Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 30287 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 30287 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/11/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 22970/2023 R.G. proposto da:
COGNOME NOME , rappresentato e difeso per procura speciale in atti dal AVV_NOTAIO, dall’AVV_NOTAIO, e dall’AVV_NOTAIO
– ricorrente –
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore generale pro tempore
-resistente- avverso la sentenza n. 1145/2023 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata in data 20.4.2023, non notificata;
udita la relazione svolta alla pubblica udienza del giorno 9.10.2025 dal AVV_NOTAIO;
RIMBORSO IRAP- revisore dei conti -socio di società di revisione e consulenza -autonoma organizzazione.
udito il P.M. in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo del ricorso, assorbito il secondo;
udito per l’RAGIONE_SOCIALE l’Avvocatura dello Stato, in persona dell’AVV_NOTAIO;
FATTI DI CAUSA
COGNOME NOME impugnava il silenzio diniego sull’istanza presentata all’RAGIONE_SOCIALE, volta ad ottenere il rimborso dell’Irap versata per le annualità dal 2014 al 2017.
2.La Commissione Tributaria Provinciale di RAGIONE_SOCIALE, nella resistenza dell’RAGIONE_SOCIALE, respingeva il ricorso affermando che ‘ il collegio allora non può che condividere l’affermazione dell’ufficio secondo cui l’attività del contribuente non può qualificarsi come un’attività svolta con il solo utilizzo della propria capacità professionale e dei beni strumentali strettamente necessari. Egli, nello svolgimento della propria attività, si avvale di una struttura – che contribuisce a dirigere e ad amministrare – comprendente l’intero complesso organizzativo sia di beni materiali che di risorse umane della RAGIONE_SOCIALE, notoriamente una tra le più note ed apprezzate società di consulenza e revisione a livello mondiale. In altri termini, la struttura societaria in cui è inserito il dottor COGNOME non può essere definita ‘esterna’ allo svolgimento della sua attività professionale. Ed è altresì condivisibile l’affermazione secondo cui il contribuente, se non si servisse di detta struttura, non raggiungerebbe di certo il livello reddituale dichiarato’ e che ‘ritiene quindi il collegio che si possa affermare che il dottor COGNOME,
revisore contabile al servizio pressoché totale della RAGIONE_SOCIALE, oltre alla sua attività professionale , svolga anche compiti dirigenziali e di coordinamento all’interno della società, il che impedisce di ritenere la RAGIONE_SOCIALE una struttura esterna alla sua attività che comporta il suo assoggettamento all’Irap ‘. Infine, secondo la Commissione Tributaria Provinciale di RAGIONE_SOCIALE , ‘alla stregua di queste risultanze, appare ovviamente irrilevante quanto affermato dal ricorrente circa la irrilevanza dei costi sostenuti nei periodi d’imposta in esame.
3.La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia (d’ora in poi C.T.R.), adita dal contribuente, respingeva il gravame, ritenendo che ‘ nel caso di specie, quest’onere di prova positiva non risulta adempiuto, essendo anzi emersa non solo l’esistenza di una struttura organizzata non estranea al professionista, ma anche plurimi indizi di una connessione di fatto tra lo svolgimento della professione individuale e la disponibilità di quella struttura organizzata che indubbiamente ne ha incrementato e valorizzato l’attività . Va infatti sul primo punto ribadito -pur nella consapevolezza dei contrastanti orientamenti giurisprudenziali evocati dalle parti – il convincimento già espresso anche da questa stessa Corte per cui la circostanza che il professionista sia anche socio o azionista della società della cui struttura organizzata si avvale per l’espletamento della sua attività impedisce di riferire ad “altrui” responsabilità ed interesse una tale struttura: quel che conta, ad avviso di questo Collegio, è la sostanza della concreta relazione di “responsabilità e interesse” tra il professionista e la struttura organizzativa di cui è pur formalmente titolare la società. E nel presente caso non viene in verità neppur negato che il professionista si
avvalga operativamente della struttura, organizzando in piena autonomia -è questo il criterio dirimente anche secondo Cass. ord. 11140/21 -il suo lavoro professionale in una posizione che non può non considerarsi di preminenza, in quanto azionista, rispetto alla struttura della quale ha avuto in concreto la disponibilità. E in ogni caso, come si è anticipato, omettendo di documentare, a smentita RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni, le concrete modalità di espletamento della sua attività (che, ovviamente, non emergono dai non contestati documenti richiamati), il professionista non ha fornito la dovuta prova contraria in ordine ai presupposti di applicazione dell’IRAP . Non contestata, poi, ed anzi rivendicata, quanto al secondo punto, la “coincidenza” di clientela tra la società e il professionista, è innegabile allora che la detta struttura organizzata, ben eccedente, come descritta in atti, il minimo necessario per l’esercizio della professione intellettuale, abbia favorito ed incrementato in misura rilevante l’attività dell’appellante, fornendogli non solo clientela, ma anche supporti materiali e gestionali: ciò che del resto spiega l’assenza di collaboratori e di beni strumentali significativi nelle dichiarazioni del contribuente. Tutto ciò detto, occorre però tenere doverosamente conto del più recente autorevole arresto della S. C. (ord. 8 -9 -22, n. 26491) -assorbendo in questa valutazione anche gli altri precedenti di legittimità evocati dall’appellante, in fatto meno pertinenti -secondo cui, in un caso come il presente, sarebbe invece decisivo considerare che comunque “la società ha un’autonoma soggettività giuridica, onde per cui la disponibilità da parte del contribuente della struttura organizzata della società non può essere confusa con l’esistenza di un
potere organizzativo su questa stessa struttura in capo al professionista . . . socio in misura quasi simbolica . . . (trattandosi) inoltre di società per azioni in cui è massima, tra le varie tipologie societarie, la separazione e la distinzione rispetto ai soci, avendo la società per azioni un’autonomia patrimoniale perfetta ed una struttura organizzativa rigidamente fondata su norme tendenzialmente inderogabili . . . che prescinde completamente dalla rilevanza della personalità del singolo socio”. E tuttavia, anche valutato questo insegnamento, va qui ribadito il convincimento già sopra accennato circa la prevalenza del dato sostanziale, rispetto a quello formale, della relazione tra il professionista e la struttura. Ma comunque, anche a prescindere da quanto appena riaffermato – e dunque anche ammettendo che l’Irap non sia dovuta dal professionista socio o azionista che lavora in una struttura organizzata fornendo unicamente un apporto di natura intellettuale senza avvalersi di una propria personale struttura -risulta decisiva la circostanza che, nel caso in esame, l’appellante non è un semplice socio, ma partecipa alla responsabilità dell’organizzazione in cui è inserito, cosicché non può dirsi che svolga la sua attività in una struttura “esterna”. Risulta, infatti, il riscontro documentale non negato dall’appellante per cui -ex art. 10 dello Statuto della società -tra le prestazioni, ancorché accessorie, dovute dal socio è prevista anche “l’amministrazione e gestione RAGIONE_SOCIALE funzioni interne della società”. Ciò che, in altri termini, decisivamente sorregge la presente decisione è -in fatto -l’accertamento dell’avvalersi nello svolgimento della sua attività professionale di una struttura “eccedente” che il
contribuente è titolato e tenuto anche a dirigere e amministrare, sulla quale ha dunque un innegabile, effettivo potere gestionale.
4.Avverso la precitata sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
L’RAGIONE_SOCIALE si è costituita al solo fine di partecipare alla discussione in pubblica udienza.
La Procura AVV_NOTAIO ha depositato requisitoria scritta.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, rubricato « Violazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 446/1997 per esser la sentenza fondata su principi in radicale contrasto con il consolidato indirizzo della RAGIONE_SOCIALE.C. in ordine alla sussistenza dei presupposti Irap in capo a lavoratori autonomi che, anche in qualità di soci o amministratori, esercitano attività (esclusivamente) all’interno ed a favore di società di consulenza/revisione (art. 360, c.1, n. 3 c.p.c.», il ricorrente, dopo aver richiamato i precedenti giurisprudenziali di legittimità su casi analoghi, assume esser chiaro l’errore di diritto compiuto dal giudice del gravame, atteso che la Suprema Corte – oltre che nelle citate pronunce – ha sempre, reiteratamente, affermato che ‘ in tema d’IRAP, l’esercizio di un’attività professionale (…) nell’ambito dell’organizzazione costituita da una società di cui il professionista è socio (o dipendente) non realizza il presupposto impositivo costituito dall’autonoma organizzazione ‘ (così Cass. Sez. V, Ord. 1.4.2021, n. 9071, in un caso in cui il socio era anche amministratore e, da ultima, la citata Ordinanza 28.04.2023, n. 11238). Ciò in quanto – sul piano esegetico – l’organizzazione
rileva se e solo in quanto il lavoratore autonomo ne sia il ‘responsabile’ e ne tragga direttamente un vantaggio in termini di incremento del valore della produzione proprio (e non di altri soggetti), poiché la ratio del tributo è quella di colpire i proventi che derivano dalla somma del valore creato dall’organizzazione e quello prodotto dal lavoro personale del professionista, laddove l’organizzazione sia ex se in grado di creare un valore aggiunto autonomo. L’organizzazione, quindi, rileva quando è diretta ad incrementare i proventi del professionista perché è una ‘sua’ organizzazione. Ciò non ha nulla a che vedere, quindi, con l’ organizzazione di una società di capitali in cui il lavoro del professionista si inserisce, contribuendo a creare proventi della stessa, come nel caso di specie, ove i proventi del ricorrente provenivano solamente da RAGIONE_SOCIALE e solo da quest’ultima e non invece da altri, diversi, clienti. RAGIONE_SOCIALE utilizzava le capacità tecniche e manageriali del dott. COGNOME nell’ambito della propria attività d’impresa (e i cui proventi erano regolarmente assoggettati ad IRAP), mentre il dott. COGNOME riceveva la sola remunerazione per l’attività prestata come individuo, lavoratore autonomo a favore della Società. La circostanza per cui, come sostiene la sentenza di secondo grado, egli fosse ‘ tenuto anche a dirigere e amministrare, sulla quale ha dunque un innegabile, effettivo potere gestionale ‘ non sposta il fatto che l’attività complessiva avesse come unico obiettivo la produzione di servizi della società, a favore dei clienti di quest’ultima (e solo di essa poiché – si è detto sopra – il ricorrente pacificamente aveva come unico cliente/committente la stessa RAGIONE_SOCIALE). La Corte di secondo grado, quindi, anche laddove ha (impropriamente) affermato che RAGIONE_SOCIALE avrebbe messo a
disposizione del ricorrente il proprio apparato organizzativo, ha erroneamente omesso di tener conto del fatto che tale organizzazione non era utilizzata dal dott. COGNOME ai propri fini, ma solo al fine di produrre i servizi erogati da RAGIONE_SOCIALE a favore dei clienti di quest’ultima e per generare il valore della produzione della società stessa (pacificamente soggetto ad IRAP) e che il dottor COGNOME non aveva clienti propri.
Dall’intero sviluppo motivazionale della sentenza apparirebbe chiaro che la Corte di secondo grado della Lombardia ha attribuito rilievo non già alle dotazioni di personale e capitale facenti capo al ricorrente (che la stessa sentenza conferma essere sostanzialmente nulle!), bensì al personale ed alle strutture organizzative riferibili a RAGIONE_SOCIALE , ossia il committente dei servizi del dott. COGNOME e dal quale quest’ultimo ritraeva tutti i propri compensi.
2.Con il secondo motivo, rubricato « Violazione dell’art. 36 d.lgs. n. 546/1992 per avere la sentenza affermato (in modo non comprensibile) il mancato soddisfacimento dell’onere probatorio (art. 360, c. 1, n. 4, c.p.c.)» si sostiene che la natura della prova pretesa dalla Corte di merito ‘soffre’, innanzitutto, della errata impostazione di diritto censurata nel primo mezzo di ricorso. Nondimeno, anche il rilievo sull’assenza di indicazioni circa le ‘ modalità di espletamento dell’attività ‘ risulterebbe del tutto ‘vuota’ e non comprensibile, soprattutto se si considera che le modalità di svolgimento dell’attività e il calcolo della remunerazione erano regolate dallo Statuto e non si spiega cos’altro si sarebbe potuto o dovuto spiegare/dimostrare per sopperire alla carenza di ‘prova’ lamentata dal giudice.
Ugualmente incomprensibile sul piano logico sarebbe poi l’affermazione secondo cui l’organizzazione di RAGIONE_SOCIALE avrebbe accresciuto l’acquisizione di ‘clientela’ da parte del
ricorrente, essendo pacifico in causa che il ricorrente aveva come unico cliente proprio RAGIONE_SOCIALE, sicché il termine utilizzato è in qualche modo ambiguo, perché il fatto che il ricorrente svolgesse attività di revisione su società clienti di RAGIONE_SOCIALE non trasformava per questo tali società in ‘suoi’ propri clienti.
I motivi, da esaminare congiuntamente, sono fondati.
3.1. Secondo l’orientamento consolidato di questa Corte (da ultimo Cass. 27056/2025) , l’art. 2 del d.lgs. n. 446/1997 stabilisce che il presupposto dell’IRAP, già definita dall’art. 1 come imposta a carattere reale, è «l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi». La Corte costituzionale, con la sentenza n. 156 del 2001, ha ribadito che l’IRAP non è un’imposta sul reddito, bensì un’imposta di carattere reale che colpisce il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate, e ha rilevato che mentre l’elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa di impresa, altrettanto non può dirsi per quanto riguarda l’attività di lavoro autonomo, ancorché svolta con carattere di abitualità, nel senso che è possibile ipotizzare un’attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui, con la conseguente inapplicabilità dell’imposta, per difetto del suo necessario presupposto, l’autonoma organizzazione, il cui accertamento, in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce questione di mero fatto, rimessa pertanto al giudice di merito.
3.2. Questa Corte, nel suo supremo consesso (Cass. Sez. U. n. 10/05/2016, n. 9451, in continuità con Cass. Sez. U. 26/05/2009, n. 12108, ma specificando ulteriormente i
requisiti dell’impiego di lavoro altrui), ha chiarito i parametri alla cui stregua la questione di fatto deve essere valutata: «con riguardo al presupposto dell’IRAP, il requisito dell’autonoma organizzazione -previsto dall’art. 2 del d.lgs. 15/09/1997, n. 446 -, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit , il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive». Si deve precisare che l’accertamento deve essere compiuto con riferimento ai singoli anni d’imposta controversi, in ordine ai quali è stato chiesto il rimborso dell’IRAP, atteso che il possesso di tale autonoma organizzazione può variare nel tempo essendo libero il professionista di svolgere la propria opera attraverso l’ausilio di essa oppure svolgerla personalmente e senza l’aiuto di una particolare organizzazione. Ove si verta in tema di rimborso l’onere della prova di tali elementi fattuali grava unicamente sul contribuente. Orbene, affinché un lavoratore autonomo sia assoggettato ad IRAP, è necessario non solo che egli sia inserito in una autonoma organizzazione, ma che egli sia anche titolare di questa organizzazione, e ne sia dunque responsabile (Cass. 16 giugno 2022, n. 19397).
3.3. Nella fattispecie in esame è incontroverso che il contribuente, pur essendo un lavoratore autonomo, non occupasse alcun collaboratore alle proprie dipendenze e, quanto ai beni strumentali, non disponesse di una propria organizzazione, ma fosse invece inserito stabilmente in una organizzazione facente capo ad un distinto soggetto giuridico, e cioè la società RAGIONE_SOCIALE consulenza RAGIONE_SOCIALE, che ne è l’unica responsabile organizzativa.
A nulla rileva, pertanto, che il contribuente si avvalesse di tale organizzazione, in quanto ciò che rileva, ai fini dell’assoggettabilità all’IRAP, è che il contribuente sia il titolare ed il responsabile di tale organizzazione. Peraltro, non essendo il ricorrente a sostenere i costi per i collaboratori e dipendenti, non si vede come egli avrebbe potuto assumere decisioni sulla scelta e sulla gestione di tale personale, al di là RAGIONE_SOCIALE singole e specifiche direttive impartite nell’àmbito del singolo incarico di revisione di volta in volta svolto (sul punto, Cass 15 marzo 2018, n. 6439; Cass. 2 settembre 2016, n. 17566).
3.4. Questa Corte, con specifico riguardo alla fattispecie nella quale l’attività dell’eventuale soggetto passivo dell’imposizione viene espletata a favore di un soggetto terzo già dotato di una propria struttura organizzativa e deve coordinarsi con quest’ultima, ha elaborato il principio generale in forza del quale non è sufficiente che il lavoratore si avvalga di una struttura organizzata, ma è anche necessario che questa struttura sia ‘autonoma’, cioè faccia capo al lavoratore stesso, non solo ai fini operativi, bensì anche sotto i profili organizzativi; non sono, pertanto, soggetti ad IRAP i proventi che un lavoratore autonomo percepisca come compenso per le attività svolte all’interno di una struttura da altri
organizzata (v., ad es., Cass. 13 giugno 2012, n. 9692, con riferimento al medico che lavori presso una clinica privata diretta e organizzata da altri).
Tale principio ha trovato plurime attuazioni in tema di professionisti che svolgano, in tutto o in parte, la propria attività per società di revisione e di consulenza, in casi del tutto analoghi al presente, ove il professionista svolge un’attività di consulenza per una società, di cui è socio, peraltro in misura molto ridotta (Cass. 28 aprile 2023, n. 11238; Cass. 16 giugno 2022, n. 19397; Cass. 28 aprile 2021, n. 11140, ove il professionista svolge un’attività di consulenza per una società, di cui è socio (Cass. 02/07/2010, n. 15746; Cass. 02/09/2016, n. 17566; Cass. 28/04/2021, n. 11140; Cass. 16/06/2022, n. 19397; di recente Cass. 28/04/2023, n. 11238; Cass. 05/05/2023, n. 11924; Cass. 27/06/2023, n. 18260; Cass. 25/07/2023, n. 22266; Cass. 17/01/2024, n. 1857; Cass. 30/12/2024, n. 35082; in tali arresti si è affermato il principio per cui l’esercizio di un’attività professionale nell’ambito dell’organizzazione costituita da una società di cui il professionista è socio (o dipendente) non realizza il presupposto impositivo costituito dall’autonoma organizzazione.
3.5. Irrilevante è, poi, la circostanza che il contribuente detenesse all’epoca una quota di partecipazione nel capitale sociale della società di revisione: infatti, in ogni caso la titolarità e la responsabilità di tale autonoma organizzazione faceva comunque capo ad un soggetto (la RAGIONE_SOCIALE) diverso dal contribuente (nello stesso senso, per fattispecie analoghe, v. Cass 15 marzo 2018, n. 6439; Cass. 2 settembre 2016, n. 17566).
4.La sentenza della CGt -2 non si è attenuta ai suddetti principi, avendo i giudici di appello irragionevolmente tratto un argomento a favore della sussistenza di un’autonoma organizzazione dalla circostanza che il contribuente svolgesse la propria attività professionale, avvalendosi della struttura organizzativa della società, che contribuiva a dirigere. Il requisito dell’autonoma organizzazione presuppone infatti un potere di iniziativa sulle modalità di organizzazione e un potere di scelta dei mezzi e del personale che, nella specie, è pacificamente riservato alla società e sul quale il contribuente non ha potere di incidere.
Di conseguenza, il ricorso va accolto, cassata la sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa viene decisa, ex art.384, comma 2, c.p.c., con l’accoglimento dell’originario ricorso del contribuente.
4.Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso di COGNOME NOME;
condanna l’RAGIONE_SOCIALE al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali, che liquida in euro 2.000,00 per il primo grado, euro 2.200,00 per il grado di appello, euro 4.500,00 per la fase di legittimità, oltre rimborso forfetario nella misura del 15%, Iva e Cpa come per legge.
Così deciso in Roma, il 9.10.2025.
Il consigliere estensore
Il Presidente
(NOME COGNOMECOGNOME
(NOME COGNOME)