Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3207 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3207 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14203/2017 R.G. proposto da : COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato RAGIONE_SOCIALE ( -) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persone del Direttore generale pro tempore, ex lege domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
nonché
AGENZIA ENTRATE DIREZ. PROV. CASERTA-UFF. TERRITORIALE AVERSA
-intimata- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. PER LA CAMPANIA n. 11661/2016 depositata il 21/12/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/01/2025 dal Co: COGNOME NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il ricorrente veniva attinto da una cartella esattoriale emessa ai fini IRAP per l’anno d’imposta 2010 per un valore complessivo di euro 48.568,63, che impugnava avanti la CTP di Caserta stante l’assenza del requisito dell’autonoma organizzazione previsto dall’art. 2 d.lgs. n. 446/1997. Rappresentava invero di svolgere in via preponderante e pressoché totalitaria la sua attività quale Commissario straordinario o Commissario liquidatore in procedure concorsuali nonché quale componete di Collegi sindacali o Consigli di amministrazione di aziende.
La CTP accoglieva il gravame accogliendo la tesi difensiva basata sull’assenza di dipendenti e di una organizzazione minima, nel contempo disattendendo le tesi esposte dall’Ufficio fondate sull’ingente volume d’affari. Affermava invero la CTP che per lo svolgimento degli incarichi svolti dal contribuente doveva intendersi prevalente e rilevante l’ intuitus personae, per i quali non era richiesto l’organizzazione di beni strumentali, tali comunque da non prevalere sul lavoro personale.
Ricorreva in appello l’Ufficio ribadendo come la rilevanza degli importi dichiarati e delle spese esposte fossero incompatibili con una gestione personale dell’attività. Costituitosi il contribuente, la CTR accoglieva l’appello erariale e riformava la sent enza di prime cure per non aver il contribuente fornito alcuna giustificazione in ordine ai rilevantissimi costi esposti in dichiarazione (euro 231.751,00) e al
valore della produzione (euro 645.732,00), incompatibili con un’attività strettamente personale dell’attività e in assenza di beni strumentali.
Ricorre per la cassazione della sentenza il contribuente, ivi svolgendo tre motivi di ricorso, cui replica l’Avvocatura generale dello Stato con tempestivo controricorso.
COSIDERATO
Vengono proposti quattro strumenti cassatori.
Con il primo motivo il ricorrente prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2, co. 1, d.lgs. 446/1997 in parametro all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.
In sintesi denuncia l’illegittimità della sentenza per aver la CTR fatto mal governo della disciplina di settore, non essendosi avveduta della mancanza, nella fattispecie in esame, del lavoro dipendente e/o di beni strumentali, quali requisiti necessari ad integrare una stabile organizzazione, avendo al contrario tratto elementi sintomatici della loro esistenza da fattori esterni quali l’ingente volume d’affari o l’elevato importo dichiarato a titolo di spese, non previsti dalla legge quali requisiti ai fin i dell’imposizione tributaria.
Con il secondo motivo il contribuente censura la sentenza per omesso esame della dichiarazione fiscale in atti e, quindi, di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.. Ne de nuncia altresì la nullità per vizio della motivazione in parametro all’art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c.).
In sostanza afferma che la CTR avrebbe omesso di esaminare la dichiarazione e il modello fiscale da cui non sarebbe evincibile alcun costo per personale e collaboratori (e quindi di lavoro altrui), né beni strumentali. Contesta poi che la CTR non abbia considerato la natura dell’attività esercitata dal ricorrente da svolgersi autonomamente e non per il tramite di collaboratori.
Afferma altresì che l’omesso esame di un documento conduce alla nullità della decisione, quando esso abbia in astratto diretta attinenza ad uno degli elementi costitutivi del rapporto giuridico in contestazione.
I due motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto strettamente connessi.
Va preliminarmente osservato che il contribuente, in rubrica, formula il primo profilo del secondo vizio come omesso esame di un fatto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c. salvo poi indicarlo ai sensi del successivo punto 5 nell’articolazione del mot ivo. Sul punto va ricordato l’orientamento costante di questa Corte secondo cui «L’erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla riqualificazione della sua sussunzione in altre fattispecie di cui all’art. 360, primo comma, cod. p roc. civ., né determina l’inammissibilità del ricorso, se dall’articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato» (Cass., V, n. 25828/2020).
Va altresì premesso che il contribuente non trascrive in atti la né la dichiarazione né il modello fiscale. Tuttavia, la controricorrente Avvocatura generale dello Stato non contesta le allegazioni fattuali fornite dal ricorrente, intese come mancata indicazione di costi di lavoro dipendente o natura degli incarichi lavorativi svolti, essendosi di fatto limitata ad affermare che costi così elevati, come quelli accertati dalla CTR, costituirebbe indice di un’autonoma organizzazione lavorativa.
Questa Corte ha già conosciuto di analoga vicenda occorsa al contribuente per l’anno di imposta 2009, definita con sentenza della VI sezione n. 26574/2018,
I motivi sono fondati nei termini che seguono.
Occorre premettere che «… l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., come riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134,
introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nel cui paradigma non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass., Sez. 1^, 14 settembre 2018, n. 26305; Cass., Sez. 6^-1, 6 settembre 2019, n. 22397; Cass., Sez. 5^, 11 maggio 2021, n. 12400; Cass., Sez. 5^, 24 luglio 2021, nn. 21457 e 21458; Cass., Sez. 5^, 20 dicembre 2022, n. 37346; Cass., Sez. 5^, 10 novembre 2023, n. 31327; Cass., Sez. 1^, 29 febbraio 2024, n. 5426) né l’omessa disanima di questioni o argomentazioni (Cass., Sez. 6^ -1, 6 settembre 2019, n. 22397; Cass., Sez. 5^, 20 aprile 2021, n. 10285; Cass., Sez. 5^, 20 dicembre 2022, n. 37346; Cass., Sez. 5^, 10 novembre 2023, n. 31327; Cass., Sez. 1^, 29 febbraio 2024, n. 5426)» (cfr. Cass., V, n. 32047/2024). Nondimeno è stato affermato che «il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istru ttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di ‘fondamento’, dovendosi, altresì, indicare puntualmente le ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa (cfr. Cass. n. 16812 del 2018; Cass. n. 19150 del 2016; Cass. n. 25756 del 2014; Cass. n. 4980 del 2014; Cass. n. 5377 del 2011; Cass. n. 11457 del 2007)» (cfr. Cass., V, 5419/2022).
È ben vero che parte ricorrente non ha trascritto o riprodotto i documenti in ricorso. Tuttavia, e come detto, le sue allegazioni fattuali non sono state contestate dal patrono erariale.
In ogni caso, è stato anche recentemente ribadito il «.. consueto orientamento di legittimità (Cass. 18/11/2016, n. 23557), al quale va data continuità, per il quale: «In tema d’IRAP, il valore assoluto dei compensi e dei costi, ed il loro reciproco rapporto percentuale, non costituiscono elementi utili per desumere il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione di un professionista, atteso che, da un lato, i compensi elevati possono essere sintomo del mero valore ponderale specifico dell’attività esercitata, e, dall’altro, le spese consistenti possono derivare da costi strettamente afferenti all’aspetto personale (spese alberghiere o di rappresentanza, assicurazione per i rischi professionali o il carburante utilizzato per il veicolo strumentale), rappresentando, così, un mero elemento passivo dell’attività profes sionale, non funzionale allo sviluppo della produttività e non correlato all’implementazione dell’aspetto ‘organizzativo’.» (nello stesso senso, Cass. 10/04/2018, n. 8728, ha precisato che: «In tema di IRAP, l’elevato ammontare dei ricavi, dei compensi e delle spese, anche per beni strumentali, non integrano di per sé il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione)» (cfr. Cass., V, n. 3448/2021; Cass., V, 10009/2022).
I motivi vanno pertanto accolti.
Con l’ultimo motivo di censura parte ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., per aver erroneamente posto a carico del contribuente l’onere di provare l’insussistenza di un’autonoma organizzazione. Precisa che la controversia trae origine da una cartella esattoriale e non da un’istanza di rimborso sicché il contribuente non poteva far altro che invocare quanto indicato in dichiarazione.
Anche il terzo motivo merita accoglimento giacché, come già affermato da questa Corte, «In tema di IRAP, qualora il contribuente impugni la cartella esattoriale, incombe sull’Amministrazione
finanziaria l’onere di dimostrare il corretto esercizio del potere, indicando gli elementi di fatto necessari ad integrare il presupposto d’imposta’ (Cass. n. 23999/2016).» (cfr. Cass., V, n. 37333/2022) e «L’onere della prova della insussistenza dell’autonoma organizzazione spetta al contribuente nei casi in cui lo stesso chieda il rimborso dell’imposta versata o nel caso in cui presenti la dichiarazione fiscale, affermando di essere soggetto IRAP, ma non provveda al versamento» (Cfr. Cass., V, n. 18581/2021, ma cfr. anche in termini Cass. V, n. 6239/2020)).
Il ricorso è quindi fondato e merita accoglimento, la sentenza dev’essere cassata con rinvio al giudice di merito, dove potrà aver luogo altresì l’accertamento approfondito in ordine ai compensi del contribuente quale componente di collegi sindacali o di amministrazione, ovvero di commissario straordinario o liquidatore, anche a fini Irap.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado per la Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il 21/01/2025.