Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2465 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2465 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10263/2017 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, in persone del Direttore generale pro tempore, ex lege domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELL’UMBRI A n. 456/2016 depositata il 17/10/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/01/2025 dal Co: COGNOME NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il contribuente, promotore finanziario, era attinto da tre avvisi di accertamento emessi dall’Amministrazione finanziaria ai fini IRAP per gli anni d’imposta 2008, 2009 e 2010. Riteneva invero l’Ufficio che il contribuente fosse dotato di un’autonoma organizzazione in ragione dei beni strumentali utilizzati, eccedenti il minimo indispensabile, oltre a fruire del lavoro di terze persone, quali la moglie cui erano state affidate mansioni di segreteria.
Il contribuente adiva così il giudice di prossimità con tre distinti ricorsi, cui replicava l’Ufficio. La CTP, previa loro riunione, li respingeva accogliendo le tesi dell’Ufficio.
La sentenza di prime cure veniva impugnata dal contribuente. La CTR riformava la decisione di primo grado ritenendo che i beni strumentali, alla luce del libro cespiti prodotti in giudizio, non integrassero esborsi annuali ma solo acquisti oggetto di ammortamento. Per quanto atteneva invece alla spesa dichiarata per collaboratori, la CTR riteneva che si trattasse di somme erogate al precedente titolare del portafoglio-clienti sulla base di un accordo di sua cessione, che prevedeva altresì il versamento frazionato del corrispettivo. Riteneva infine di accogliere l’eccezione del contribuente che aveva stigmatizzato la decisione del Collegio provinciale, laddove aveva condiviso le tesi dell’Ufficio relative alla presenza e ai costi di un’impresa familiare, trat tandosi di un profilo estraneo agli atti impositivi.
Ricorre per la cassazione della sentenza l’Avvocatura generale dello Stato che si affida a quattro motivi di ricorso, cui replica il contribuente con tempestivo controricorso.
COSIDERATO
Vengono proposti quattro motivi di ricorso.
Con il primo motivo il patrono erariale lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 3 d.lgs. 446/1997 in parametro all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c..
In particolare afferma che l’IRAP è dovuta tutte le volte che il contribuente si avvalga di una autonoma organizzazione utilizzando dei beni strumentali eccedenti la misura del minimo indispensabile che riconduce, nel silenzio della disciplina di settore, alla soglia di euro 15.000,00 previsti dalla legge n. 244/2007 (NB: su questo punto specifico non ho trovato precedenti). Censura pertanto la sentenza che aveva disatteso le tesi dell’Ufficio sul presupposto che i beni integrassero acquisti oggetto di ammortamento, quale circostanza irrilevante ai fini della configurabilità di una autonoma organizzazione.
Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
È inammissibile nella parte in cui il ricorrente invoca il limite di euro 15.000,00 come previsto dalla legge n. 244/2007, trattandosi di una eccezione nuova non risultando, dalla lettura del ricorso, che essa fosse stata ritualmente introdotta nei precedenti giudizi di merito né facendone comunque menzione la sentenza impugnata.
La censura è comunque infondata alla luce dell’ormai principio consolidato quello per cui «In tema d’IRAP, il valore assoluto dei compensi e dei costi, ed il loro reciproco rapporto percentuale, non costituiscono elementi utili per desumere il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione di un professionista, atteso che, da un lato, i compensi elevati possono essere sintomo del mero valore ponderale specifico dell’attività esercitata, e, dall’altro, le spese consistenti possono derivare da costi strettamente afferenti all’aspetto personale (spese alberghiere o di rappresentanza, assicurazione per i rischi professionali o il carburante utilizzato per il veicolo strumentale), rappresentando, così, un mero elemento passivo dell’attività professionale, no n funzionale allo sviluppo della produttività e non correlato all’implementazione dell’aspetto
‘organizzativo’.» (nello stesso senso, Cass. 10/04/2018, n. 8728, ha precisato che: «In tema di IRAP, l’elevato ammontare dei ricavi, dei compensi e delle spese, anche per beni strumentali, non integrano di per sé il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione)» (cfr. Cass., V, n. 3448/2021; Cass., V, 10009/2022). Invero, il riferimento al limite degli €.15.000,00, non appare una censura autonoma, ma piuttosto un’argomentazione ad adiuvandum .
Con il secondo motivo il patrono erariale denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 132, co. 2, n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4 c.p.c.
In sintesi critica la sentenza nella parte in cui la CTR avrebbe fatto un generico rinvio alla spesa dei collaboratori sulla base di un accordo concluso con il precedente titolare del portafoglio cliente, ivi anche riportando il capo della sentenza in cui la CTR dà atto che tale fatto ‘ .. è stato provato in giudizio’.
Afferma di aver eccepito l’inammissibilità della suddetta documentazione nei precedenti gradi di merito, non essendo stata prodotta durante la fase procedimentale di accertamento ai sensi dell’art. 32 d.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 51 d.P.R. n. 633/1972.
Il motivo è in parte inammissibile e comunque è infondato.
Merita condivisione l’assunto del controricorrente laddove eccepisce l’inammissibilità del motivo laddove quest’ultimo richiama a sua volta l’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Ufficio nei precedenti gradi di merito in relazione alla documentazione di cui trattasi. La CTR ha invero implicitamente rigettato tale eccezione, avendo assunto una decisione incompatibile con essa (cfr. Cass., V, n. 7662/2020) e, ciò nondimeno, il patrono erariale non ha svolto alcuna doglianza sul punto, prestandovi pertanto acquiescenza.
Peraltro, l’assunto della tardiva produzione documentale è stato specificatamente contestato dal patrocinio del contribuente che, nel
suo scritto difensivo, trascrive la ricevuta di consegna della documentazione rilasciata dall’Ufficio.
Tanto premesso la censura si risolve nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, cosi mostrando la parte ricorrente di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dal giudice di appello non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consone ai propri desiderata, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa potessero ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità. È stato infatti affermato che «compito della Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici del merito (Cass. 12/02/2008, n. 3267), dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che nel caso di specie è dato riscontrare. La valutazione delle prove più idonee a sorreggere la motivazione involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di formare il suo convincimento utilizzando gli elementi che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti, essendo limitato il controllo del giudice della legittimità alla sola congruenza della decisione dal punto di
vista dei principi di diritto che regolano la prova.» (cfr. Cass., V, n. 29176/2024).
Nella fattispecie in esame la CTR ha dato conto di aver esaminato la documentazione in atti e di aver accolto le difese del contribuente avendole ritenute provate in giudizio.
Il motivo è peraltro generico, laddove non indica se l’invito sia stato formulato con l’espresso avviso che, in difetto, vi sarà la decadenza dal potere di produrli, donde il motivo deve pertanto essere disatteso.
Con la terza doglianza l’Amministrazione finanziaria critica la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.
In sostanza denuncia l’illegittimità della sentenza laddove la CTR ha accolto l’eccezione del contribuente che aveva stigmatizzato la decisione del Collegio provinciale di condivisione delle tesi dell’Ufficio in merito alla presenza e ai costi di un’impres a familiare, trattandosi di un profilo estraneo agli atti impositivi. Afferma che tale profilo era comunque menzionato nell’avviso di accertamento, alla voce ‘collaborazioni altrui’, sicché l’Ufficio non aveva avanzato pretese ulteriori ma solo allegato nuovi elementi di prova.
L’ultimo motivo ha ad oggetto la violazione, in ogni caso, dell’art. 42 d.P.R. n. 600/1973 applicabile all’IRAP in forza di quanto previsto dall’art. 25 d.lgs. n. 446/97 in parametro all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.
Con detta ultima censura il patrono erariale ribadisce l’illegittimità della sentenza laddove la CTR ha accolto l’eccezione del contribuente che aveva stigmatizzato la decisione del Collegio provinciale di condividere le tesi dell’Ufficio in merito alla pr esenza e ai costi di un’impresa familiare, trattandosi di un profilo estraneo agli atti impositivi, ed affermando che tale profilo era comunque menzionato nell’avviso di accertamento, alla voce ‘collaborazioni altrui’ sicché
l’Ufficio non aveva avanzato pretese ulteriori ma solo allegato nuovi elementi di prova.
Precisa che spetta al contribuente dimostrare in giudizio l’infondatezza della pretesa erariale anche in base a criteri non utilizzati per l’accertamento.
I due motivi, strettamente connessi tra loro, possono essere trattati congiuntamente e sono infondati, anche se la motivazione della sentenza impugnata dev’essere corretta ex art.384 u.c. c.p.c
Occorre infatti ricordare che «il principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (art. 112 cod. proc. civ.) deve ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri uno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione (petitum e causa petendi), attribuendo o negando ad uno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nell’ambito della domanda o delle richieste delle parti, sicché non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che esamini una questione (anche se non espressamente formulata), tutte le volte che questa debba ritenersi in rapporto di necessaria connessione con quelle espressamente formulate (tra le tante: Cass., Sez. 6^ – 5, 3 luglio 2019, n. 17897; Cass., Sez. 6^-3, 11 giugno 2021, n. 16608; Cass., Sez. 5^, 28 giugno 2021, n. 18357; Cass., Sez. 5^, 6 giugno 2022, n. 18082; Cass., Sez. 5^, 4 dicembre 2023, n. 33699; Cass., Sez. 5^, 9 agosto 2024, nn. 22596 e 22597)» (cfr. Cass., V, n. 32047/2024).
Nel caso di specie la CTR non ha alterato alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione (petitum e causa petendi) delle parti; pertanto, non ha né attribuito né ha negato ad alcuna delle parti un bene diverso da quello richiesto o comunque non compreso nelle domande delle parti, avendo pronunciato su un’eccezione del contribuente, che ha accolto, e che la stessa parte ricorrente qualifica come ‘prova di ulteriori elementi di fatto’.
Ai fini di cui al citato art. 384 c.p.c., occorre comunque ricordare che «con riguardo al presupposto dell’IRAP, il requisito dell’autonoma organizzazione – previsto dall’art. 2 del d.lgs. 15 settembre 1997, n. 446 -, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimit à̀ se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilit à̀ ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’ id quod plerumque accidit , il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attivit à̀ in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive». (cfr. Cass. S.U. n. 9451/2016 richiamata da Cass., V, n. 35525/2023).
Orbene, è il patrono erariale ad affermare che ‘ il contribuente aveva costituito un’impresa familiare indicando la propria moglie come collaboratrice, avendo la stessa funzioni di segreteria’ (pag. 4 del ricorso), sicché è il patrono erariale a riconoscere l’insussistenza dei presupposti per l’imposizione dell’IRAP.
Anche il terzo e il quarto motivo vanno pertanto respinti.
Il ricorso è in definitiva infondato e dev’essere respinto. Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità a favore della parte controricorrente, che liquida in €.cinquemila/00 , oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in €. 200,00 ed agli accessori di legge. Così deciso in Roma, il 21/01/2025. Il Presidente