Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 870 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 870 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 09/01/2024
Contro
AGENZIA DELLE ENTRATE,
-intimata – avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. SICILIA, n. 5088/2021, depositata il 26/05/2021;
IRAP CARTELLA PAGAMENTO
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 457/2022 R.G. proposto da:
COGNOME, e rappresentato e difesa dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato agli indirizzi pec EMAILpec.ordineavvocaticataniaEMAILpec.ordineavvocaticatania.it
-ricorrente –
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16 novembre 2023 dal consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
NOME COGNOME ricorre nei confronti dell ‘Agenzia delle entrate, che non ha svolto attività difensiva, avverso la sentenza in epigrafe con la quale la C.t.r. ha rigettato l’appello dal medesimo spiegato avverso la sentenza della C.t.p. di Catania che, a propria volta, aveva rigettato il ricorso avverso la cartella di pagamento emessa a seguito di controllo automatizzato ex art. 36bis d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 e art. 54bis d.P.R. 23 ottobre 1973, n. 632 per il recupero dell’Irap relativa all’anno di imposta 2007.
Considerato che:
Con il primo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 2 d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446.
Censura la sentenza impugnata laddove ha ritenuto sussistente, in relazione alla propria attività di ragioniere, il presupposto dell’autonoma organizzaz ione in ragione della presenza di un lavoratore dipendente part-time e del compenso corrisposto a terzi.
Con il secondo motivo invoca l’estensione al giudizio dell’efficacia del giudicato esterno a sé favorevole formatosi su analoga pretesa per gli anni di imposta 2005 e 2006 in ragione della sentenza n. 3116 del 2016 Ct.p. di Catania e della sentenza n. 2440/2020 C.t.r. Sicilia sezione staccata di Catania.
Con il terzo motivo denunci a, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per la mancata integrazione del contraddittorio processuale in violazione dell’articolo 14 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e dell’articolo 331 cod. proc. civ.
In particolare, si duole della mancata evocazione in appello del concessionario della riscossione, sebbene parte costituita nel giudizio di primo grado.
Il terzo motivo, da trattarsi in via preliminare, in quanto il medesimo prospetta la nullità della sentenza impugnata per difetto del litisconsorzio necessario, è infondato.
4.1. Per giurisprudenza costante di questa Corte l’obbligatorietà dell’integrazione del contraddittorio nella fase dell’impugnazione, al fine di evitare giudicati contrastanti nella stessa materia e tra soggetti già parti del giudizio, sorge non solo quando la sentenza di primo grado sia stata pronunciata nei confronti di tutte le parti, tra le quali esiste litisconsorzio necessario sostanziale, e l’impugnazione non sia stata proposta nei confronti di tutte, ma anche nel caso del cosiddetto litisconsorzio necessario processuale, quando l’impugnazione non risulti proposta nei confronti di tutti i partecipanti al giudizio di primo grado, sebbene non legati tra loro da un rapporto di litisconsorzio necessario, sempre che si tratti di cause inscindibili o tra loro dipendenti ex art. 331 cod. proc. civ.; in questo caso la necessità del litisconsorzio in sede di impugnazione è imposta dal solo fatto che tutte le parti sono state presenti nel giudizio di primo grado. Ne consegue che, in entrambe le ipotesi, la mancata integrazione del contraddittorio nel giudizio di appello determina la nullità dell’intero procedimento di secondo grado e della sentenza che lo ha concluso, rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità (Cass. 08/11/2017, n. 26433, Cass. 27/05/2015, n. 10934, in analoga fattispecie in cui, impugnata da parte del contribuente la cartella esattoriale nei confronti dell’ente impositore e del concessionario per la riscossione, l’appello era stato proposto dal contribuente nei confronti della sola Agenzia delle Entrate).
4.2. Dalla sentenza della C.t.p. in atti, risulta effettivamente che il giudizio di primo grado si era svolto anche nei confronti della società di riscossione, ivi costituita.
Il motivo in esame pone, però, la diversa questione se sia ammissibile l’impugnazione con cui la parte che abbia agito in giudizio senza convenirvi tutti i contraddittori necessari (e senza sollecitare, al riguardo, l’esercizio dei poteri ufficiosi del giudice) chieda dichiararsi la nullità della sentenza di rigetto della sua domanda per essere stata la stessa resa a contraddittorio non integro.
Come già rilevato da questa Corte, la soluzione del problema va coordinata con il comportamento processuale della parte, con il suo interesse ad agire e con il principio di economia processuale e di ragionevole durata del processo. A tal proposito, in ipotesi di controversie soggette a litisconsorzio necessario, questa Corte ha già affermato che deve ritenersi inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione della sentenza di rigetto proposta per violazione dell’integrità del contraddittorio dal soccombente che abbia agito in giudizio senza convenire tutti i litisconsorti e senza sollecitare l’esercizio dei poteri ufficiosi del giudice, stante l’irrilevanza per lo stesso della non opponibilità della pronunzia ai litisconsorti necessari pretermessi e l’assenza di pregiudizio per i diritti di questi ultimi. (Cass. 13/07/2023, n. 20091 e Cass. 26/09/2019 n. 24071)
Nel caso di specie, il ricorrente non solo non ha integrato il contradditorio nei confronti della società di riscossione, dal medesimo convenuta in primo grado, ma nemmeno ha dedotto di aver sollecitato i poteri di ufficio del giudice. Di fronte ad una sentenza di secondo grado che -confermando quella del primo giudice -ha rigettato la sua domanda, non è dato ravvisare l’interesse alla rinnovazione del giudizio in contraddittorio con la società di riscossione, né in capo a quest’ultima, né in capo al ricorrente. La sentenza non pregiudica
infatti in alcun modo il diritto della litisconsorte non citata, né del ricorrente, il quale non ha dedotto, nel mezzo di ricorso in esame, che la mancata partecipazione al giudizio della litisconsorte pretermessa abbia recato una qualsivoglia limitazione al pieno dispiegamento del suo diritto di difesa e al suo diritto al contraddittorio nel primo e nel secondo grado di merito. In definitiva, l’unico interesse alla ripetizione del processo riconoscibile in capo al ricorrente è individuabile, non nella esigenza di rimediare ad un vulnus recato al suo diritto di difesa ed al suo diritto al contraddittorio dalla mancata partecipazione al giudizio della litisconsorte necessaria pretermessa, ma nella speranza che un nuovo giudizio si concluda con esito diverso da quello già celebrato.
Il secondo motivo, anch’esso preliminare rispetto al primo in quanto volto a far valere il giudicato esterno, è infondato.
5.1. Questa Corte ha già chiarito che la sentenza del giudice tributario con la quale si accerta il contenuto e l’entità degli obblighi del contribuente per un determinato anno d’imposta fa stato, nei giudizi relativi ad imposte dello stesso tipo dovute per gli anni successivi solo per quanto attiene a quegli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi di imposta, assumano carattere tendenzialmente permanente, mentre non può avere alcuna efficacia vincolante quando l’accertamento relativo ai diversi anni si fondi su presupposti di fatto relativi a tributi differenti ed a diverse annualità (Cass. 07/12/2021, n. 38950)
Con specifico riferimento all’Irap si è affermato che non si pongono profili di giudicato esterno tra annualità diverse, che godono di autonomia e dove l’organizzazione può mutare, evolvendosi ora al di sopra, ora al di sotto del livello minimo di rilevanza ai fini tributari, trattandosi di res facti , rimessa all’apprezzamento del giudice di merito (Cass. 15/03/2019, n. 7409).
5.2. In entrambe le sentenze di cui si invoca la forza di giudicato, così come già correttamente rilevato dalla C.t.r. nella sentenza impugnata, è stato escluso il presuppos to dell’autonoma organizzazione; tuttavia, quanto ivi accertato per gli anni 2005 e 2006, non può avere alcun rilievo rispetto all’accertamento in esame, relativo all’anno di imposta 2007.
Il primo motivo è fondato.
6.1. Deve premettersi che si verte in fattispecie in cui il contribuente ha presentato la dichiarazione dei redditi, affermando di essere soggetto Irap, ma ne ha omesso il versamento. In tale evenienza l’Agenzia delle entrate è legittimata ad emettere la cartella di pagamento, a norma dell’art. 36bis d.P.R. n. 600 del 1973 poiché la sussistenza dell’autonoma organizzazione, quale presupposto applicativo dell’imposta, è stata dichiarata dallo stesso contribuente.
Si è chiarito, però, che la dichiarazione dei redditi non è una dichiarazione di volontà, ma una dichiarazione di scienza, emendabile e ritrattabile, con la conseguenza che il contribuente è sempre ammesso, in sede contenziosa, a provare che l’originaria dichiarazione era viziata da un errore di fatto o di diritto e che il presupposto impositivo non era sussistente (Cass. sez. un. 30/06/2016, n. 13378; Cass. 28/10/2015, n. 21968). Ove ciò accada, in applicazione delle regole generali sulla ripartizione dell’onere della prova stabilite dall’art. 2697, cod. civ., spetta al contribuente che «ritratta» la propria dichiarazione dimostrare il fatto impedivo dell’obbligazione tributaria (asserita mancanza del presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione). In caso contrario, si determinerebbe un’irrazionale disparità di trattamento a sfavore di coloro che chiedono il rimborso di un’imposta versata e non dovuta, onerati di fornire la prova del diritto alla restituzione, rispetto a coloro che, dopo essersi dichiarati soggetti all’imposta ed averla indicata nella dichiarazione, ne omettono in tutto
o in parte il versamento (Cass. 30/05/2022, n. 17346, Cass. 05/03/2020, n. 6239).
6.2. Quanto all’«autonoma organizzazione», la Corte Costituzionale ha puntualizzato che l’imposta incide su un fatto economico diverso dal reddito, cioè su quel quid pluris aggiunto dalla struttura organizzativa alla attività professionale, tale da costituire un indice di capacità contributiva idonea a giustificare l’assoggettamento al tributo; ha precisato che tanto non implica alcun limite quantitativo, di prevalenza o meno rispetto al lavoro autonomo esercitato, bensì semplicemente un giudizio di valore sull’idoneità di quell’organizzazione a potenziare le possibilità produttive del professionista. La Consulta ha esplicitato la nozione di autonoma organizzazione nell’esercizio dell’attività di lavoro autonomo riconoscendola, ai fini Irap, quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’ id quod plerumque accidit , il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui (Corte cost. 21/05/2001, n. 156. In tal senso cfr. Cass. 16/02/2007, nn. da 3672 a 3680; Cass. 28/11/ 2014, n. 25311).
Il perimetro entro il quale l’attività del lavoratore autonomo è assoggettabile ad Irap è stato ulteriormente delineato dalle Sezioni Unite della Corte, precisando che il requisito dell’autonoma organizzazione non ricorre quando il contribuente, responsabile dell’organizzazione, impieghi beni strumentali non eccedenti il minimo indispensabile all’esercizio dell’attività e si avvalga di lavoro altrui non eccedente l’impiego di un dipendente con mansioni esecutive (Cass. Sez. U, 10/05/2016, n. 9451 che, in applicazione del principio, ha respinto il ricorso contro la decisione di merito che aveva escluso
l’autonomia organizzativa di uno studio legale dotato soltanto di un segretario e di beni strumentali minimi).
6.3. Con particolare riferimento al lavoratore autonomo che si avvale dell’opera altrui, la giurisprudenza successiva, con riguardo a varie categorie professionali, si è inserita nel binario tracciato dalla Corte costituzionale e poi dalle Sezioni unite.
Così, ad esempio, si è espressa in merito alla irrilevanza dei compensi corrisposti da un avvocato per le domiciliazioni presso colleghi al fine della identificazione del requisito dell’autonoma organizzazione, per trattarsi di prestazioni strettamente connesse all’esercizio della professione forense, che esulano dall’assetto organizzativo della relativa attività (Cass. 08/11/2016, n. 22695). Ugualmente, ha ritenuto irrilevante l’ausilio del collaboratore che espleti attività meramente esecutiva (Cass. 19/11/ 2019, n. 30085).
La Corte ha anche chiarito che per l’assoggettamento ad Irap dei proventi del professionista autonomo è necessario che la struttura organizzata di cui questi si avvalga faccia capo allo stesso non solo ai fini operativi, ma anche sotto il profilo organizzativo (tra le più recenti Cass. 28/01/2022, n. 2614).
6.4. Ancora, con specifico riferimento ai beni strumentali, la Corte ha precisato che il valore dell’attrezzatura di cui il professionista si avvale non è un parametro, in sé, decisivo, dovendo essere valutato in termini relativi e non assoluti (Cass. 14/06/2021, n. 16705, in relazione alla attività medica, ove si è precisato che anche un’attrezzatura di rilevante impegno economico, non può ritenersi, per ciò solo, superiore al minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività, se essa, in base all’ id quod plerumque accidit è quella tipica della specializzazione considerata).
6.5. La C.t.r. non si è attenuta a questi principi in quanto, dopo aver evidenziato che l’onere della prova gravava sul contribuente, ha
ritenuto che quest’ultimo non vi avesse assolto in quanto, a fronte di una dichiarazione che esponeva costi per un lavoratore dipendente part-time e compensi a terzi, non aveva dimostrato che tali voci contabili non fossero probanti di un’autonoma organizzazione e che il dipendente non espletasse mansioni esecutive.
L ‘ accertamento del presupposto dell ‘autonoma organizzazione non appare conforme ai principi sopra espressi a fronte delle puntuali censure formulate dal ricorrente.
Q uest’ultimo , in particolare aveva dedotto, che, come documentato dalla dichiarazione dei redditi relativa all’anno di imposta 2007, si era avvalso esclusivamente di una segreteria, regolarmente assunta con contratto part-time , con uno stipendio mensile di circa € 350,00, e di un collaboratore per un compenso complessivo di € 867,00 e che dalla medesima dichiarazione dei redditi era possibile constatare che svolgeva la propria attività mediante l’utilizzo di minima strumentazione in locali in affitto.
La C.t.r., nel ritenere, con affermazione generica, che il contribuente non avesse provato il diritto al rimborso, non ha verificato la rilevanza di quanto da quest’ultimo allegato per escludere l’ esistenza di un’autonoma organizza zione, con specifico riferimento a quanto statuito dalla giurisprudenza di legittimità in ordine all’impiego di beni strumentali non eccedenti il minimo indispensabile all’esercizio dell’attività ed al ricorso a lavoro altrui non eccedente l’impiego di un dipendente con mansioni esecutive.
Ne consegue, in accoglimento del primo motivo di ricorso, rigettati il secondo ed il terzo, la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione, la quale provvederà al riesame, fornendo congrua motivazione, e al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigettati il secondo ed il terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione, la quale provvederà anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 16 novembre 2023.