Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1667 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 1667 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 23/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 30497/2021, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è domiciliata ex lege a ROMA, in INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso, per procura speciale allegata al controricorso, dall’ Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliato presso l’indirizzo di posta elettronica certificata di quest’ultimo
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 355/04/2021 della Commissione tributaria regionale della Liguria, depositata il 5 maggio 2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16 gennaio 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
Il 22 luglio 2014 NOME COGNOME ricevette la notifica di quattro avvisi di accertamento con i quali l’Amministrazione finanziaria riprendeva a tassazione un maggiore reddito ai fini Irap per gli anni compresi fra il 2009 e il 2012, oltre a irrogare sanzioni.
Nei periodi d’imposta in questione, il COGNOME, partecipe di un’ associazione professionale di dottori commercialisti e consigliere di amministrazione di tale RAGIONE_SOCIALE, aveva sottratto dall’imponibile ai fini I rap tanto i redditi percepiti in veste di associato, quanto i compensi per l’attività di amministratore .
Unitamente agli avvisi di accertamento, venne notificata al COGNOME anche una cartella esattoriale che scaturiva dal controllo automatizzato della dichiarazione Unico per l’anno 2009, nella quale il contribuente aveva posto in compensazione con il debito Irpef due acconti Irap da lui versati, senza che il relativo credito fosse certificato da alcuna dichiarazione, non avendo egli presentato la dichiarazione Irap per il medesimo periodo d’imposta.
Gli atti impositivi tutti vennero impugnati dal contribuente innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Imperia, la quale, riuniti i ricorsi, li accolse parzialmente, rigettando quello concernente la cartella esattoriale e dichiarando non assoggettabili ad Irap i compensi percepiti dal COGNOME quale amministratore di RAGIONE_SOCIALE
La sentenza fu oggetto di appello principale dell’Agenzia delle entrate e di appello incidentale del contribuente, entrambi respinti dalla Commissione tributaria regionale della Liguria.
Il Collegio del gravame ritenne, per quanto in questa sede ancora di interesse, che il COGNOME avesse dimostrato che l’attività di amministratore -in base ad una serie di indicatori, quali le caratteristiche di tale attività e le dimensioni della società amministrata -poteva essere svolta unicamente ed esclusivamente nel contesto della struttura organizzativa della società stessa; rilevò, di conseguenza, il difetto del requisito di autonoma organizzazione, necessario per l’imposizione ai fini I rap.
La sentenza d’appello è impugnata dall’Agenzia delle entrate con ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo.
Resiste l’intimato con controricorso.
Considerato che:
L’unico motivo di ricorso denunzia nullità della sentenza in relazione all’art. 360, comma I, n. 4), c.p.c. per violazione degli artt. 112, 115, 116 e 132 c.p.c., nonché dell’art. 36, comma 2, n. 4) del d.lgs. n. 546/1992.
L’Agenzia ricorrente sostiene che i giudici d’appello avrebbero errato nell’affermare che il COGNOME, nella sua qualità di amministratore di sRAGIONE_SOCIALE, aveva indicato una partita Iva diversa da quella utilizzata nello svolgimento della propria attività professionale individuale, quando in realtà si trattava della stessa partita Iva; richiama, poi, la giurisprudenza di questa Corte che fa onere al contribuente di dimostrare l’assenza del requisito di autonoma organizzazione con riferimento ai compensi percetti in qualità di titolare di cariche organiche di enti o società commerciali,
soggiungendo che, nel caso di specie, tale onere non era stato affatto assolto.
2. La censura è infondata.
Come si è accennato nella parte in fatto, i giudici d’appello hanno ritenuto che il COGNOME avesse dimostrato che l’attività di amministratore della sRAGIONE_SOCIALE COGNOME, da lui svolta, fosse esercitata in assenza del requisito di autonoma organizzazione; tale accertamento si è fondato sul rilievo di una pluralità di circostanze -testualmente: «la dimensione della società, la natura delle deleghe e del gruppo al quale questa era a capo, l’ubicazione della sede della società» (pag. 2 sentenza impugnata) -rispetto alle quali l’impiego di diversa partita Iva assume rilievo meramente ad colorandum , senza rivestire alcun valore decisivo al fine di esclusione del menzionato requisito.
Significativamente, il ricorso omette di prendere posizione sulla sussistenza di tali circostanze, invece sufficienti a far ritenere assolto l’onere probatorio evocato dalla stessa Amministrazione in conformità agli orientamenti di questa Corte; e ciò, peraltro, a prescindere dal fatto che i precedenti evocati si riferiscono a fattispecie relative a domande di rimborso, nelle quali, com’è noto, l’onere probatorio a carico della parte istante ha contenuto distinto rispetto a quello connesso ai giudizi di accertamento della pretesa tributaria.
Il ricorso va dunque respinto e la sentenza d’appello merita integrale conferma.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Non si dà luogo alla condanna di parte ricorrente al pagamento del doppio contributo, poiché la stessa è un’amministrazione pubblica patrocinata dall’Avvocatura generale dello Stato.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese, che liquida in € 5.600,00, oltre € 200,00 per esborsi, 15% rimborso spese generali e oneri accessori.
Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2025.