazione, rilevante ai fini IRAP, considerazione tanto più valida ove l’attività del professionista sia tutta svolta a favore della società.
In dottrina si è osservato che il termine responsabile indica una relazione di fatto con l’organizzazione che può essere precisata solo avendo riguardo alla ratio del tributo che è quella di colpire il valore che risulta dalla somma del valore che l’organizzazione aggiunge a quello prodotto dal lavoro personale del professionista. S’è quindi sostenuto che il responsabile dell’organizzazione, ai fini IRAP, è colui c he guida un’organizzazione che, sul piano economico, è idonea a
generare un valore aggiuntivo rispetto al valore generato dal proprio lavoro personale, concludendo che il responsabile dell’organizzazione è, invero, l’organizzatore dei fattori produttivi eccedenti quelli strettamente riferibili al lavoro personale, organizzatore perché dotato di potere di comando su beni e servizi economicamente valutabili.
Tali considerazioni valgono tanto più ove venga in rilievo l’attività professionale svolta dal socio svolta esclusivamente a vantaggio della società e quindi in definitiva sia servente all’attività di impresa di quest’ultima.
Le suddette argomentazioni inducono peraltro a ritenere irrilevante il ruolo formale del socio all’interno della società (avendo l’Agenzia evidenziato la previsione statutaria di svolgimento di ruoli di gestione a rotazione); Cass. n. 18260/2023 ha esplicitamente ritenuto irrilevante la circostanza che il contribuente rivestisse la carica di presidente della società, carica che di per sé non valeva a rendere chi la ricoprisse dominus della società fino al punto da fare di quest’ultima un mero schermo nell’esercizio dell’attività professionale.
La sentenza della C.T.R. non si è attenuta ai suddetti principi; pacifico in fatto che venisse in rilievo un’attività svolta dal professionista unicamente in favore della società e cioè che il presupposto impositivo non fosse stato imputato al contribuente in ragione dello svolgimento di attività professionale al di fuori di quella esercitata nell’ambito della società di consulenza e servendosi della struttura organizzativa di quest’ultima, hanno errato i giudici di appello laddove hanno irragionevolmente tratto un argomento a favore della sussistenza di un’autonoma organizzazione dalla circostanza che il contribuente era socio della società e si avvaleva della struttura di quest’ultima.
Di conseguenza, va accolto il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; la sentenza impugnata va cassata e, non sussistendo necessità di ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, accogliendo il ricorso di NOME COGNOME
Le spese di lite dei giudizi di merito possono essere compensate, a tteso il recente consolidarsi dell’orientamento di legittimità favorevole al contribuente; le spese del grado di legittimità sono poste a carico dell”Agenzia delle Entrate , nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso di NOME COGNOME compensa le spese dei giudizi di merito e condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento in favore del ricorrente delle spese di lite, che liquida in euro 7.000,00 per compensi, oltre 200,00 euro per esborsi, spese forfettarie nella misura del 15% dei compensi, oltre accessori.
Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2023.