Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2453 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2453 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14479/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato.
-ricorrente-
contro
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME COGNOMEcontroricorrente- avverso la sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Toscana n. n. 387/2023, depositata in data 26/04/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16 gennaio 2025 dal relatore Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle entrate propone un motivo di ricorso per la cassazione della sentenza in epigrafe, che ha accolto l’appello della contribuente avverso la sentenza della CTP di Arezzo, che aveva dichiarato inammissibile il ricorso avverso il silenziorifiuto formatosi sulle domande di rimborso dell’IRAP relativa agli anni dal 2014 al 2017, corrisposta dalla medesima contribuente, farmacista.
La contribuente si difende con controricorso.
Il ricorso è stato oggetto della proposta di cui all’art. 380-bis, c.p.c., a seguito della quale la ricorrente ha presentato istanza con cui ha richiesto la decisione.
La contribuente ha depositato inoltre memoria e nota spese.
Considerato che:
Preliminarmente, il contenuto sostanziale dell’istanza di parte ricorrente è inequivocabilmente quello di richiedere che si proceda alla decisione del ricorso nei modi ordinari, sicché va rigettata l’eccezione della controparte sul punto.
Con l’unico motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2 ,comma 1 e 3, comma 1, lett. c) d.lgs. n. 446 del 1997, in relazione all’art. 360 comma 1,n. 3) c.p.c., lamentando che il giudice d’appello abbia ritenuto provata l’assenza di autonoma organizzazione da parte della contribuente, nonostante quest’ultima, farmacista, si sia avvalsa ‘costantemente, per tutte le annualità oggetto di richiesta di rimborso IRAP, di prestazioni di terzi, anche se non nella forma di lavoro subordinato, elargendo ingenti compensi’.
2.1. Il motivo è inammissibile.
Invero la ricorrente non soddisfa l’onere di cui all’art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ., di specifica indicazione, a pena d’inammissibilità del ricorso, degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso stesso si fonda, nonché dei dati necessari all’individuazione della loro collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito. (Cass., 15/01/2019, n.777; Cass., 18/11/2015, n. 23575; Cass., S.U., 03/11/2011, n.22726). Tale onere (ribadito ed aggravato, con l’inserimento altresì della necessaria illustrazione del contenuto rilevante degli stessi atti processuali e documenti, dall’ art. 3, comma 27, del d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 149, applicabile ai giudizi, quale quello sub iudice , notificati a decorrere dal 1° gennaio 2023, ex art. 35, comma 5, del medesimo d.lgs.), anche interpretato alla luce dei principi contenuti nella sentenza della Corte EDU, sez. I, 28 ottobre 2021, r.g. n. 55064/11, non può ritenersi rispettato qualora il motivo di ricorso non indichi specificamente i documenti o gli atti
processuali sui quali si fondi; non ne riassuma il contenuto o ne trascriva i passaggi essenziali; né comunque fornisca un riferimento idoneo ad identificare la fase del processo di merito in cui essi siano stati prodotti o formati (cfr. Cass. Sez. U., 18/03/2022, n. 8950; Cass. 14/04/2022, n. 12259; Cass.19/04/2022, n. 12481; Cass. 02/05/2023, n. 11325).
Nel caso di specie, difettano i prescritti requisiti di forma-contenuto con riferimento ai dati relativi alle prestazioni dei terzi, che costituiscono l’elemento fattuale sulla cui valutazione si concentra il contenzioso. Rispetto a tali elementi, il ricorso è privo di riferimenti ai documenti sui quali esso si fonda ed alla loro produzione e collocazione nel giudizio di merito, limitandosi a riprodurre la sentenza impugnata. Questa Corte ha, nel vigore del precedente testo dell’art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ., escluso che il relativo requisito di forma-contenuto del ricorso possa essere soddisfatto ricavando i relativi dati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso (Cass. n. 29093 del 13/11/2018). Ma anche volendo superare tale arresto, deve comunque rilevarsi che, nel caso di specie, la decisione impugnata attribuisce, nella parte propriamente motiva, alla stessa Amministrazione la definizione delle prestazioni dei terzi come ‘contributi che la contribuente aveva ricevuto da terzi per poter fornire a sua volta, ai propri committenti, le prestazioni scientifiche che da loro erano state richieste’, rimanendo pertanto del tutto generiche le caratteristiche di tali collaborazioni e, in particolare, in che modo, secondo la ricorrente, venisse esercitata l’attività professionale della ricorrente; quale effettiva rilevanza le prestazioni di terzi potessero avere rispetto alla sua opera finale; con quale frequenza la contribuente vi facesse ricorso nello svolgimento della sua professione.
Così come generica, del resto, ai fini di cui al n. 2 dello stesso art. 366, comma 1, cod. proc. civ., è la loro descrizione delle stesse prestazioni nel ricorso, dove si dice che i ‘compensi erano stati versati a titolo di corrispettivo per le prestazioni ottenuta da biologi, chimici e nutrizionisti ed acquisite in ausilio alla sua attività professionale’.
Risultano pertanto inadempiuti i requisiti di forma-contenuto del ricorso di cui all’art. 366 cod. proc. civ. con riferimento ai fatti ed ai documenti sui quali fonda il mezzo. Né, peraltro, occorre diffondersi sulla circostanza che tali oneri di formulazione sono ben distinti dall’attribuzione, sul piano sostanziale, dell’onere probatorio in ordine alla prova dell’autonoma organizzazione (essendo indiscusso che, nel caso di specie, spettasse al contribuente dimostrarne l’insussistenza).
2.2. Tanto premesso, deve rilevarsi comunque che il giudice a quo ha, nel caso
di specie, accertato in fatto che i terzi collaboratori in questione non erano dipendenti, neppure a titolo di collaborazione coordinata e continuativa, della contribuente, ma solo ‘consulenti esterni’, ovvero non inseriti organicamente nella struttura professionale di quest’ultima.
Ferma la non sindacabilità in questa sede di tale accertamento fattuale, è vero, peraltro, che, in punto di diritto, il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione ricorre quando il contribuente si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive (Cass., Sez. U., 10/05/2016, n. 9451). Tale presupposto può essere integrato anche nell’ipotesi dell’utilizzazione di terzi collaboratori del professionista, ma questa Corte ha già ritenuto che, al fine di verificare la sussistenza dell’autonoma organizzazione, non è sufficiente in tal caso verificare che siano stati corrisposti compensi ai collaboratori esterni, ma occorre considerare «la natura di tali compensi, se cioè̀ essi fossero relativi ad una collaborazione di carattere continuativo ovvero a prestazioni meramente occasionali, e se fossero strettamente afferenti all’esercizio in modo organizzato della propria attività̀ professionale o se fossero (e in che misura) riconducibili a prestazioni strettamente connesse all’ esercizio della professione» (cfr. Cass. 08/11/2016, n. 22695). Pertanto, riguardo alle prestazioni di terzi collaboratori del professionista, ed ai relativi costi, il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione richiede un concreto apporto di tali prestazioni all’effettivo svolgimento dell’attività̀ del contribuente, dovendo anche verificarsi se il coinvolgimento di tali professionalità̀ sia o meno estraneo al bagaglio professionale di quest’ultimo (Cass., 17/04/2018, n. 9431/2018; Cass. 24/01/2017, n. 1820). Né, peraltro, nell’apprezzare la valutazione dell’impiego del lavoro altrui, può valorizzarsi il mero riferimento all’entità della relativa spesa sostenuta dal professionista, trattandosi di un dato che non integra, di per sé solo, il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione (Cass., 10/04/2018, n. 8728. Nello stesso senso Cass., 18.11.2016, n. 23557), rivelandosi così generica la mera definizione, da parte dell’Ufficio, dei pagamenti come ‘ingenti’, scissa da una valutazione comparata con le altre componenti economiche dell’attività della contribuente negli anni in questione.
Nel caso di specie, le già illustrate criticità nel contenuto del mezzo, in termini di determinazione della fattispecie concreta sulla base dei documenti e degli atti del merito, si riverberano tuttavia direttamente sugli elementi della fattispecie appena descritti, con
la conseguente inammissibilità, già rilevata, del ricorso.
2.3. Per completezza, infine, pare comunque opportuno sottolineare che ( anche a rimanere ai dati indicati, con le premesse carenze di contenuto-forma, nel ricorso e richiamati nella sentenza come deduzioni dello stesso Ufficio), gli importi pagati dalla contribuente, per ciascuno degli anni controversi, a titolo di corrispettivi per le collaborazioni di professionisti terzi (di professionalità diversa da quella della controricorrente), se apprezzati tenendo conto dei compensi in parallelo incassati dalla stessa contribuente, non appaiono di incidenza economica tale da essere necessariamente sintomatici né della non occasionalità dell’utilizzo della stessa risorsa; né della sua pretesa natura di fattore aggiuntivo o moltiplicativo del valore costituito dall’attività intellettuale della contribuente.
Le spese seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 380bis , comma 3, cod. proc. civ., la parte soccombente va condannata a pagare:
la somma di euro 550,00, equitativamente determinata, a favore della controparte, ex art. 96, terzo comma, cod. proc. civ. ;
la somma di euro 500,00 a favore della cassa delle ammende, ex art. 96, quarto comma, cod. proc. civ..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento:
a favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.500,00 per compensi, oltre alle spese generali nella misura del 15%; agli esborsi per euro 200,00; ed oltre agli oneri di legge; nonché di euro 550,00 ex art. 96, terzo comma, cod. proc. civ.;
di euro 500,00 a favore della cassa delle ammende ex art. 96, quarto comma, cod. proc. civ.
Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2025.